Rivista Anarchica Online


Armenia

Tra sterminio e speranza
Intervista a Baykar Sivazliyan
di Oscar Greco

 

I recenti drammatici avvenimenti in Turchia hanno riproposto la “questione armena”. Che cosa si nasconde dietro la contrapposizione tra militari (e industriali) e religiosi.
A colloquio con un docente universitario, esperto di Storia e Letterature dell’area mediorientale.

 

A suo avvivo le grandi manifestazioni in favore della “laicità e della democrazia” (v. il 14 e il 29 aprile 2007) organizzate dal partito di opposizione CHP [Cumhuriyet Halk Partisi – Partito Popolare Repubblicano (partito fondato da Atatürk), N.d.R.] hanno rappresentato un’iniziativa spontanea della società civile o potrebbero essere state “manovrate” dai militari? Stando alle dichiarazioni dei partecipanti, le manifestazioni erano anche contro il “golpe” (minacciato con il “comunicato di mezzanotte” dell’esercito). Come giudica l’esplicito richiamo ad Atatürk, esibito in tanti striscioni e bandiere?

Mustafa Kemal Atatürk è il simbolo della Turchia moderna. Non sempre però rappresenta la laicità; più volte i numerosi regimi che hanno tenuto sotto il tallone il popolo turco, si sono serviti della figura di questo soldato-politico. Quando si trattava di consolidare il proprio potere, in ogni periodo più o meno nefasto della storia della Turchia, molti si sono serviti della figura del fondatore della Turchia “moderna”. I primi governanti della Repubblica Turca erano i membri riciclati del Partito Unione e Progresso (Ittihat ve Terakki) che tennero saldamente in mano il potere nell’Impero Ottomano a cavallo fra il 1800 e 1900. Portarono alla disfatta il paese durante la Prima Guerra Mondiale, si macchiarono del Primo Genocidio del XIX secolo, quello armeno, fondarono il loro potere economico sulle ricchezze sottratte agli Armeni e ai Greci massacrati. Potrei fare un lungo elenco di personaggi che da lugubri assassini divennero ministri della nuova Repubblica.
L’Occidente nella sua voluta distrazione, confonde i nazionalisti turchi con i laicisti che si trovano in tutte le strutture del paese turco, non solo nelle file delle forze armate. Tanto per parlare chiaro, gli assassini di padre Santoro, del giornalista armeno Hrant Dink e i torturatori assassini di Malatya (18 aprile 2007, assalto alla casa editrice cristiana Zirve e uccisione di tre persone, N.d.R.), appartengono alla stessa radice.


Nuova spartizione del potere

Sia i militari che la Tusiad (l’associazione degli industriali turchi) si sono mostrati ostili nei confronti di Abdullah Gul, il candidato del partito AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi – Partito per la giustizia e lo sviluppo, N.d.R.) di Erdogan, ritenuto un “fondamentalista” per quanto moderato. Contrari anche alcuni partiti, sia di destra che di sinistra, tanto che alla fine Gul ha ritirato la propria candidatura. Può darci qualche chiarimento?

Quello che sta succedendo in Turchia non è una lotta fra i laici e i religiosi. Finalmente, dopo quasi 90 anni dalla fondazione della Repubblica Turca, si assiste a una nuova spartizione del potere. I militari si vedono sottrarre una parte delle loro prerogative di concessione “divina” a favore della società civile e delle minoranze. Ricordo che anche i kurdi vengono considerati una minoranza, ma erroneamente. Infatti su un quarto del territorio sono la massiccia maggioranza e ogni tre cittadini turchi uno è kurdo. Attualmente attorno alle grosse città come Istanbul, Ankara e Izmir ci sono delle vere e proprie città “kurde”. In questa nuova realtà, di spartizione, si è inserito anche il mondo islamico moderato della Turchia. L’Islam fa parte integrante della Civiltà Turca e non ha le sembianze dell’Islam integralista. La religiosità turca è stata sempre mite e tollerante nei confronti del diverso, dell’ebreo e del cristiano. I Giovani Turchi erano tutti atei, non hanno organizzato il Genocidio degli Armeni per motivi religiosi, ma vedevano questo popolo come una minaccia all’integrità della Turchia. Negli anni successivi i loro eredi nazionalisti hanno fatto la stessa cosa con i kurdi (e continuano ancora a farlo) che non sono cristiani ma islamici come i turchi. La religione in mano ai nazionalisti (che si presentano in questi giorni come paladini del laicismo) è stata un pretesto per l’oppressione.
Anche gli industriali turchi oggi temono le spinte della massa operaia e della società civile come una minaccia ai loro interessi concreti. Hanno paura che domani, senza il pugno di ferro dei militari, potrebbero essere non più facilmente controllabili.

Tra i fatti più drammatici degli ultimi tempi, l’uccisione di uno scrittore armeno e di alcuni cristiani. Come ha reagito l’opinione pubblica turca?

L’opinione pubblica turca e la società civile in Turchia sono mille miglia più avanti rispetto al potere dominante. Ai funerali del giornalista armeno centinaia di migliaia di cittadini, turchi, kurdi e gli ultimi pochi armeni rimasti gridavano “Siamo tutti armeni, siamo tutti Hrant”. Tutto ciò ovviamente ci fa sperare in meglio, anche se la strada è lunga ed è molto faticosa. Il primo maggio, più di 700 cittadini sono stati incarcerati perché ricordavano gli eccidi che la forza brutale del potere aveva compiuto vent’anni fa durante una analoga manifestazione.

Come è stato ricordato quest’anno in Turchia l’anniversario del genocidio armeno, il 24 aprile?

In Turchia non si ricorda il 24 aprile, giorno della memoria del Genocidio degli Armeni. È vietato per legge. Malgrado i numerosi appelli di tanti intellettuali e membri della società civile turca, lo stato turco non ha avuto ancora il coraggio di riconoscere questa immane tragedia. Il governo di Erdogan ci è andato vicino, ma forse anche per questo motivo sta pagando una pesante fattura. Del resto non invidio i turchi onesti di oggi che devono fare una serie di conti con il passato per crearsi un presente dignitoso.
La questione armena non è la sola. Esistono anche la questione kurda, i diritti umani, la situazione sociale, la questione cipriota, le relazioni con i vicini, quasi tutti i vicini (Grecia, Siria, Iran, ecc.). Numerosi intellettuali turchi, da anni, sono costretti a vivere fuori dalla Turchia e tantissimi sono stati giudicati in contumacia per reati di opinione. Il più grande sociologo turco vivente Taner Akçam è esule negli Stati Uniti. Il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, il giorno dopo l’assassinio di Hrant Dink, ha preso il primo aereo per la stessa destinazione. A Parigi ci sono più intellettuali turchi che a Izmir.

Una domanda per quanto riguarda il quadro internazionale. Negli ultimi tempi si ha l’impressione che gli Usa stiano “scaricando” la Turchia, forse a favore del Kurdistan “iracheno” e di alcuni stati dell’Asia centrale che darebbero maggiori garanzie, anche in materia di basi militari. La sua opinione?

Il mondo globale è diventato sorprendentemente pratico. Se un aeroporto in Turkmenistan costa centomila dollari all’amministrazione statunitense, perché gli Usa dovrebbero spendere milioni di dollari per avere la stessa pista di decollo in Turchia? Prima era diverso; c’era l’Unione Sovietica i due blocchi, il muro, i regimi, ecc. Sembra che gli Stati Uniti, avendo puntato su un Kurdistan irakeno, l’unico pezzo dell’Iraq dove riescono a controllare “due case e tre strade”, abbiano deciso (ma non ancora confessato per il momento) per una sua autonomia. Così facendo, hanno scelto di andare in rotta di collisione contro i militari turchi che non potranno mai ingoiare un rospo di tali proporzioni. Vedono questa nuova realtà, come un primo pezzo di un futuro Kurdistan indipendente che inesorabilmente chiederà fra qualche anno i suoi territori a Nord, oggi sotto l’amministrazione turca.

La Repubblica di Armenia

Quando si parla degli armeni viene privilegiato il discorso sul genocidio perpetrato dalla Turchia. Si rischia di dimenticare che esiste una Repubblica di Armenia che ha permesso a questo popolo di conservare la propria cultura e identità nonostante le tragiche vicissitudini. Che cosa rappresenta la Repubblica di Armenia?

La repubblica dell’Armenia attuale rappresenta per gli armeni di oggi, soprattutto un decimo del territorio dei propri avi.
L’Armenia è il baluardo della cultura e delle tradizioni armene, per tutti gli armeni sparsi per il mondo che sono ormai quasi una decina di milioni: 3,3 in terra armena, due milioni in Russia più di un milione nell’America del Nord, mezzo milione in Francia, altrettanti in Medio Oriente e il resto sparso per il mondo intero. La parte della popolazione armena più controversa numericamente si trova in Turchia: ufficialmente ci sono 60.000 armeni cittadini turchi e 30.000 armeni cittadini dell’Armenia, e circa 10.000 armeni di “varie” cittadinanze, cioè circa 100.000. Per altre fonti invece pare che in Turchia ci siano almeno due milioni di armeni o armeni turchizzati.
È sicuramente una questione molto delicata. Ogni tanto si mormora dell’armenità di qualche pezzo grosso turco oppure saltano fuori l’armenità di alcuni turchi molto importanti del passato. Un esempio lampante, causa di grande scandalo risale a circa un anno fa. La figlia adottiva di Mustafa Kemal Atatürk, la prima Ufficiale dell’aeronautica turca della storia, risultava figlia di una famiglia armena di massacrati.
Gli armeni della diaspora guardano all’Armenia come una grande speranza della rinascita. La realtà dell’Armenia ha le sue radici in una storia plurimillenaria. È noto che anche gli storici dell’antica Grecia parlavano degli Armeni e dell’Armenia. Malgrado l’unità nazionale e lo stato nazionale armeno abbia cessato di esistere per molti secoli (precisamente dal 1375 al 1918) sul territorio geograficamente chiamato Armenia, non ha mai cessato di esistere il popolo armeno, anche sotto numerose dominazioni (araba, persiana, ottomana e russa). I due anni della Repubblica Armena Indipendente nata dopo il Genocidio del 1915 sono stati il preludio difficilissimo della Repubblica Sovietica Socialista dell’Armenia che faceva parte dell’URSS. Per settant’anni, fino al 1991, è stata un angolo di rinascita per il popolo armeno. Cosa mai vista nella storia dell’Unione Sovietica, dal 1948 numerose famiglie armene decisero di trasferirsi nell’Armenia Sovietica acquisendone la cittadinanza. Se pensiamo alla quantità di cittadini sovietici desiderosi di andare in occidente, possiamo capire l’originalità del fenomeno.

Che ruolo hanno avuto gli Armeni nella Seconda Guerra Mondiale?

Malgrado fossero usciti da una immane tragedia come quella del Genocidio, gli abitanti dell’Armenia Sovietica hanno partecipato molto attivamente alla Seconda Guerra Mondiale. Il popolo armeno in quel periodo contava circa un milione e trecentomila individui abitanti nella piccola Repubblica e perse nella guerra contro i nazisti 250.000 dei suoi migliori figli. Va detto che gli armeni sono stati la popolazione sovietica che in proporzione ha dato più ufficiali e più eroi all’Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale. Va precisato che anche la Diaspora Armena ha partecipato attivamente e concretamente alla grande guerra antinazista finanziando un intero corpo d’armata di mezzi corazzati, chiamato “Sasuntzi David” dal nome dell’Eroe Mitologico degli Armeni. Fra i primi gruppi di soldati sovietici che entrarono a Berlino liberata c’erano numerosi giovani del corpo di spedizione formato esclusivamente da militi armeni. Il popolo armeno sparso per il mondo, anche quando le divisioni politiche erano aspre, ha considerato l’Armenia la propria terra a prescindere dal proprio orientamento politico e tuttora numerosi esponenti della diaspora hanno una casa in Armenia e anche attività commerciali o economiche.


Storia tragica

Uno dei problemi legati alla Repubblica Armena è quello del Nagorno Gharabagh. Può tracciarne una breve storia?

Il “malessere” dell’Armenia nel sistema sovietico, nasce a cavallo fra gli anni 80 e 90 del secolo appena trascorso. Bisogna comunque dire che quel sistema aveva portato un vero benessere ai figli dei sopravvissuti al Primo Genocidio del XX secolo. Il terribile terremoto del 1989 si è presentato come detonatore del malessere degli armeni caucasici già assillati dal silenzio del potere centrale moscovita nei confronti della popolazione armena del Nagorno Gharabagh. Questa popolazione aveva continuato civilmente a chiedere, nell’ambito della legislazione vigente sovietica, una maggiore autonomia e la liberazione dal sopruso delle autorità azerbaigiane cui era stata consegnata una intera regione a maggioranza marcatamente armena, circa 97% della popolazione residente.
Quale risposta alle richieste armene, le autorità locali azerbaigiane approfittando anche dalla situazione molto confusa delle autorità sovietiche, ormai arrivate alla fine della propria storia, prepararono con cura un eccidio nella località di Sumgait. Sumgait è un importante sobborgo di Baku, capitale dell’Azerbaigian, dove abitavano decine di migliaia di famiglie armene di ingegneri ed operai specializzati nel settore dell’estrazione del petrolio. L’intento era di dare indirettamente un segnale forte agli armeni, facendo capire che, se avessero continuato a richiedere più libertà e autonomia, la pazienza degli azeri poteva essere colma. In una notte furono trucidati centinaia di armeni, donne violentate, bambini soffocati nelle loro culle. Atrocità gratuite di ogni genere che sconvolsero l’intera armenità. Il popolo armeno, in Armenia e nella Diaspora, vide di nuovo il pesante incubo del Genocidio e dell’annientamento fisico. Le proteste presso le autorità sovietiche servirono solo a far raccogliere i cadaveri e far scappare i sopravvissuti con le navi, verso il Turkmenistan, attraverso il Mar Caspio.
Ancora una volta come altre, troppe volte nella sua tragica storia, la piccola nazione armena pacifica è stata costretta a prendere le armi. Fino al 1993 gli armeni combatterono contro le forze armate azerbaigiane, tre volte più numerose, armate fino ai denti e aiutate da mercenari venuti da altre repubbliche dell’URSS. Contro gli Armeni intervennero anche migliaia di nazionalisti turchi capeggiati dai Lupi Grigi arrivati direttamente dalla Turchia, in qualche caso portandosi dietro le armi con la matricola della Nato, sottratte o semplicemente prese dagli arsenali dell’esercito turco.
Certe guerre però vengono vinte dai disperati e questo fu il caso del Nagorno Gharabagh. Gli armeni, perdendo più di 5.000 volontari, presero il controllo del loro territorio, spinsero le forze armate azerbaigiane verso l’interno del loro paese, riuscendo ad occupare un territorio sufficiente per la migliore difesa strategica della loro terra. Attualmente Nagorno Gharabagh è una repubblica autonoma non riconosciuta da nessuno ma finalmente libera dall’oppressore turco. Da allora i rapporti di dialogo, se pur attraverso terzi, fra l’Armenia e l ’Azerbaigian non si sono mai interrotti. Ovviamente come si usa in Oriente ogni colloquio precede o succede a delle scaramucce che purtroppo ogni tanto lasciano qualche morto nelle rispettive trincee.
Intanto, nel 1991, è nata la Repubblica dell’Armenia, un paese di circa 30.000 km. quadrati, con circa tre milioni e duecentomila abitanti. Il blocco attuato dalla Turchia alle sue frontiere non aiuta lo sviluppo del paese, ma gli armeni sono ben allenati a vivere in condizioni difficili, prosperano lo stesso con un certo aiuto dei loro fratelli della diaspora.

Mi sembra di capire che l’Armenia abbia avuto un “rapporto privilegiato” con l’URSS e che oggi lo mantenga con la Russia. Da cosa deriva questa vicinanza?

È vero che gli armeni hanno un rapporto privilegiato con la Russia, per il semplice motivo che negli ultimi secoli gli interessi dei due paesi sono stati convergenti. Nel Caucaso l’unico paese che è corretto nei confronti della Russia è l’Armenia. I georgiani e gli azerbaigiani stanno cercando la loro prosperità e la loro potenza presso altre realtà mondiali. Ritengo sia una scelta strategica che a lungo andare darà i suoi risultati. Dopo tante sofferenze ed esperienze negative anche il popolo armeno ha imparato a destreggiarsi nella politica internazionale. Noi come sempre siamo ottimisti.

Ma in passato ci furono problemi anche con i sovietici?

Tutte le repubbliche che facevano parte dell’Unione Sovietica avevano avuto problemi con il governo centrale. Io non credo che l’armeno di Yerevan avesse più difficoltà del russo di Mosca o del kazako o dell’uzbeko dell’Asia Centrale. Vivere bene o vivere male è una questione di cultura e il mio popolo ne possiede una, radicata da cinquemila anni. Abbiamo vissuto molte esperienze, anche dolorose, ma siamo ancora qui per sorridere e “per passare questa nostra vita di 2 giorni”, come dice il poeta armeno Hovhannes Tumanian.



Ma l’Occidente sa benissimo che…

Nella storia del popolo armeno c’è stato un movimento di liberazione nazionale analogo a quello kurdo?

Non vorrei esagerare ma tutta la storia armena è una lotta di liberazione nazionale. Gli armeni hanno dovuto fare i conti giorno per giorno con i loro vicini, con tante realtà politico-militari che hanno occupato la terra armena durante lunghi secoli. Solo per dare un piccolo esempio posso precisare che l’Armenia, dalla caduta del Regno di Cilicia nel 1375 alla nascita della Prima Repubblica Armena nel 1918, per più di cinque secoli, non ha avuto un stato centrale ed è stata governata nelle autonomie locali con la presenza delle forze straniere. Già nel 1009 i Selgiuchidi avevano iniziato ad occupare la parte orientale dell’Armenia. In seguito ci fu la presenza degli Arabi e poi, di volta in volta, la spartizione della terra armena fra i grandi Imperi. Prima quello Persiano, poi l’Ottomano e per ultimo la Russia zarista nella parte caucasica dell’Armenia.
Le lotte più tremende però le abbiamo vissute nei confronti del nazionalismo turco. Iniziarono nella seconda metà dell’ottocento, culminando nel Primo Genocidio del XX secolo, organizzato a tavolino dai Giovani Turchi. Loro credevano che salvando la parte soltanto turca del decadente impero ottomano si poteva salvarne la continuità. Tutto ciò che non era turco era da eliminare. C’erano tre principali minoranze e loro sono stati molto abili nell’annientare una alla volta questi componenti del tessuto civile dell’impero ottomano. Prima hanno diviso per religione, iniziando l’annientamento di quelle cristiane. Hanno usato molto abilmente la terza minoranza, quella kurda contro le prime due: armeni e greci. Dopo essersi sbarazzati dei cristiani, usando appunto i kurdi come manodopera, si sono rivolti contro i kurdi, il cui annientamento continua fino ai nostri giorni. L’Occidente, Italia compresa, sa benissimo quello che sta succedendo anche oggi nell’Anatolia Orientale, ma tace per potere continuare i suoi affari con la Turchia.

Qual è il suo ruolo attuale, in quanto esponente della comunità armena in Italia, nei confronti della Repubblica di Armenia?

Ogni armeno, nel rispetto della sua appartenenza come cittadino di un qualsiasi paese, non dimentica mai la sua terra natale. Noi siamo degli individui molto integrati nel paese dove abbiamo deciso di vivere. L’Italia è stata una terra molto ospitale per noi armeni anche prima del Genocidio. Potrei dire che ha salvato la nostra cultura, nella sua integrità, dando spazio e libertà d’azione a un grosso centro che è stato ed è tuttora l’Isola di San Lazzaro degli Armeni. A Venezia fino al 1996 è esistito un Collegio che ha preparato gran parte degli intellettuali armeni iniziando dal 1836. Il lavoro più significativo che io personalmente riesco a fare per le mie due terre, per l’Armenia e per l’Italia, è quello di andare in tante scuole italiane di ogni ordine e grado, portare la mia testimonianza e raccontare la storia del mio popolo di appartenenza. Ho anche scritto molto su questi argomenti e per la Regione Veneto ho pubblicato due volumi che appunto parlano degli armeni del Veneto e della loro integrazione nell’ospitale terra veneta. Per desiderare la pace bisogna anche portare degli esempi concreti. La Pace non è una cosa astratta. La convivenza, il reciproco riconoscimento e la concordia fra diverse culture e diversi popoli e religioni sono cose anche terribilmente pratiche; bisogna viverle con serenità, costruire assieme giorno per giorno.

Un’ultima questione. La questione armena è entrata a far parte dei “Criteri di Copenaghen” per l’accesso della Turchia nella UE?

Nei “Criteri di Copenaghen” ci sono generiche richieste di “buon vicinato” con i confinanti della Turchia, Armenia compresa. Però ai primi di settembre 2006 la Commissione Esteri del Parlamento Europeo, fra centinaia di emendamenti acquisiti per sottolineare il rallentamento della Turchia nel processo di integrazione, ha inserito in modo assoluto il riconoscimento del genocidio. E questo naturalmente ha fatto arrabbiare la Turchia perché, accettandolo, dovrebbero rivedere i fondamenti della loro storia, mettere in discussione anche l’onestà dei padri fondatori. Ammettere, come ha fatto lo scrittore Akçam (processato, condannato a quindici anni e fuggito negli Stati Uniti) che “la nostra economia è fondata sul denaro, le case e le terre rubate agli Armeni”.

Gianni Sartori