Rivista Anarchica Online


ginocidio

La violenza contro le donne
di Daniela Danna

 

È una vera e propria strage a livello globale. Se ne occupa un volume appena edito da Elèuthera.

Attraverso questa indagine sulla violenza contro le donne abbiamo cercato anche una parziale risposta all’importante domanda se la condizione femminile sia migliorata o peggiorata nel mondo contemporaneo globalizzato, interrogandoci sul ruolo del capitalismo e dell’economia di mercato nella sua promozione o nel suo abbassamento. Le conseguenze della violenza non sono solo dolore e danni fisici, ma anche disagio psicologico: si tratta di atti di invasione della propria persona che appaiono in modo più evidente e doloroso nella violenza sessuale, ma in realtà anche negli altri tipi di violenza vi è questo senso di perdita di sé. La violenza sessuale, quella che non può essere ricambiata dalle donne sugli uomini con le medesime modalità, aggiunge un senso di vergogna, e spesso un ulteriore abuso nel momento in cui la vittima di stupro si rivolge a coloro che dovrebbero aiutarla: medici e infermieri, poliziotti e giudici. In moltissime situazioni la violenza subita è la punizione per la disobbedienza, rappresenta l’inizio di una lotta, è una rappresaglia subita per aver detto no a una richiesta ingiusta: è repressione, che certo non sarebbe avvenuta se la donna, la ragazza, la bambina avessero piegato la loro volontà alle imposizioni esterne. La violenza ginocida è dunque solo in modo apparente, sensazionalistico, il problema numero uno per valutare la posizione sociale delle donne. Se la violenza contro le donne sia aumentata o diminuita rimane un aspetto importante della condizione femminile, ma la questione è molto più generale.
Nei diversi capitoli abbiamo visto in dettaglio i problemi metodologici legati alla valutazione dell’aumento o della diminuzione della violenza ginocida in alcune aree del mondo particolarmente interessanti al nostro sguardo, o anche semplicemente meglio conosciute. Un’ulteriore cautela metodologica sta ovviamente nella frammentazione geografica dei dati, nella incompletezza delle descrizioni dei paesi e inoltre nel fatto che non abbiamo affatto parlato dell’evoluzione di moltissime altre nazioni, tra cui spicca l’assenza delle donne dei due paesi più popolati al mondo, che rappresentano insieme un terzo dell’umanità: l’India e la Cina, i cui modi di vita sono in veloce trasformazione.
Per alcuni aspetti la nostra indagine rivela cambiamenti molto positivi, ad esempio indubbiamente lo sono i mutamenti recenti negli accordi internazionali tra quasi tutti gli Stati esistenti al mondo, che hanno discusso e sottoscritto testi come la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite (1993) che impone di:

Adottare tutte le misure appropriate, specialmente nel campo dell’istruzione, per modificare i modelli sociali e culturali di condotta degli uomini e delle donne ed eliminare i pregiudizi, le pratiche tradizionali e tutte le altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità o superiorità dell’uno o dell’altro sesso e su ruoli stereotipati per uomini e donne (articolo 4, comma j)...

mentre anche l’articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea stabilisce che uno degli obiettivi dell’Unione, e uno dei pochi obiettivi sociali, è la parità tra uomini e donne.



Rivoluzione solo nel diritto

I passi più grandi per combattere la violenza contro le donne sono stati fatti proprio nella trasformazione delle leggi, sia dal lato delle sanzioni che dal lato dell’istituzione e del finanziamento pubblico dei rifugi antiviolenza, anche se i risultati di questi cambiamenti non si sono immediatamente riflessi nella diminuzione del ginocidio nei vari Stati. A partire dagli anni Settanta, prima l’Europa occidentale e gli altri paesi sviluppati, poi la maggior parte dei paesi dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa, hanno cambiato la rubricazione dello stupro da reato contro la morale a reato «contro la persona» o «contro la libertà sessuale», allargandone la definizione ad atti sessuali diversi dal coito vaginale (1); impedendo domande sulla «onorabilità» della vittima (che ad esempio rendevano non perseguibile lo stupro di una prostituta); cancellando l’eccezione maritale, che lasciava impunito lo stupro all’interno del matrimonio; introducendo reati specifici come i maltrattamenti familiari e «ordini di protezione» che impediscono al maltrattatore di avvicinarsi a moglie e figli anche se ne condivide la residenza familiare (dalla Svezia al Sudafrica passando per la Turchia); togliendo le attenuanti per l’omicidio «passionale» o d’onore. A questa rivoluzione nel diritto, avvenuta in un quarto di secolo in gran parte del mondo (2), non ha però corrisposto un mutamento altrettanto pervasivo della considerazione sociale del sesso femminile: in troppi luoghi è ancora bollata come «donna pubblica» colei che ha un’attività sessuale prematrimoniale, lo stupro è considerato un atto di scarsa gravità, quando non legittimato da cosiddette provocazioni femminili, e il «potere correzionale» del marito sulla moglie che non obbedisce a lui o alle convenzioni sociali esiste ancora a dispetto delle norme di legge. E il desiderio amoroso di un uomo per una donna si manifesta in modo ancora così inscindibile dall’idea di possesso da rendere inaccettabile che lei ponga fine alla relazione: se una donna respinge colui che è stato il suo uomo, spesso rischia una reazione fatale.



Se un tempo lo stupro era un reato contro la morale e un atto infamante per la stessa vittima, se un tempo la «disciplina» della moglie era un diritto sancito del marito, se un tempo non poteva esistere una violenza sessuale all’interno del matrimonio, perché le mogli erano tenute al «dovere coniugale», il fatto che oggi questi atti siano qualificati come reati significa che è stato assunto pubblicamente il punto di vista delle donne che sono alla ricerca di nuovi, e migliori, rapporti tra i sessi. Un rapporto intimo basato sulla reciprocità e sulla parità è umanamente preferibile a un rapporto di subordinazione e di prevaricazione non solo per le mogli ma anche per gli stessi mariti: non più padroni ma partner in uno scambio sincero.
Nell’attuale processo di globalizzazione si possono trovare anche altri indicatori favorevoli, come il fatto che sia in diminuzione il numero medio di figli per donna, così come l’aumento dell’istruzione femminile, indicatori fortemente correlati alla scarsa frequenza di violenza (3). Dai dati presentati si ricava una recente e inequivocabile diminuzione della violenza ginocida solo negli usa e in Canada e solo a partire dalla metà degli anni Novanta (e anche in Italia c’è qualche segnale di diminuzione), ma non sappiamo se l’andamento contrario di altri paesi, generalmente in crescita, rifletta un effettivo aumento del fenomeno o al contrario un’incessante presa di coscienza di un numero sempre maggiore di donne che non vogliono più subire ciò che prima sembrava loro impossibile da evitare.
Tuttavia possiamo dire, in un discorso molto generale, che gli indizi raccolti finora sono fortemente contrari alla tesi che glorifica la globalizzazione per i suoi effetti sociali benefici anche sulle donne. L’importanza del «collettivismo», ovvero dell’impiego di strumenti pubblici nella gestione dell’economia e della società, nel ridurre la violenza contro le donne è stata sottolineata da molti studi, così come l’importanza dei servizi sociali e sanitari che permettono alle donne di sfuggire alla violenza ginocida che si consuma in famiglia, quella che risulta essere più pervasiva.
Viceversa lo smantellamento dello Stato sociale in atto quasi ovunque nel mondo con l’applicazione delle politiche neoliberiste non può che far regredire la situazione delle donne, la cui discriminazione sul mercato del lavoro persiste nei paesi sviluppati, le ricaccia nella sfera privata in quelli ex comunisti e le mantiene in condizioni di pura sussistenza nei paesi sottosviluppati. Qui in verità è in aumento il tasso di occupazione femminile, anche se per lavori precari e senza grandi prospettive di carriera. L’espansione delle zone di produzione per l’esportazione in tutti i paesi poveri introduce sfide importanti al modo di vita tradizionale perché vi lavorano in grande prevalenza donne, ma le condizioni di sfruttamento in cui la manodopera viene impiegata fanno pensare anche qui a un bilancio negativo, per lo meno al momento attuale: le donne accedono a un modo di produzione per il mercato e così sfuggono ai ruoli tradizionali del modo di produzione contadino familiare (come fu nel passato europeo), e tuttavia si tratta di pura sopravvivenza, non dell’apertura di una prospettiva di vita diversa – tranne che nel Sud-Est asiatico dove il tenore di vita è in effettivo aumento (Benería 2005).

Roma 25 novembre, manifestazione per la giornata mondiale
contro la violenza sulle donne. Foto da www.edoneo.org

Concorrenza uguale a maggior sfruttamento

La concorrenza non ha sempre un valore positivo, come invece affermano gli ideologi del Mercato: essa significa maggiore sfruttamento, si esprime nella famosa corsa al ribasso o corsa verso il fondo, che impegna gli Stati allo scopo di attrarre il capitale, gli investimenti, pagando qualunque prezzo. Come ben sintetizza Susan George: «È sempre possibile aumentare i profitti sfruttando ancora di più il lavoro o la natura». Lo sfruttamento della forza lavoro e l’abbandono di quel sistema collettivo di sostegno che è il lato positivo degli stili di vita tradizionali, spesso si traducono semplicemente in un individualismo in cui il più forte vince, sia in ambito economico che sociale. E raramente il più forte è una donna.
Inoltre la guerra divampa in molte parti del pianeta, anche nella forma dell’impossibile «guerra al terrorismo», con la quale dobbiamo intendere un pericoloso regresso nelle garanzie giuridiche come l’habeas corpus e il non essere sottoposti a tortura, sia per le donne che per gli uomini. Contemporaneamente, anche in risposta allo sfruttamento economico degli strati più bassi dei paesi poveri, avanzano e si diffondono i fondamentalismi religiosi, cristiano, ebraico, induista e musulmano. La rinascita fondamentalista tuttavia costituisce anche una reazione ai cambiamenti nella posizione sociale delle donne, una battaglia di retroguardia fatta anche di recrudescenza della violenza per reazione alla fine dell’obbedienza femminile. Scriveva Hannah Arendt: «Coloro che detengono il potere e sentono che sfugge loro di mano, si tratti di governi o di governati, hanno sempre trovato difficile resistere alla tentazione di sostituirlo con la violenza». Purtroppo non è detto che questa sostituzione del potere con la violenza non risulti efficace.

Daniela Danna

Note

  1. Per evitare che i tribunali dovessero stabilire esattamente se vi era stata penetrazione completa o meno: un particolare influente nel quadro di una visione dello stupro come reato contro un’entità astratta come la morale, ma molto meno importante se si considera il reato come danno nei confronti di un essere umano.
  2. Vi sono certamente zone di regresso, come l’Iran, l’Afghanistan, la Somalia, l’Algeria, le zone dell’ex blocco sovietico, mentre altrove la situazione è più confusa.
  3. Vedi l’articolo di Propesa (1997), in cui usando dati nazionali raccolti dal ministero della Salute messicano nel 1992 si mettono a confronto le due prospettive della modernizzazione o della marginalizzazione, valutando empiricamente le conseguenze delle trasformazioni economiche sui rapporti tra i sessi che le due teorie prevedono.


Elèuthera

Daniela Danna
Ginocidio
La violenza contro le donne nell'era globale

2007
160 pp.
euro 14,00

per acquistare il libro direttamente online:
http://www.eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=211

Questo libro affronta un tema tornato di grande attualità, in Italia e non solo, a causa dei recenti frequenti ed efferati episodi di violenza contro le donne. Una violenza che fa strage di donne in tutto il mondo. Quasi un genocidio. Anzi, un ginocidio, in quanto questa violenza viene giustificata dal giudizio sull'inferiorità sociale femminile e dal desiderio di controllo del corpo delle donne attraverso le limitazioni alla sessualità e alla vita sociale.
Il testo è diviso in due parti. La prima parte è tematica: descrive e analizza stupri, maltrattamenti in famiglia, omicidi, violenza culturale, istituzionale ed economica, fenomeni visti come azioni sociali e non individuali correlate alla disuguaglianza tra i generi e più in generale al grado di disuguaglianza presente in una data società. La seconda parte usa invece un approccio geografico, mettendo a confronto scenari diversi come quelli di Italia, Paesi scandinavi, Americhe, Europa dell'Est e Paesi musulmani.
Ginocidio è un termine che comincia a circolare anche in Italia, coniato dalla femminista francese Antoinette Fouquet, di recente utilizzato anche per indicare le tristemente note stragi di Ciudad Juarez (Messico).