Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

La misura
del prezzo

 

1) “Non vi ho detto tutta la verità l’altra sera”, scrive Katherine Mansfield al marito Middleton Murry il 17 marzo del 1915, “Quando mi avete chiesto se stavo scrivendo e io ho detto di sì, non era affatto vero. Non posso scrivere il mio libro vivendo in queste due stanze. È impossibile – e se io non scriverò questo libro morirò”. Domani partirà per Parigi. I morti della prima guerra mondiale non la toccano, perché la morte, a quanto pare – penetrata attraverso la letteratura fattasi bisogno organico – è già dentro di lei.

2) L’11 marzo del 1914 il movimento futurista pubblicò il manifesto relativo a Pesi, misure e prezzi del gesto artistico.
Aboliti i critici, liberatisi dal “bello”, i futuristi fanno appello a quello che per loro è l’”unico concetto uguale per tutti: il valore, determinato dalla rarità necessaria”. S’inventano, cioè, una scienza economica dell’arte. Nel campo intellettuale, secondo loro, “la rarità necessaria (non casuale) di una creazione è in proporzione diretta con la quantità di energia occorsa per produrla” – quantità di energia che, ai fini di dare a Cesare quel che è di Cesare, andrà misurata ben bene.
“Il misuratore futurista “, il sostituto del critico, “dovrà dunque scomporre l’opera artistica nelle singole scoperte di rapporti che la costituiscono, determinare per mezzo di calcoli la rarità di ognuna di esse, cioè la quantità di energia occorsa a produrle, fissare in base a questa rarità per ognuna di esse un prezzo fisso, sommare i singoli valori, dare il prezzo complessivo dell’opera”. Nei loro deliranti stratagemmi per ricavarsi una nicchia calda e confortevole nella società che canta e che conta, la “misurazione futurista di un’opera d’arte vuol dire determinazione esatta, scientifica, espressa in formule, della quantità di energia cerebrale rappresentata dall’opera stessa, indipendentemente dalle impressioni buone, cattive o nulle che dall’opera possa ricevere la gente” – dove “la gente”, ovviamente, raccoglie semanticamente tutto il disprezzo che l’artista sa riservare a coloro dai quali vorrebbe scucire un po’ di quattrini.
Da questo punto di vista, il dolore – e l’energia cerebrale conseguentemente spesa – in Katherine Mansfield è tale che ogni suo racconto dovrebbe valere miliardi. In lei, la società della cultura alta – quella che istiga alla letteratura ed all’arte come rimedio ad una diagnosi non correggibile e senza speranza – ha inoculato l’analogo mentale della sua tubercolosi: la coazione alla scrittura fino al sacrificio di sé, un modello completo di spiegazioni per successi ed insuccessi, la sensibilità giusta per continuare a farsi del male fino alla fine, il germe della letteratura, la capacità di rappresentare il mondo delle piccole cose intorno a lei e la complementare superficialità nel giudicare la tragedia immane che sta oltre il suo sguardo, così acuto e pur così reclamante affetto.

3) Di questi tempi grami e corrotti, l’unica forma di lieve critica che i grandi giornali possono permettersi di pubblicare è qualche “lettera al direttore” in tema di prezzi. È così che il poco futurista e tutto attuale lettore può argomentare sull’ananas, che “viene dalla Costa d’Avorio via aerea e costa 90 centesimi al chilo”, mentre “le clementine vengono dalla Calabria e costano da 1 euro a 2,20 al chilo”. Sarebbe il caso che qualcuno glielo spiegasse. Anche a me. Che ne aggiungo un’altra di argomentazione: al mio supermercato c’è un pane – sempre fresco e ottimo, peraltro – che costa almeno un euro in meno al chilo di tutti gli altri. Ne ho chiesto il perché e mi è stato risposto che viene dalla Spagna.
Tutto ciò – oltre a dimostrare ancora una volta l’infinita pazienza di questo popolo di fronte a quella che nei momenti di ottimismo possiamo considerare l’infinita stoltezza dei suoi governanti –, tutto ciò, dicevo, dimostra che, nell’arte di conferire valore alle cose, il capitalismo ha, di fatto, superato ogni teoria che lo concerna; che quella religione delle merci che, negli incubi dei benpensanti, avrebbe sostituito le grandi religioni della tradizione, non sta più in piedi delle altre; e che, infine, dietro la tranquillizzante facciata del liberismo, di contraddizione in contraddizione, si sta costruendo il nuovo ordine repressivo mondiale. Il taylorismo cerebro-spinale dei futuristi dà una mano.

4) Allorché quella teoria degli umori che si può far risalire almeno fino a Ippocrate – ovvero al quinto secolo prima di Cristo – venne coniugata con l’astrologia – ci provvide Marsilio Ficino fra gli altri, nel Quattrocento – si cominciò a parlare di un temperamento saturnino, attribuendolo al genio e, quindi, all’artista. D’altronde, già Aristotele diceva che “tutti gli uomini straordinari eccellenti nella filosofia, nella politica, nella poesia e nelle arti sono palesemente melanconici”. Una volta posti sotto la cupa ombra di Saturno, dunque, arte, depressione e malinconia cominciarono ad essere inesorabilmente intrecciate nell’immaginario popolare e, dal Cinquecento al Romanticismo l’intera Europa artistica venne travolta da un’ondata di umori nerastri – irritabilità, eccentricità, squilibrio, tendenza alla solitudine e gran sensibilità per il lato luttuoso della vita. Ancora negli artisti d’oggidì possiamo riscontrare i tratti di questa caricatura epidemica.
Tuttavia, come rammentano Rudolf e Margot Wittkower in Nati sotto Saturno, una ricerca statistica sui suicidi fra gli artisti avvenuti in Europa fra il 1350 e il 1800 dice che, fatti e rifatti i calcoli, il loro totale non va oltre il 14. E in ragione di ciò ogni tentativo di patologizzare più o meno psichiatricamente l’artista va a farsi benedire. L’artista non si suicida più degli idraulici, dei piazzisti o degli operai, anzi – occhio e croce, fatiche e frustrazioni a confronto – è lecito sostenere che, avendone meno ragioni, si suicidi di meno.

5) Nelle ultime righe del suo diario, datate 8 marzo 1941, Virginia Woolf annota che si è accorta che “sono le sette” e che deve “preparare cena”. “Merluzzo e salsicce”. E non esita a dire che crede “sia vero che scrivendone, ci si rende in qualche modo padroni del merluzzo e delle salsicce”.
Si suicida poche ore dopo. Alla faccia del letterario, le cose vanno per il verso opposto: indigesti come sono, merluzzo e salsicce si sono impadroniti della scrittrice.

Felice Accame

Note
Pesi, misure e prezzi del gesto artistico e gli altri manifesti del movimento futurista sono editi da Ignazio Maria Gallino, Milano 2006. Nati sotto Saturno, di cui ho parlato in “A”, 325, aprile 2007, è edito da Einaudi, Torno 1968.