Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Il rifiuto
dell’opzione
telefonica

 

In Nocturne, che scrive nel 1997, Ed McBain, come suo solito, incastona un raccontino di quelli che, pur non strettamente funzionale all'economia della narrazione principale, la dice lunga come una parabola evangelica.
Siamo in una grande città e c'è un tizio che ha un problema. Alle dieci e dieci di sera telefona al Centro Azione del Sindaco. Una voce registrata gli offre varie opzioni: se volete questo, premete uno, se volete quest'altro premete zero. Detto e fatto: una voce registrata gli dice che tutti gli operatori, al momento, sono occupati e che, dunque, doveva attendere un po'. Ogni trenta secondi la voce si fa risentire e così passano sei o sette minuti. La pazienza è alla fine premiata: un operatore “umano” chiede cosa può fare per lui e lui, dopo essersi presentato con nome e cognome, gli dice che ha un problema di inquinamento acustico – in quel preciso momento, su un certo ponte, proprio sotto casa sua, stanno dandoci dentro a più non posso con il clacson. Cosa si può fare? Non è quello il numero giusto. Bisogna telefonare al Dipartimento Protezione Ambiente. Gli può dare il numero? Certo, che glielo può dare. Fa il numero e la solfa è quella di prima: numeri da schiacciare, attese, presentazione del problema e promessa che la soluzione può venire soltanto da un altro ufficio – di cui viene gentilmente fornito il numero. Così il poveretto passa dalla Protezione Ambiente alla Commissione Taxi – perché sembra che i taxi siano i più rumorosi –, alla Commissione Relazioni Pubbliche, all'Ufficio Traffico, di nuovo alla Protezione Ambiente e ancora ad un ufficio di polizia, dove gli dicono che sì, suonare il clacson in una situazione che non sia di emergenza è contro la legge, ma si tratta di una legge “estremamente difficile da far rispettare”, perché è difficile individuare con totale sicurezza chi suona il clacson e chi no. Esausto, a questo punto il cittadino si arrende, “rimane a lungo a sedere con la mano sul ricevitore e la testa china”; poi spalanca la finestra sull'assordante concerto di clacson e prima sussurra e infine urla il suo “basta”.
L'incubo kafkiano, da cupa fantasia letteraria che era, si è da tempo trasformato in una realtà accettata – magari obtorto collo, ma sostanzialmente accettata. McBain scriveva nell'America di dieci anni or sono e noi stessi conviviamo ormai con questo stato di cose all'apparenza tragicamente irreversibile: non c'è più istituzione o grande azienda che, in fatto di comunicazioni telefoniche, non sia diventata una fonte di frustrazione ad alto contenuto tecnologico ed al minimo contenuto di umanità. Questo stato di cose, a mio avviso, una volta smentiti gli sbandierati obiettivi dell'“efficienza” e dell'“economicità” – perché la frustrazione del cittadino ha costi sociali e perché molto di quel che si spende in pubblicità potrebbe essere risparmiato a vantaggio di tutti –, risponde a due esigenze inconfessate. Da un lato, la necessità dello “scaricabarile” – è il principio di deresponsabilizzazione che consente la sopravvivenza della burocrazia nella complessità spesso contraddittoria delle sue stesse leggi; dall'altro la necessità che, pur votando e pur consumando, il cittadino rimanga sempre più separato dalle istituzioni e dai potentati economici. Una voce preregistrata è anche un modo per costruire un mondo, dove le opzioni sono predefinite e preclassificate e dove, soprattutto, non c'è spazio per ulteriori alternative.
Da qualche anno, a fronte di certe offerte pressanti rispondo di no prima ancora di sentirne le peculiarità – “perché non voglio avere nulla a che fare con un'azienda che si trincera dietro voci preregistrate”. Il personaggio di McBain, invece, dieci minuti dopo il suo martirio telefonico, esasperato, scende in strada e spara al primo taxista che gli capita a tiro. Sono due tentativi di soluzione ormai noti: il primo viene archiviato perlopiù come manifestazione di asociale rifiuto del consumismo e degli stili di vita ad esso connessi; il secondo come manifestazione psicopatologica. Entrambi, comunque, discendono da un'analisi politica dei rapporti umani.

Felice Accame