Rivista Anarchica Online


dossier antispecismo

Come ti controllo l’animalista
di Aldo Sottofattori

 

Aldo Sottofattori, attivista antispecista, redattore della rivista online ”Liberazioni” e del sito ”Rinascita animalista”.

 

Per molto tempo le espressioni organizzate dell’animalismo non hanno costituito un problema di ordine pubblico. Esse hanno dato, sin dalla loro nascita, la dimostrazione di una buona compatibilità con la società vigente e le sue leggi. L’associazionismo protezionistico ha potuto attraversare decenni interi senza alcun problema di ordine legale, riuscendo a conquistare da parte delle istituzioni quel vago rispetto che non si nega a nessuno. Le attività dall’associazionismo hanno avuto e hanno tuttora un carattere contraddistinto da iniziative informative, petizioni e conferenze. Oggi, anche quando hanno come interlocutore le istituzioni pubbliche, le associazioni mantengono posizioni moderate nella convinzione di adottare lo stile relazionale più opportuno per conquistare spazi di miglioramento per la vita degli animali.
Con il tempo si è diffusa l’opinione che tale strategia non avrebbe condotto a risultati concreti. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti sono nati gruppi che hanno radicalizzato la questione animale incominciando a introdurre nella prassi animalista attività illegali come i blitz negli stabulari e negli allevamenti. Naturalmente non tutti i gruppi hanno seguito questa strada e si può affermare che ancora oggi l’atteggiamento prevalente dell’animalismo sia quello delle origini. Tuttavia i gruppi più innovativi hanno conquistato una visibilità e un’incidenza proporzionali al loro dinamismo ed è naturale che, in queste nuove condizioni, la questione animale si sia radicalizzata e abbia incominciato ad avere l’onore di una attenzione più stretta da parte di polizia e magistratura.
È logico che le attività notturne dei liberazionisti siano oggetto di tale attenzione, considerando che un sistema tende a combattere i comportamenti che definisce illegali. Apparentemente è meno logico l’interesse esagerato delle istituzioni sulle attività antispeciste svolte alla luce del sole. Infatti la società liberale dichiara che ogni istanza ha la possibilità di affermarsi se diventa maggioranza e, affinché ciò avvenga, può confrontarsi senza limitazioni nell’arena pubblica. Sappiamo bene che il gioco è truccato, ma le forme vengono generalmente salvaguardate consentendo l’espressione del dissenso. Perché, dunque, in questo caso il gioco non funziona? Le ragioni sembrerebbero due.
Innanzitutto, le manifestazioni liberazioniste hanno la caratteristica di essere di lunga durata. Ad esempio, una campagna contro la sperimentazione animale o contro l’alimentazione carnea, se esce dalla logica del protezionismo, non può che andare avanti fino allo sfinimento degli attivisti o alla risoluzione del problema. L’intervallo di tempo in cui la protesta si esprime, considerando la forza dell’ideale animalista, può essere quindi molto lungo e, di conseguenza, il suo controllo implica dispendio di risorse. Da qui i divieti imposti con pretesti risibili. La seconda ragione è ancora più importante. In genere le proteste, ad esempio per il welfare, la pace o il risanamento della politica, si inscrivono in un panorama che tutti sostengono di accettare, compatibilmente con risorse e situazioni.
Il welfare è giusto, ma il suo livello è stabilito dalle risorse disponibili. La pace è doverosa, ma occorre sconfiggere il terrorismo. La politica va certamente risanata e «stiamo lavorando per questo». Invece la richiesta per i diritti fondamentali degli animali è inaccettabile, perché, se fosse accolta, comporterebbe la crisi irreversibile del sistema economico di qualsiasi paese. Dunque la protesta animalista può essere tollerata soltanto se, limitata nel tempo, sussurra inviti moderati e generici a riflettere su macelli e laboratori. Ci pensa poi l’ordine simbolico del sistema sociale, con i suoi collaudati sistemi di rimozione, ad estinguere il trauma della visione di un capra sgozzata o di un visone spellato ancora vivo. Invece l’iterazione senza tregua della presentazione del dramma animale rischia di stabilizzarsi dentro soggetti che scoprono la realtà e di dare l’avvio a un pericoloso processo di emulazione e proselitismo in individui sensibili.

Negli Stati Uniti è stata approvata una legge che rende perseguibile penalmente qualsiasi attività suscettibile di recare danno al profitto di imprese che usino o si occupino di animali, incluse le proteste pacifiche, i volantinaggi, ecc. Tali attività pacifiche e dimostrative sono addirittura paragonate ad atti di terrorismo. Ogni azione diretta contro aziende che usino animali è sanzionabile. In questo paese si è persino giunti a infiltrare i piccoli gruppi non solo per controllarli, ma addirittura per indurli a commettere reati. Altrettanto è stato fatto in Gran Bretagna sottoponendo per legge gli animalisti al divieto di volantinare, pronunciare slogan e usare il megafono durante le manifestazioni.
Tali restrizioni non sono mai state poste a nessuna protesta di piazza in tempo di pace nella storia delle democrazie liberali dell’ultimo secolo e si è giunti perfino a dire che «oggi gli attivisti per i diritti animali vengono subito dopo i terroristi islamici in termini di minaccia nei confronti della stabilità dell’ordine democratico» (1). In Gran Bretagna è stato istituito un ente, il National Extremism Tactical Coordination Unit (NETCU), con il ruolo di coordinare la risposta contro il movimento animalista e stroncare la protesta legale di cui è portatore. L’intento repressivo di queste misure non ha tardato a manifestarsi e in entrambi i paesi anglosassoni gli attivisti sono perseguiti grazie alle nuove norme (2).
E in Italia? Qui non siamo ancora giunti alle leggi speciali perché il movimento liberazionista è ancora acerbo, ma vanno ricordati due eventi estremamente significativi accaduti il primo a S. Polo d’Enza e il secondo a Ivrea. Essi costituiscono i probabili modelli repressivi del futuro se l’antispecismo liberazionista riuscirà a diventare socialmente rilevante nel nostro paese. Il primo caso ha comportato il divieto di protesta davanti al noto canificio Morini, azienda che produce beagle destinati alla sperimentazione animale. Dopo un numero interminabile di manifestazioni, l’ultima iniziativa è stata funestata da cariche della polizia così dure e ingiustificate da ricordare in scala ridotta le botte di Genova.
Per quanto il paragone debba essere relativizzato, non si giustifica il silenzio dei media che ha circondato l’evento. Una stampa non asservita si sarebbe impegnata per stigmatizzare le aggressioni che, secondo alcune testimonianze, si sono espresse con violentissimi pestaggi (3). Il secondo caso è quello di Ivrea. Le proteste davanti all’azienda RBM che pratica la sperimentazione animale sono proseguite per circa 18 mesi tra il 2003 e il 2004 e probabilmente sarebbero ancora in corso se la Questura non avesse revocato i permessi con motivazioni pretestuose. Affermare che un gruppo di ragazzi confinati da polizia e carabinieri dietro una siepe alta tre metri e lontani quasi 100 metri dal primo edificio dell’azienda possa creare problemi di ordine pubblico significa solo essere animati dall’intenzione di non sopportare un’iniziativa inconcepibile per la sua durata.
Ma il modello repressivo di Ivrea non si è esaurito con i divieti. Una volta concluse le manifestazioni, l’RBM ha citato una dozzina di attivisti per offese all’onore e al decoro dei dipendenti. Occorre nuovamente segnalare che gli slogan, i campanacci, i fischietti non avrebbero dato luogo a rivalse se le manifestazioni non si fossero protratte per tanto tempo. Si prefigura dunque un assurdo giuridico. Un’attività legale e riconosciuta dalla Costituzione, la protesta, rimane tale se condotta per un tempo limitato. Oltre questo limite temporale, non previsto da nessun codice e lasciato agli umori di funzionari dello Stato, è possibile fare leva sugli elementi di una normale manifestazione per avviare denunce che risolvano la protesta.

Aldo Sottofattori

Note

1. Cfr. Matthew Humphrey e Marc Stears, La protesta per i diritti degli animali e la sfida per una democrazia deliberativa, in «Lo Straniero», n. 85, luglio 2007, pp. 42-67.
2. Per maggiori ragguagli intorno alla repressione del liberazionismo nei paesi anglosassoni cfr. «La Nemesi».
3. Particolarmente significativi sono i resoconti riportati in Sabrina Tonutti, op. cit. in bibliografia, pp. 231-232.

Tipologie di gruppi di attivisti per i diritti degli animali

L’approccio alla galassia “animalista” non può prescindere da un preliminare esame dei «repertori di azione collettiva e dalle forme di organizzazione proprie delle varie espressioni del movimento» (Tonutti, op. cit. nella bibliografia). Si passa per le forme di protesta convenzionali (petizioni, volantinaggi, conferenze) per giungere a quelle dimostrative (boicottaggi, picchetti, scioperi della fame) fino a quelle confrontative (dimostrazioni con contatto fisico con gli oppositori) e illegali (liberazioni di animali e distruzione di materiale connesso al loro sfruttamento). Fanno parte del primo gruppo le iniziative tipiche dell’associazionismo classico (LAV, LAC, UNA) che tendono a garantirsi un rispetto istituzionale. Le iniziative dimostrative sono legate a gruppi meno strutturati che si attivano su obiettivi particolari normalmente caratterizzati come campagne. La campagna AIP (Attacca l’Industria della Pelliccia) e l’omonimo gruppo ne costituiscono un esempio. Le azioni confrontative, tipiche di alcuni gruppi anglosassoni, non hanno corrispettivi in Italia mentre le azioni illegali hanno un certo spazio e sono genericamente firmate con l’acronimo ALF (Fronte di Liberazione Animale).