Rivista Anarchica Online


costume

Quello che veramente non c’è
di Carlo Oliva

 

Quando si cita la mitologia, bisognerebbe essere ben informati e precisi. Se no si rischia di...

 

Che non ci fosse più religione lo si affermava, una volta, per commentare questa o quella situazione di particolare rilassatezza morale. Dico una volta, perché oggi, almeno a giudicare dalla popolarità mediatica del papa, dai diktat del cardinale Ruini e dalla prontezza con cui vi ci si adeguano i vari Rutelli, l'impressione è che di religione, in giro, ce ne sia anche troppa. È vero che non mancano le anime buone convinte che i fenomeni di cui sopra con la fede in Dio non abbiano poi molto a che fare, ma è anche vero che la questione è sub judice, in questa sede non possiamo certo pretendere di affrontarla e non è detto, comunque, che religione e fede in Dio, nel sistema corrente degli scambi ideologici, debbano di necessità identificarsi.
In compenso, ci si può azzardare a sostenere con una certa ragionevolezza che non c'è più mitologia. L'osservazione va calibrata con cura, visto che di miti ne circolano tuttora parecchi e di gente che ci crede continua a essercene una marea, ma è certo che la cara vecchia mitologia che ci insegnavano a scuola, quel corpus organico di racconti sugli dei e sugli eroi di cui si sostanziava la poesia dei nostri maggiori, ha perso da un pezzo il suo appeal. Sarà la crisi degli studi classici, sarà il pressappochismo imperante, ma è un fatto che quando qualcuno, nel parlare corrente o in qualche occasione ufficiale, azzarda una citazione mitologica, nove volte su dieci la sbaglia.
Prendiamo Berlusconi, per esempio. Gli è capitato parecchie volte, in campagna elettorale, di dichiarare che quanti tra i suoi avversari prevedevano (soprattutto dal punto di vista economico e sociale) grossi guai per il paese se lui fosse rimasto in sella non fossero altro che delle “cassandre”, dei profeti di sventura destinati a restare delusi. Be', questa i salesiani, presso cui l'ex Presidente si vanta di avere fatto il liceo, non gliela avrebbero lasciata di certo passare. Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo e di Ecuba, non aveva ricevuto in dono da Apollo la capacità di prevedere soltanto sventure (quello era, se mai, un portato dei tempi), ma piuttosto la maledizione di riconoscere chiaramente e inesorabilmente la verità, quale che essa fosse. I suoi vaticini erano più precisi di una statistica dell'Eurostat e il fatto che non ci credesse nessuno era una sgradevole ripicca del medesimo Apollo, e andava a totale disdoro degli increduli, non certo di lei.

Cassandra uccisa da Clitemnestra

Sì, va bene, direte voi, ma Berlusconi è Berlusconi e sappiamo tutti che a volte parla, come si dice, per dar aria alla bocca. Ma il Fausto Bertinotti allora? Il Presidente della Camera, per concorde giudizio, è uomo di tutt'altra pasta, di ben diverso spessore culturale e morale. Eppure ogni tanto va anche lui ad arenarsi nelle secche infide degli esempi mitologici. Così ha detto, lo scorso 30 maggio, parlando a certi manager non meglio definiti riuniti in un posto che si chiama villa Miani, a Roma per sentir discutere di “leadership e narcisismo, rischi e opportunità” nell'ambito delle “Economist Conferences” , qualsiasi cosa esse siano, che “un uomo politico che appare sistematicamente in pubblico deve essere un narciso” e che “negarlo è ipocrita”. E, stando al “Corriere” del giorno dopo, ha corroborato tale opinione con qualche garbata allusione al Pontefice e persino con un sommesso riconoscimento autocritico.
Tutti, sembra, si sono divertiti assai e lo hanno trovato spiritosissimo. Ma questo perché tutti, evidentemente, hanno preso il suo stesso abbaglio. È vero che oggi con il termine “narcisismo” si intende, nella psicologia spicciola se non in quella ufficiale, una certa, innocua tendenza a bearsi con la contemplazione di sé, ma questa accezione non esaurisce la valenza del personaggio Narciso. Gli antichi (Ovidio, per esempio) raccontavano la sua storia per far capire che concentrarsi su se stesso può condurre, alla lettera, in acque molto pericolose. Era, questo Narciso, il figlio del dio fiume Cefiso e della ninfa Liriope (un demone acquatico, quindi, nell'arida terminologia degli studiosi moderni) ed era così bello che tutte, ma proprio tutte, se ne innamoravano, senza peraltro riuscire a far breccia nel suo durissimo cuore. Vittima del suo fascino fu, tra le altre, la ninfa Eco, che se ne strusse tanto da sparire, lasciando a ricordo di sé soltanto la voce disincarnata, che da allora rimbalza di valle in valle. Sì che fu una giusta vendetta degli dei quando lo sciagurato, vedendo all'improvviso la propria immagine riflessa in uno specchio di acqua se ne innamorò follemente a sua volta e morì consumato di questo impossibile amore (o, come meno poeticamente raccontano altre versioni, annegò nel vano tentativo di abbracciare quella figura riflessa). Un personaggio negativo, dunque, affatto incapace di relazionarsi con gli altri e destinato a perire vanamente come vanamente era vissuto.
Io non credo, naturalmente, che Bertinotti – svarioni mitologici a parte – possa essere considerato un Narciso di questo genere. L'uomo è troppo di solido buon senso per perdere il contatto con la realtà e, quanto a compiacimento di sé, sembra addirittura meno portato del suo immediato predecessore. Chi proprio lo volesse paragonare a una figura mitologica, almeno a tener conto della disinvoltura con cui, in questi giorni, si è calato nei panni istituzionali, come se non avesse mai fatto altro in vita sua che ricevere ambasciatori, partecipare ad assemblee della Banca d'Italia e assistere a parate militari, sia pure sotto l'usbergo di spillette pacifiste, potrebbe, se mai, proporre quella di Proteo, il dio marino che era in grado di assumere mille forme, di acqua, di fuoco e di animale, e si avvaleva di questa facoltà, come si può leggere in un noto passo dell'Odissea, soprattutto per sfuggire a chi gli poneva delle domande troppo precise. Ma questa, naturalmente, non è una caratteristica esclusiva di Bertinotti: coinvolge, piuttosto, tutti i politici, che dalla capacità di presentarsi sotto aspetti diversi, a costo di eludere, a volte, le aspettative altrui, traggono la propria inesausta vitalità. A patto, naturalmente, che riescano a tenersi lontano dagli specchi d'acqua.

Carlo Oliva

Di Cassandra parla già Omero (II. XIII, 363-382 e XXIV,697-708; Od.XI, 418-434), ma la sua caratterizzazione definitiva è quella tragica dell'Agamennone di Eschilo. Il racconto completo delle sue vicende, comunque, si legge solo nella Biblioteca dello Pseudo Apollodoro (III, 12, 5). La versione ovidiana del mito di Narciso è nelle Metamorfosi (III, 341-510). Altre informazioni in Pausania (IX, 31, 7-9) e Plinio (Nat. Hist. XXI, 128. Per Proteo si può consultare soprattutto l'Odissea, IV, 351-570.