Rivista Anarchica Online


conflitto e classe

Il senso dell’azione collettiva
di Cosimo Scarinzi

 

A colloquio con un gruppo di studenti e filosofanti. Che sono anche lavoratori precari.

 

Breve candela, spegniti!
La vita è solo un'ombra che cammina,
un povero attorello sussiegoso
che si dimena sopra un palcoscenico
per il tempo assegnato alla sua parte,
e poi di lui nessuno udrà più nulla:
è un racconto narrato da un idiota,
pieno di grida, strepiti, furori,
del tutto privi di significato! (1)

Qualche giorno addietro ho avuto la, gradevole, occasione di discutere con un gruppo di giovani compagni, studenti universitari di filosofia che costituiscono un interessante gruppo di discussione, su di una questione che, simile all'ombra di Banquo, spunta sovente nelle nostre, o almeno nelle mie, conversazioni e riflessioni.
L'occasione era la preparazione dello sciopero dei precari del 6 ottobre ed io, per la verità, mi ero limitato a chiedere loro di darci una mano nella diffusione del materiale preparatorio con un'allure tipicamente militante.
Giustamente, i miei interlocutori si sono posti e mi hanno posto delle domande radicali. Se sono, oltre che studenti e filosofanti, lavoratori precari è anche vero che, per loro, il lavoro non è il luogo che definisce la loro identità e la stessa identità di classe appare loro debole, problematica, frammentata.
Cosa significa, a questo punto, lottare quando si ha la, ragionevole, sensazione che un'azione collettiva è assai problematica e che è ancora più dubbia la sua efficacia? E, per dirla tutta, cosa significa, a questo punto, azione collettiva? L'unico collettivo concreto sensibile che questi giovani conoscono è la rete delle loro relazioni personali, rete che rimanda assai problematicamente alla categoria di classe.
Uno di loro faceva, giustamente, rilevare che quando si parla, ad esempio, di classe operaia si tratta di un tipo umano, di uno stile di vita, di un linguaggio. Vi è, in altri termini un'immediata percepibilità, ed autopercezione, da parte di un attore sociale.
La moderna, e generica, classe lavoratrice ha, nell'area centrale dell'economia mondo, queste caratteristiche?
La molteplicità degli stili di vita all'interno dello stesso gruppo sociale a fronte di un'omologazione generale ed interclassista, la precarietà delle relazioni lavorative, l'informalità, magari apparente ma efficace, delle relazioni gerarchiche, la natura stessa della prestazione lavorativa definita, con qualche approssimazione, come lavoro mentale mettono in discussione tradizionali categorie forti di interpretazione dei rapporti sociali di produzione.

Macbeth e il fantasma di Banquo
in un dipinto di Théodore Chassériau (1819-1856)

Oltre le ortodossie e le eresie

A maggior ragione, quanto si è detto vale per il segmento precario del lavoro dipendente o, più correttamente, per i molteplici e non omogenei segmenti precari.
Abbiamo a questo punto ragionato su due livelli della definizione:

  1. la costruzione, come azione collettiva, di un quadro mentale o, se vogliamo, di un mito sociale all'altezza delle contraddizioni che viviamo. Ho proposto, senza farne in alcun modo l'apologia, l'esperienza della May Day Parade come tentativo di affermare un linguaggio comune, un luogo attraversato dalla molteplicità delle esperienze del precariato sociale, un mito fondativo. Per varie ragioni, questo livello della riflessione mi è parso limitatamente convincente. La May Day appare a molti come una festa, una novità ma non si intreccia ancora a sufficienza con il vissuto quotidiano dei precari, almeno a Torino;
  2. lo sviluppo di forme di organizzazione del precariato sociale, forme di organizzazione capaci di utilizzare – rovesciandone il segno – strumenti e modalità di azione tipici della produzione attuale: reti di discussione ed azioni comunicative, per un verso, e strumenti di tutela più tipicamente sindacali, per l'altro. In qualche modo questa ipotesi si connette ad un ripensamento teorico e, soprattutto, pratico del sindacalismo, ripensamento che non può essere vago bavardage ma riflessione sull'esperienza che effettivamente facciamo che sappia valutarne potenzialità e limiti. Mi riferisco, in particolare, al fatto che il precario effettivamente esistente si rivolge, di norma, al sindacato, anche ad un sindacato radicale, più facilmente come individuo atomizzato e bisognoso di tutela che come membro di una collettività di lavoro.

Al centro della nostra riflessione, anche grazie al contributo di uno di loro che lavora in un call center, è stata, a questo punto, posta la categoria di conflitto come evento capace di dotare di senso la stessa riflessione sulla classe. Immediatamente abbiamo ripensato agli scioperi dei lavoratori dei trasporti di due anni addietro ed a quelli di Melfi, all'irrompere sulla scena dei corpi, delle passioni, degli interessi, in una parola della forza intesa, propriamente, non come violenza ma come capacità di colpire con efficacia i propri avversari e di affermare il proprio unilaterale punto di vista.
Esempi utili ma, va riconosciuto, legati inestricabilmente al trasporto come settore strategico della produzione sociale ed alla grande fabbrica ad alta composizione organica di capitale ed alta concentrazione di forza lavoro.
La riflessione si è spostata, dunque, sul nesso fra forza e organizzazione, sulla necessità di costruire strutture capaci di collegare ciò che è frantumato, sui possibili intrecci fra elaborazione teorica, esperienza pratico sensibile, memoria.

Immediata sensibilità libertaria

È interessante notare come questa breve discussione non si sia mai avvitata su rivisitazioni delle grandi narrazioni di stampo hegelomarxiano o positivista. Nemmeno all'orizzonte sono apparsi il materialismo storico e dialettico, la classe in sé e la classe per sé, il rimpianto per una visione metafisica della classe, quella visione che ha dominato la parte maggioritaria della sinistra novecentesca.
In questo senso e, va detto, gratuitamente, questi giovani compagni sono oltre le ortodossie e le eresie del movimento operaio ed hanno un'immediata sensibilità libertaria che si intreccia con la ricerca di forme di azione efficaci.
Sono stati, insomma, per me un'occasione importante di riflessione su questioni che mi appassionano e sulle stesse modalità di discussione su questioni del genere che caratterizzano gli ambienti che abitualmente frequento. Uno scarto laterale assolutamente prezioso.
Per, provvisoriamente, concludere, incredibilmente, visti i tempi, ne è nato un nuovo e promettente intervento nel settore dei lavoratori dei call center.
Una riprova del fatto che, come l'azione non deve essere cieca ripetizione del già sperimentato, la discussione non è condannata ad essere chiacchiericcio.

Cosimo Scarinzi

1. W. Shakespeare, Macbeth, atto V, scena quinta. N.d.R.