Rivista Anarchica Online


donne

Storie di ordinaria violenza
di Maria Matteo

 

È una vera e propria strage, in tutto il mondo. Una strage misconosciuta.

 

Si chiamava Tripla. Era nata in un villaggio dell'Haryana, a Nord di New Dheli. Venduta come moglie ad Ajmer Singh per 260 euro, è stata condotta nel villaggio dell'uomo che non l'ha sposata e dopo qualche mese ha cercato di passarla al fratello. Al rifiuto della ragazza, Ajmer Singh, l'ha decapitata con un falcetto.
Questa e altre storie di violenza e sopraffazione, raccontate sull'Indipendent dalla giornalista Justin Huggler, che ha effettuato un reportage nello stato dell'Haryana, non sono che lo specchio della terribile condizione di tutte le donne indiane. In tutto il subcontinente le donne sono sempre meno: l'aborto selettivo in base al sesso è ampiamente praticato e porta ad un bilancio negativo delle nascite. A ciò si aggiunge il fatto che la mortalità infantile tra le femmine è da sempre più elevata che tra i maschi. Ai bambini è riservata maggior cura, medicine in caso di malattia, miglior cibo che alle bambine, persone di scarso valore. Non persone.
Nelle case indiane gli “incidenti” domestici sono molto frequenti e celano la pratica diffusa di bruciare vive le mogli che non rispondono alle aspettative del marito o dei suoi parenti. Talora il rogo domestico avviene per il mancato pagamento della dote che ogni famiglia indiana è tenuta a pagare per il matrimonio delle ragazze.
D'altra parte, secondo Amnesty, in India oltre il 40% delle donne sposate ha subito violenza fisica o sessuale da parte dei mariti.

Nonostante la denuncia

A Ciudad Juarez, in Messico, dal 1993 ad oggi sono scomparse 400 donne. I cadaveri di 370 di loro sono stati trovati con evidenti segni di torture e mutilazioni. Le autopsie hanno dimostrato che le vittime erano state violentate, torturate, mutilate e infine strangolate. Il tutto nel silenzio e nella pressoché totale impunità. La vicenda è divenuta di dominio pubblico nel 2003, grazie ad un rapporto di Amnesty sulla vicenda. La maggior parte delle donne assassinate lavoravano nelle maquilas, fabbriche di assemblaggio, fiorenti in questa zona del Messico al confine con gli Stati Uniti, dove i bassi salari, specie per le donne, e l'assenza di diritti garantiscono ai padroni un eccellente margine di profitto. Queste fabbriche sono in zone isolate e chi vi lavora è obbligato anche a turni di notte. Parecchie delle ragazze scomparse e uccise sono state rapite sulla strada del lavoro.
Questa strage orrenda continua nonostante l'impegno di denuncia di Amnesty International e dell'associazione dei familiari delle ragazze massacrate “Nuestras Hijas del regreso a casa”. Solo il coraggio delle madri delle ragazze scomparse ha fatto uscire dal silenzio una vicenda che ha finito con l'assumere i caratteri della “normalità”. Pare sia frequente che i mariti in lite con le mogli le minaccino di “portarle nel deserto”. Ed è nel deserto che sono stati trovati la maggior parte dei corpi delle ragazze.
La “normalità” è peraltro il segno distintivo della violenza contro le donne. Una violenza continua e feroce in ogni parte del pianeta.


Principale causa di morte

Non siamo di fronte a poche storie orrende ma limitate. Quelle sopra non sono che alcune delle centinaia di vicende che dimostrano come la vita di tante delle donne che abitano il pianeta sia un inferno.
Il Consiglio d'Europa ha dichiarato che la violenza domestica è la principale causa di morte e di invalidità per le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni. In altre parole per una donna venire ammazzata, anche nelle società del nostro “occidente libero ed avanzato”, non è una possibilità remota, una mera ipotesi teorica ma un orizzonte che segna la vita di ciascuna.
La violenza contro le donne è diffusa e livello planetario e in molti casi sancita per legge o comunque non perseguita.
Milioni di donne nel mondo sono terrorizzate da violenze domestiche, schiavizzate in matrimoni forzati, comprate e vendute per alimentare il mercato della prostituzione, violentate come trofei di guerra o torturate in stato di detenzione.
Secondo un altro rapporto di Amnesty sono 54 i paesi che hanno leggi che discriminano le donne.
Vediamo altre cifre.
In Bangladesh oltre il 50% di tutti gli omicidi sono casi di mogli uccise dai mariti. In Pakistan nel 1999 più di 1.000 donne sono state vittime di “crimini d'onore”.
Nel nostro paese, secondo il Rapporto Istat 1999 sulla sicurezza dei cittadini, sono 714 mila le donne fra i 14 e i 59 anni che hanno subito uno stupro o un tentativo di stupro (il 4%). L'82,7% delle violenze sessuali non viene denunciato. Su 223 omicidi avvenuti in famiglia, nel 63,2% la vittima è stata una donna. Nel 41,8% dei casi l'omicida è il partner.
In Sudafrica, avviene uno stupro ogni 23 secondi e solo 1 su 35 viene denunciato. L'Onu ha calcolato che tra l'ottobre del 2002 e il febbraio del 2003 nella zona di Uvira nella Repubblica Democratica del Congo, nel pieno della guerriglia, sono state stuprate 5.000 donne, circa 40 al giorno.
Negli Usa secondo statistiche ufficiali, ogni 15 secondi viene picchiata una donna. Nel 2001 si sarebbero verificati circa 700 mila casi di violenza domestica e che ogni anno vengono vendute da 45 a 50 mila fra bambine e donne.
In Europa 500 mila donne sono vittime della tratta della prostituzione. In Belgio, oltre il 50% delle donne ha subito qualche forma di violenza all'interno della famiglia. In Francia su 25 mila casi di stupro all'anno solo 8 mila vengono denunciati alla polizia. In Gran Bretagna fra il 1997 e il 1998 si sono verificati oltre 2000 casi di violenza fisica e sessuale contro collaboratrici domestiche. In Russia, i dati sono di fonte governativa, ogni anno 14 mila donne vengono uccise da partner o familiari.

Vigorosa iniziativa clericale

Il controllo della sessualità femminile è uno degli obiettivi classici del patriarcato, un obiettivo che viene praticato limitando o impedendo la libertà sessuale e procreativa, sino all'imposizione di feroci mutilazioni sessuali.
Qualcuno, anche da noi, in sfregio alle lotte delle donne africane per impedire che le fila dei 130 milioni di donne mutilate si allunghino ancora, fa prediche sul rispetto delle tradizioni locali. In tal modo giustifica il taglio e la cucitura dei genitali delle bambine e delle neonate, una pratica che le priverà del piacere sessuale e che ha conseguenze anche gravi sulla salute. Evidentemente i “diritti umani” sono un concetto che perde validità a certe latitudini. Ma le donne sono davvero umane? Per una manciata di voti il celebre Concilio di Trento sancì che le donne, diversamente da cani e gatti, avevano un'anima. Bontà loro! Peccato che quest'anima si sia sempre accompagnata ad un corpo peccaminoso e disubbidiente, da forzare alle regole feroci volute da Santa Romana Chiesa.
La libertà e la vita delle donne sono ostaggio di tradizioni e religioni a tutte le latitudini.
Nel nostro paese la storia della libertà femminile oggi si scontra contro la vigorosa iniziativa clericale, un'iniziativa che ha trovato sostenitori bipartisan in entrambi gli schieramenti presenti in parlamento. La legge sulla procreazione assistita, che pretende di normare e limitare scelte che attengono alla sfera personale ne è stata il coronamento.
Le recenti sentenze in materia di stupro, che attenuano le pene a chi violenta una ragazzina di 13 anni che ha già “esperienza” o a che vive in un ambiente “degradato” la dicono lunga su un ambiente culturale in cui, sebbene la legge lo sancisca, non riesce a concepire la violenza sessuale come atto grave.
Non passa giorno senza che si moltiplichino gli attacchi alla libertà di scegliere consapevolmente della propria maternità. Per non parlare dell'elisione di servizi alla persona le cui conseguenze, nei fatti, continuano a pesare sulle donne povere, su sui ricadono i lavori di cura.
Che la povertà sia femminile è un dato che emerge da tutte le statistiche su scala planetaria, poiché l'accesso al lavoro, all'istruzione, la stessa libertà di circolazione sono fortemente ridotte per le donne. Ne consegue, in una sorta di spirale inarrestabile, una maggiore esposizione alla violenza, come segno caratteristico dell'orizzonte esistenziale di ciascuna di noi.
La paura ne è l'emblema. E chi vive nella paura non può essere né libero né felice, poiché la paura è strumento di asservimento principe.
Tutte noi, sin dalla nascita, sappiamo che potremmo essere portate nel deserto. Tutte noi sappiamo che le carceri che rinchiudono le donne sono quasi sempre le case in cui abitano, che le chiavi della cella, la reclusione e spesso la morte sono in mano a chi ci è più vicino. Padri, fratelli, amanti.
Solo qualche settimana fa un “uomo d'onore” ha scannato la sorella, rea di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. È successo in Pakistan o Afganistan o in Nigeria? No è un “semplice” fatto di cronaca nera del nostro Bel Paese. Un paese civile, mica uno di quei posti dove vige la barbarie islamica. Già.

Libertà condizionata

Eppure la violenza contro le donne, la limitazione della loro libertà, della possibilità stessa di vivere restano confinate dentro aride statistiche o nelle pagine di cronaca nera.
Al di là delle altisonanti dichiarazioni fatte in occasioni di cerimonie ufficiali o anniversari particolari, la servitù femminile, la violenza quotidiana e bestiale non sono nell'agenda politica di nessuno. Ogni storia è una storia singola. Ogni maschio che stermina la famiglia è un uomo normale, tanto perbene… chi l'avrebbe mai detto che potesse arrivare a tanto? Probabilmente era depresso. Già. I maschi che uccidono, violentano, picchiano, asservono, sfruttano, mutilano, sfregiano sono sempre l'eccezione, mai la regola. Eppure la mera contabilità ci dice che la ferocia dilaga, che è normale.
Tanto normale che ogni donna finisce con il considerarla un che di ineluttabile, una condanna come quella che dio pronunciò contro Eva, contro la libertà femminile, una libertà che oggi, nel secondo secolo della rivolta femminista, resta ancora una libertà condizionata persino in quei paesi dove la lotta delle donne ha saputo imporre cambiamenti importanti.
Ancora una volta dobbiamo sapere che l'emancipazione delle donne, non diversamente da quella di ogni sfruttato, oppresso, discriminato non potrà essere che opera delle donne stesse. L'auspicio è che la libertà femminile, l'affermazione dei diritti umani come diritti di uomini, donne, trans, sappia demolire e non rafforzare la piramide che rende possibile l'esclusione, che sappia farsi realmente universale, perché intrinsecamente antigerarchica. L'auspicio di una lobby femminile che sappia agevolare le scalate alla piramide sociale che ha attraversato il pensiero della differenza negli anni '80 del novecento non libera le donne ed è foriera di nuova servitù. Il servo che si fa padrone vive nella paura, nella paura terribile che il servo spezzi le catene ed azzanni alla gola il padrone.
In questi mesi nel nostro paese il movimento delle donne è, timidamente, riapparso sulla scena pubblica per contrastare l'ennesimo affondo dei preti e dei fascisti.
Ancora poco, pochissimo, ma pur sempre meglio del deserto in cui il movimento si era, ormai da anni, volontariamente arenato. Servirebbe tuttavia un salto di qualità, passare dalla difesa all'attacco, ridare impulso alla marcia della libertà femminile. È tempo che la questione femminile abbandoni la cronaca nera per imporsi al centro dell'agenda politica.
I milioni di donne picchiate, violentate, mutilate si ergono di fronte a ogni donna del pianeta.
La loro presenza ci accompagna in ogni istante della nostra vita. Di fronte a questi fantasmi muti sta a noi la scelta. Il silenzio, la rassegnazione, la servitù volontaria o il grido, al ribellione, la pratica della libertà.
Se non io, chi per me? Se non ora, quando?

Maria Matteo