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Un Giovedì da “anarchici”

Evidentemente deve esserci qualcosa che non funziona, una sorta di corto circuito, nel modo in cui alcuni fra gli scrittori anglosassoni di inizio novecento percepiscono e trattano l'anarchismo. O meglio, non tanto gli aspetti storici dell'anarchismo, quanto, piuttosto quel concetto astruso, indefinibile, e sostanzialmente inventato che una palese estraneità ideologica, e forse pregiudiziale, li porta a considerare come “anarchismo”. È il caso, ad esempio, di importanti lavori di grandi scrittori, quali la Principessa di Casamassima di Henry James o il notissimo Agente segreto di Joseph Conrad. Ed è anche il caso di quel bizzarro L'uomo che fu Giovedì, che può essere considerato uno dei racconti più interessanti e conosciuti di Gilbert Keith Chesterton, lo scrittore inglese convertitosi al cattolicesimo in età matura, famoso in Italia soprattutto per il personaggio di Padre Brown, l'eccentrico investigatore portato in televisione, nei lontani anni sessanta, da Renato Rascel (G. K. Chesterton, L'uomo che fu Giovedì, in Opere scelte, Roma, Edizioni Casini, 1987).
Si tratta di un romanzo decisamente visionario, sia nella struttura, che procede a balzi e non sempre con linearità, quanto nei contenuti, a tratti fortemente onirici e misticheggianti. Anche se, però, quando c'è da confrontarsi materialmente con l'anarchismo per confutarne o stravolgerne principi e motivazioni, l'autore trova opportuno tornare con i piedi saldamente per terra. O almeno pare. Perché in effetti in questo lavoro, per altri aspetti acuto nell'indagare con intelligenza i rapporti fra l'essere umano e il male, sorprende l'incapacità di comprendere i valori di un movimento ricco di sfaccettature e spunti, descritto come un improbabile microcosmo di persone cupe e tenebrose, impegnate a ordire, con solare leggerezza, orridi assassini e obbrobriose nefandezze. Senza dunque capire, o voler capire, nulla dei contenuti etici e delle motivazioni sociali del pensiero e delle pratiche anarchiche.
Essendo questo romanzo stato scritto nel 1908 e quindi in un periodo in cui era particolarmente attiva la cosiddetta “propaganda del fatto”, si potrebbero trovare alcune giustificazioni alle sbavature, sparse a piene mani, sul movimento anarchico e su alcune sue “forme espressive”, ma ciò non toglie che Chesterton si mostri superficiale, soprattutto se si considera che in quegli anni a Londra vivevano e operavano personaggi quali, ad esempio, Kropotkin, Malatesta, Rocker, Malato, Tcherkesov, Shapiro, Tarrida Del Marmol... Del resto, se osserviamo come anche Conrad, ne L'agente segreto, descriva l'ambiente anarchico, viene da pensare o che lo spirito inglese sia intrinsecamente refrattario all'idea di uguaglianza sociale e all'ipotesi del sovvertimento delle tradizioni proprie del pensiero libertario, oppure che un certo anarchismo anglosassone abbia fatto di tutto per essere frainteso e male interpretato. Io propendo per la prima ipotesi, però la contiguità interpretativa e descrittiva dei due autori fa certamente pensare. Solo Henry James, nella Principessa di Casamassima, pur mantenendosi su un piano simile, riesce a introdurre i valori sociali ed etici dell'anarchismo, in questo forse aiutato dal fatto che, pur nella sua accentuata anglofilia, era comunque un americano, quindi più disposto a comprendere e indagare il nuovo che si affacciava sul palcoscenico della storia.
Ma veniamo alla trama. A Saffron Park, durante un reading poetico, si incontrano Gabriel Syme, il protagonista alla ricerca del “bene” e il velleitario poeta Lucien Gregory, così desideroso di mostrarsi un “terribile” anarchico, da portare Syme, dopo avergli fatto giurare di non rivelare nulla alla polizia, a una catacombale riunione anarchica. A sua volta Syme, e qui sta la felice invenzione narrativa, rivela a Gregory di essere un poliziotto, facendogli a sua volta giurare che non lo smaschererà. Nel retrobottega di una infima taverna, nella quale, però, vengono serviti grandi vini e piatti di alta cucina, si danno appuntamento i convenuti che devono eleggere il delegato (in sostituzione del precedente, morto in un attentato dinamitardo) al segretissimo Consiglio dei Sette, i cui sette componenti portano i nomi dei giorni della settimana. Domenica, naturalmente, è il capo supremo. Il delegato avrebbe dovuto essere Gregory, ma avendo dovuto annacquare il discorso di investitura per non allarmare Syme, sarà proprio quest'ultimo a fare un intervento talmente incendiario da farsi eleggere dagli invasati presenti alla grottesca riunione. Evidentemente così sprovveduti da seguire come pecore, l'ultimo arrivato. Davvero una bella trovata!
Eletto dunque come Giovedì, Syme – che era stato arruolato in una misteriosa camera buia da un personaggio ancor più misterioso dopo un surreale incontro nella nebbia londinese con un poliziotto votato a salvare il governo dal “delitto anarchico” – partecipa alla segretissima riunione del Consiglio in una terrazza all'aperto di Leicester Square, davanti agli occhi di tutti. Questo per volontà del mefistofelico Domenica, che raccomanda ai suoi: “Vestitevi da anarchico così nessuno si aspetterà mai qualcosa di pericoloso da voi”. Evidente allusione alla convinzione di Chesterton secondo il quale il progetto anarchico era destinato a passare completamente inosservato nella tollerante società inglese,. Del resto i componenti il Consiglio, il segretario Lunedì, il polacco Gogol Martedì, il francese Marchese di Sant'Eustachio Mercoledì, il paralitico Professor De Worms Venerdì e Sabato il dott. Bull, da bravi anarchici, vengono presentati con tratti lombrosiani e luciferini. Nella riunione, nella quale si progetta l'attentato contro lo Zar che a Parigi deve incontrarsi con il Presidente francese, si scopre che Gogol è un poliziotto. Da questo momento sarà tutto un rivelarsi di finti anarchici e veri poliziotti che, come Gogol e Syme, altro non sono che infiltrati del governo fra gli anarchici. Tale è il professore, un trasformista talmente bravo da essersi fatto passare per il vero professore davanti ai suoi estatici seguaci, tale è il marchese, smascherato dopo un fantasioso duello, tale è il dott. Bull, e tale, alla fine, risulterà anche il Segretario senza nome. Tutti sono stati arruolati da Domenica, il misterioso e diabolico personaggio della camera buia, affinché, controllandosi l'un l'altro, non potessero controllare gli anarchici veri.
Da questo momento il racconto assumerà tratti sempre più surreali. Prende infatti inizio l'angosciante inseguimento dei poveri poliziotti, da parte di una muta di anarchici inferociti, un inseguimento drammatico e pieno di colpi di scena – quelli che sembrano aiutarli diventeranno i più accaniti inseguitori – e che terminerà sul molo di un paese in riva al mare. Ma ecco, quando tutto sembra perduto, il colpo di scena: gli inseguitori sono agenti guidati da Lunedì e da altra “brava gente” messasi sulle tracce del gruppetto credendolo formato da pericolosi anarchici. Il leale popolo inglese, evidentemente, sa quale sia il suo dovere!
Di nuovo insieme, i sei componenti l'ex “comitato centrale” cercano Domenica per arrestarlo, ma questi riesce a sfuggire con un fantastico inseguimento, utilizzando, in un crescendo surreale, elefanti e palloni aerostatici. Dopo averlo visto precipitare, vengono invitati in una lussuosa villa dove li riceve, nel corso di un ballo settecentesco, lo stesso Domenica assiso su un trono. Ecco la rivelazione: i sette nomi dei giorni diventano i giorni della creazione e Domenica, rivelatosi il Sabbath, la gran pace di Dio, si dilegua come una visione. Prima però compare Gregory, il vero anarchico, Satana il distruttore, che rivendica il diritto al “male” in nome della sofferenza dei derelitti e contro la felicità dei governanti. Ma Syme controbatte all'invettiva, affermando che l'infelicità è di tutti, anche dei potenti, per cui nessuno, nemmeno l'anarchico, ha diritto di giudicare e combattere per cambiare le cose. Davvero, niente di meglio per svuotare di contenuti ogni afflato di emancipazione e uguaglianza! A questo punto termina l'incubo – L'incubo è il sottotitolo di questo lavoro – e Syme è di nuovo a Saffron Park, a passeggiare amabilmente col poeta Gregory, ormai buoni amici e ricolmi di una gioia profonda.
Indubbiamente la dimensione metafisica e spirituale del romanzo non è parte secondaria nelle intenzioni dell'autore, e l'allegoria sul senso dell'esistenza ricopre una parte di primo piano (“Io sono uno di quegli uomini che credono che si debba sempre essere dominati dalle proprie convinzioni morali” diceva di se stesso), ma quello che riteniamo più interessante è comprendere come il mondo intellettuale cui apparteneva Chesterton interpretasse i tentativi di rivolta e cambiamento portati avanti dai non pochi oppositori del sistema di potere. E questo nella tollerante e democratica Inghilterra di inizio novecento, patria delle libertà civili e politiche, dove esuli e rivoluzionari di mezza Europa affollavano le assemblee della capitale. Non si può dire, dopo la lettura di questo Giovedì, che emergano quella sensibilità e simpatia che ci si sarebbe potuti aspettare da un uomo “dominato dalle proprie convinzioni morali”. A meno che tali convinzioni morali non fossero poi così alte come Chesterton, ostinatamente, rivendica. Se si pensa a quali e quanti personaggi di grande levatura frequentassero, in quegli anni, le stesse strade e le stesse piazze, viene proprio da pensarla così.

Massimo Ortalli

Gilbert Keith Chesterton

“Vestitevi da anarchico, imbecille!”

di G. K. Chesterton

Gregory sorrise.
– La risposta è semplice. Vi ho detto di essere un anarchico sul serio e voi non mi avete creduto. Neppure essi lo credono e fin quando non li avrò condotti in questa stanza infernale, non mi crederanno.
Syme fumava con aria pensosa e lo osservava pieno d'interesse. Gregory continuò.
– È una storia che vi divertirà. Quando ero solo una recluta della Nuova Anarchia, provai i generi più rispettabili di travestimento. Mi vestii da vescovo. Avevo letto ogni cosa sui vescovi nei nostri opuscoli I vampiri della superstizione e Uccellacci da preda. Naturalmente, ne conclusi che i vescovi sono vecchi strani e terribili che nascondono un crudele segreto all'umanità. Invece fui male informato. La prima volta che apparvi in pubblico in abiti episcopali, udii gridare con voce tonante “Umìliati! Umìliati, ragione dell'uomo!” e la gente si avvide, chissà come, che non ero un vescovo. Fui smascherato. Allora mi camuffai da milionario; ma difendevo il capitale con tanta intelligenza, che anche uno stupido avrebbe compreso che ero povero in canna. Così finsi di essere un maggiore. Ebbene, io sono un pacifista, ma spero di avere sufficiente larghezza intellettuale per comprendere l'atteggiamento di coloro che, come Nietzsche, venerano la violenza, l'orgogliosa, implacabile guerra della natura e tutto il resto, come sapete. Insomma, mi immedesimai nella parte del maggiore. Sguainavo e roteavo la spada a ogni momento “Sangue!” chiedevo soprapensiero, come un uomo che ordinasse del vino. Spesso proclamavo: “Che il debole perisca, è la legge”. Ebbene, ebbene… Sembra che i maggiori non facciano così. Mi scoprirono di nuovo. Finalmente, disperato, mi recai dal Presidente del Comitato centrale anarchico, che è il più grande uomo vivente in Europa.
– E come si chiama? – chiese Syme.
– Il nome non vi direbbe nulla – rispose Gregory. – È questa la sua grandezza. Cesare e Napoleone impiegarono tutto il loro genio nel far parlare di sé e ci riuscirono. Egli impiega tutto il suo genio nel non far parlare di sé e nessuno lo conosce. Ma non potreste restare a quattr'occhi con lui per cinque minuti, senza avere la sensazione che Cesare e Napoleone sarebbero stati dei bambini nelle sue mani.
Per un minuto Gregory fu silenzioso e perfino pallido in volto, poi continuò:
– Ogni volta che dà un consiglio, dice sempre qualcosa di straordinario come un epigramma e di pratico come la Banca d'Inghilterra. Io gli chiesi: “Con quale travestimento mi potrò nascondere al mondo? Che cosa posso trovare di più rispettabile dei vescovi e dei maggiori?”. Egli mi fissò col suo volto grande e indecifrabile. “Volete un travestimento sicuro? Volete un abito che appaia inoffensivo, un abbigliamento nel quale nessuno andrebbe a cercare una bomba?” Accennai di sì ed egli scoppiò in un ruggito leonino. “Ebbene, vestitevi da anarchico, imbecille!”, gridò da far tremare le pareti della stanza. “Così nessuno si aspetterà mai qualcosa di pericoloso da voi!” E mi voltò le sue grandi spalle senza aggiungere parola. Da allora ho seguito sempre il suo consiglio e non ebbi mai a pentirmene. Notte e giorno ho predicato sangue e morte a quel pubblico di donnicciole, eppure, perdio! esse mi lascerebbero condurre le carrozzine coi loro bambini.


“Tanto peggio per la società”

di G. K. Chesterton

– Il compagno Whitherspoon – proseguì Gregory con una sorta di gaiezza febbrile, – è ansioso di sapere perché nessuno lo divora (risate). Nella nostra associazione, comunque, che lo ama sinceramente e che è fondata sull'amore…
– No, no! – saltò su Whitherspoon – abbasso l'amore!
– Che è fondata sull'amore, – ripeté Gregory digrignando i denti – non vi saranno difficoltà circa gli scopi che noi perseguiamo in quanto associazione o che io perseguiterei qualora fossi designato a rappresentarla. Orgogliosamente superiori alle maldicenze che ci dipingono come assassini e nemici dell'umano consorzio, noi seguiremo con coraggio morale e con calmo ardore intellettuale gli ideali eterni della fratellanza e della semplicità.
Gregory tornò a sedere passandosi una mano sulla fronte. Vi fu un improvviso, imbarazzante silenzio, poi il Presidente di levò, come un automa per chiedere con voce spenta:
– C'è qualcuno che si opponga all'elezione del compagno Gregory?
Un vago disappunto sembrava dominare inconsciamente l'assemblea, mentre il compagno Whitherspoon continuava a dimenarsi sul banco bofonchiando fra i cespi della barba. Tuttavia, per un inveterato senso di conformismo, nessuno si sarebbe opposto all'elezione di Gregory, se, proprio mentre il Presidente stava per dichiararlo eletto, Syme non fosse balzato in piedi, per annunciare con voce sommessa e pacata:
– Sì, signor Presidente. Mi oppongo io.
La risorsa più efficace in fatto di oratoria è l'improvviso cambiamento di tono e Gabriel Syme, evidentemente, di oratoria si intendeva. Dopo questa formale dichiarazione, espressa con breve semplicità e nel tono più moderato, fece squillare e tuonare le successive parole come se una delle bombe fosse improvvisamente scoppiata.
– Compagni! – gridò con una voce che fece sobbalzare gli uditori. – È per questo che ci siamo riuniti? Viviamo come topi nelle viscere della terra, solo per udire parole come queste? Discorsi così potremmo udirli, senza dubbio, mangiucchiando tartine a un trattenimento della scuola domenicale. Forse blindiamo questi muri e sbarriamo questa porta con minacce di morte solo perché nessuno entri ed ascolti il compagno Gregory che dice: “Siate buoni e sarete felici”, “L'onestà è la migliore politica”, e “La virtù è premio a se stessa?”. Non vi è stata una parola, nel discorso di Gregory, che un parroco non avrebbe ascoltato con piacere (udite, udite). Ma io non sono un parroco (applausi fragorosi) e non posso ascoltarlo con piacere (applausi rinnovati). Ebbene, l'uomo che è tagliato per fare il parroco, non è adatto per essere un energico, inflessibile, efficiente Giovedì (udite, udite). Il compagno Gregory ci ha detto, in tono troppo giustificativo, che noi non siamo i nemici della società. Ma io dico che noi siamo i nemici della società, e tanto peggio per la società. Siamo i nemici della società, perché la società è nemica dell'umanità, la sua più vecchia e spietata nemica (udite, udite). Il compagno Gregory ci ha detto, anche (e ancora una volta con l'aria di scusarsi) che noi non siamo assassini. Ha ragione. Noi non siamo assassini, siamo dei giustizieri (applausi).

Gli aristocratici sono anarchici!

di G. K. Chesterton

– Che intendi dire? – esclamò Syme. – Non è possibile che essi spadroneggino nel mondo così. Intanto non tutti gli operai sono anarchici, ma, anche se lo fossero, una siffatta plebaglia non potrebbe misurarsi con gli eserciti moderni e con la polizia.
– Plebaglia! – ripeté il nuovo amico con una smorfia di disapprovazione. – Dunque tu parli di plebaglia e di classi lavoratrici come se la questione fosse in questi termini. Condividi quell'eterno, insensato pregiudizio per cui se l'anarchia venisse davvero, verrebbe dai poveri? E perché mai? I poveri sono stati ribelli, ma mai anarchici e nessuno è più interessato di loro affinché vi sia un governo sopportabile. Sono i poveri ad essere legati al proprio paese, non così i ricchi che possono andarsene in panfilo nella Nuova Guinea. I poveri si sono a volte lagnati di essere governati male, ma i ricchi si sono sempre lagnati solo per il fatto di essere governati. Anarchici furono sempre gli aristocratici, come provano le guerre dei baroni.
– Come lezione di storia per le scuole inferiori, – osservò Syme – tutto questo è molto istruttivo; ma non riesco ancora a coglierne l'attinenza col nostro caso.
– L'attinenza è – disse l'informatore – che la maggior parte dei bracci destri di Domenica non sono altro che plutocrati sudafricani e americani. Ecco perché egli è riuscito ad impossessarsi di tutte le comunicazioni. Ed ecco perché gli ultimi quattro campioni delle forze anti-anarchiche scappano come conigli attraverso un bosco.
– Quanto ai plutocrati, lo capisco – rifletté Syme – perché sono quasi tutti matti. Ma una cosa è guadagnarsi con delle fandonie l'appoggio di vecchi e protervi signori e un'altra è impadronirsi di grandi nazioni cristiane. Io scommetterei il naso (perdonami l'allusione) che Domenica non otterrebbe un fico secco se contasse di far proseliti fra persone assennate.

Brani tratti da: G. K. Chesterton, L'uomo che fu Giovedì, in Opere scelte, Roma, Edizioni Casini, 1987.