Rivista Anarchica Online


Emilio Canzi

“Un padre della Resistenza”
intervista di Orazio Gobbi a Mirco Dondi

 

Così definisce Emilio Canzi l'autore di un libro in cui s'inquadrano le vicende del Piacentino nella storia nazionale della Resistenza. Aldilà di ogni retorica e falsità storiografica.

Mirco Dondi, insegna Storia Contemporanea
all'Università di Bologna

Mirco Dondi è docente di storia contemporanea all'università di Bologna e autore di diverse pubblicazioni riguardanti la Resistenza e la lotta di Liberazione. Nel 2004 ha pubblicato presso l'editore Bruno Mondadori La Resistenza tra unità e conflitto. Vicende parallele tra dimensione nazionale e realtà piacentina.
Una ricerca che non deve essere letta soltanto in una dimensione locale, ma che affronta alcune dinamiche di rilievo nazionale della lotta partigiana.
Vale ricordare che il territorio piacentino, nel periodo resistenziale, dimostrò essere nodo strategico-militare fondamentale per il nord Italia, sia per le forze di Resistenza e di liberazione sia per quelle occupanti nazifasciste. In questo libro Dondi esamina senza censure i contrasti e gli esiti conflittuali che emergono all'interno del movimento nazionale di Resistenza. Un'indagine che prende spunto dai casi ritenuti più emblematici di questo conflitto interno. In questo quadro si inserisce la vicenda di Emilio Canzi, unico caso nella Resistenza italiana di anarchico divenuto Comandante Unico di zona. Una vicenda, la sua, costellata di grandi meriti ma anche di torti subiti in virtù della sua ostinata coerenza libertaria. Ne abbiamo parlato con Dondi in questa intervista raccolta all'università di Bologna nel novembre 2005.

Il tuo libro indaga i caratteri di unità e di conflitto presenti all'interno del movimento resistenziale nazionale e piacentino. Qual è la tua dichiarazione d'intenti a proposito di questa ricerca?

Il libro nasce su proposta di Angelo del Boca e di Severina Fontana (rispettivamente presidente e direttrice dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'età Contemporanea di Piacenza fino ad inizio 2004, N.d.A.). Ho trovato la vicenda resistenziale di Emilio Canzi assolutamente degna di essere approfondita. Ritengo che l'elemento della conflittualità interna sia una questione essenziale nella storia della Resistenza. Molto spesso è una conflittualità controllata, negoziata a livello politico, lo è meno a livello militare. Sovente la negoziazione tra formazioni partigiane salta e si producono atteggiamenti violenti, prove di forza e minacce che caratterizzano spesso l'assorbimento di piccole formazioni da parte di quelle più grandi. Sono vicende che costellano la storia della Resistenza in ogni parte d'Italia e quindi hanno una rilevanza importante se vogliamo riflettere seriamente sulla struttura del movimento resistenziale, sulla sua natura.

Ci puoi dare una valutazione d'insieme del fronte antifascista nel nostro Paese prima della caduta di Mussolini? Quale diffusione e quale adesione aveva l'antifascismo prima del 25 luglio '43?

Una diffusione e un'adesione basse. L'antifascismo viene da un ventennio di divisioni. Giustizia e Libertà contrapposta ai socialisti, accusati di scarsa opposizione al fascismo. Un rapporto politico e organizzativo incostante tra comunisti e socialisti, che produce anche contrasti. Lo stesso cattolicesimo è in parte antifascista e in parte no. Verso la fine del '42 si assiste ad un avvicinamento di posizioni, ma è il 25 luglio del '43 a fare da catalizzatore delle forze di opposizione al regime. Poi le circostanze fanno il resto. Con l'8 settembre del '43 nasce il Comitato di Liberazione Nazionale che rappresenta una volontà di unità, il primo importante punto di arrivo dell'antifascismo.

Con l'8 settembre si formano le prime spontanee bande partigiane. Quali sono i rapporti con i vari CLN? Ci sono zone dove il rapporto tra bande e CLN è più omogeneo e altre dove è più difficoltoso?

Indubbiamente sì. Laddove le bande partigiane hanno un'origine autonoma dal CLN e sono autosufficienti dal punto di vista delle risorse, il rapporto solitamente non è buono. Quando invece il CLN ha contribuito alla formazione dell'organizzazione partigiana il rapporto è migliore, soprattutto per l'importanza affidata all'approvvigionamento di armi e materiali.
Le dissonanze di ordine strategico, ad ogni modo, sono sempre possibili.

Coinvolgimento immediato e spontaneo

Nel Piacentino c'è corrispondenza d'intenti tra il primo CLN provinciale e alcune tra le prime bande partigiane. Questo dipende dal fatto che elementi determinanti del primo CLN piacentino – Emilio Canzi e Paolo Belizzi – sono anche tra i primi fautori della Resistenza armata in montagna?

Sì, sono molto spesso le stesse persone. Il primo CLN piacentino è molto unito, determinato nella creazione di bande armate e genitore del gruppo di Peli. Nel Piacentino, sul finire del '43, c'è una diffusa costellazione di piccole bande autonome e indipendenti delle quali, a tutt'oggi, sappiamo molto poco. Fino al marzo del 1944 il CLN non riesce a realizzarne una mappatura completa.

Il coinvolgimento nella Resistenza partigiana di Emilio Canzi, antifascista da sempre, è immediato e spontaneo. Questa motivazione può giustificare il credito di cui gode quando viene designato dal CLN responsabile della struttura militare e poi Comandante Unico delle formazioni partigiane piacentine?

Canzi proviene dall'esperienza degli Arditi del Popolo, è una militante libertario e figura naturale di riferimento operativo e militare. Paolo Belizzi, comunista, anche lui appartenuto agli Arditi, conosce bene l'anarchico: lo apprezza e lo stima. Canzi è noto per essere stato in Spagna e per aver sacrificato buona parte della sua vita tra confino ed esilio. La sua biografia lo designa naturalmente come personaggio di riferimento. In seno al CLN lo stesso Francesco Daveri, cattolico e sincero antifascista, si trova subito in assonanza con lui.
Un aspetto che caratterizza questo gruppo che compone il primo CLN piacentino, e che non si ripeterà più, è la consapevolezza della necessità di agire senza preoccupazioni e interessi di parte politica.

Il Partito Comunista Italiano, inteso soprattutto come struttura organizzata, e il Partito d'Azione sono scarsamente rappresentati nelle prime componenti della Resistenza piacentina. Questa situazione, piuttosto anomala rispetto al resto del nord Italia, può aver favorito l'ascesa di Canzi, anarchico e indipendente, al vertice della Resistenza? Quanto conta l'assenza di figure alternative di rilievo?

Questo è difficile da dire. Nella Resistenza spesso si affermano leader naturali e ciò può dipendere dalla composizione dei vari CLN. La debolezza dei comunisti e degli azionisti non favorisce necessariamente Canzi. Egli in quel momento è decisamente la figura più rappresentativa, anche a opinione dei rappresentanti del CLN.
Non si tratta quindi soltanto di mancanza di concorrenza, un PCI debole e poco rappresentato manifesta scarsità propositiva. In questa fase i comunisti propongono Bersani, una figura apprezzata anche dal punto di vista militare, ma questi viene messo fuori gioco rapidamente. Inoltre il primo rappresentante del PCI nel CLN, Belizzi, non ha secondi fini, diversamente da uomini di apparato come Remo Polizzi, che lo sostituirà e valuterà tutta la vicenda politico-militare con un'ottica di egemonia partitica proiettata verso il futuro.

L'attacco del Partito Comunista

Con il rastrellamento dell'inverno '44/'45 il movimento partigiano subisce uno sbandamento significativo, con notevoli perdite sia tra i partigiani che tra i civili. Nel movimento sorgono polemiche molto aspre, soprattutto da parte comunista. Ci sono responsabilità oggettive imputabili al Comando Unico gestito da Canzi?

Possono esserci state responsabilità, ma Canzi non ha dimostrato una perizia inferiore a tanti altri comandanti. Poco prima del rastrellamento il Comandante Unico chiede alle brigate partigiane quale fosse la loro forza per realizzare un piano di difesa. Le formazioni, gelose della loro autonomia, non danno le informazioni al Comando. Questo è stato un primo elemento di ostacolo all'opera di Canzi.
Consideriamo poi la portata del rastrellamento del '44/'45, uno dei più dirompenti di tutto il Nord Italia, e l'insufficiente armamento delle formazioni partigiane. Inoltre la disfatta seguita al rastrellamento è stata imputata più all'indisciplina di alcuni settori di GL che non al Comando Unico. Canzi si adopera per l'ultima difesa di Bettola cercando di non coinvolgere la popolazione civile. Una posizione meritoria.
Gli uomini si possono valutare da quanto imparano dagli eventi, e il Comandante anarchico ne trae una grande lezione di strategia militare che in seguito utilizzerà per il suo piano di riordino delle formazioni partigiane. Canzi aveva capito dov'era sbagliato il movimento partigiano piacentino.

I tentativi, sempre più espliciti, di delegittimare Canzi sono condotti dal PCI e avranno come esito la sua destituzione e il suo arresto. Quali sono le reali motivazioni che inducono i vertici del partito a questa prova di forza?

L'attacco non proviene dai vertici piacentini del partito. È un'azione pianificata da commissari del Partito Comunista, probabilmente di Milano. Basti pensare alla funzione esercitata da Amerigo Clocchiatti, esponente del Comando Regionale nord Emilia e uomo vicino a Luigi Longo, favorevole alla rimozione di Canzi.
È chiaro che il Partito Comunista vede nella disfatta seguita al rastrellamento di novembre un presupposto per poter attaccare il ruolo ricoperto dall'anarchico.
Da questo punto di vista Canzi appare come una persona debole perché slegata dai partiti.
Le posizioni mutano nel corso del tempo ma negli ultimi mesi il Partito Comunista è molto determinato ad attaccare il Comando Unico: è la posizione che ritiene di poter conquistare con meno conseguenze politiche.

L'esperienza della guerra civile spagnola ha reso Canzi diffidente nei confronti dei comunisti, ma durante la Resistenza, come recita il tuo libro, la sua “vocazione unitaria, aldilà degli schieramenti, con l'unico fine di sconfiggere il nazifascismo” è prevalsa. È questo che lo ha reso così stimato dai partigiani e dalla popolazione della montagna?

Certamente chi lo ha conosciuto apprezza questo suo atteggiamento, insieme al suo essere non dico al di la delle parti, ma aperto al dialogo per il raggiungimento di uno scopo comune.
Uno dei momenti chiave che testimoniano il valore del Comandante anarchico l'abbiamo proprio nel giorno della festa della Liberazione a Piacenza, il 5 maggio '45 in piazza Cavalli, quando Luigi Marzioli, il suo sostituto al Comando Unico, viene quasi ignorato dai partigiani e Canzi viene invece acclamato. Immagi-no che non tutti i partigiani presenti conoscessero Canzi di persona. Le voci sulle sue azioni si erano rincorse ed erano state diffuse da chi lo aveva conosciuto e dalla stessa popolazione con la quale ha mantenuto sempre ottimi rapporti. Anche altri comandanti come Fausto Cossu hanno garantito attraverso la disciplina delle brigate partigiane un buon rapporto con la popolazione. Ma sicuramente Canzi usava dei mezzi persuasivi diversi da quelli che usava Cossu. Questo è dovuto anche alla diversa formazione delle due figure: uno anarchico libertario, l'altro carabiniere e monarchico, due approcci molto diversi in una situazione condivisa.

Lo scacchiere piacentino

Canzi, fedele ai principi libertari, aveva una concezione “antimilitarista” della lotta partigiana. Più testimoni affermano che per lui “ognuno avrebbe dovuto regolarsi da se, autocontrollarsi senza bisogno di carabinieri e di tribunali e di giudici”. Queste aspettative incontrano il favore dei suoi partigiani e degli altri componenti il CLN provinciale?

Canzi dialoga molto con i suoi partigiani e, secondo molte testimonianze, riesce a essere convincente. Ha un'idea di autodisciplina partigiana. Un atteggiamento che funziona con le persone che hanno con lui un rapporto diretto. Questa idea di autocontrollo entra in crisi quando si deve rapportare con altri comandanti partigiani o con i componenti del CLN che non lo conoscono o che hanno una diversa impostazione ideologica.
Un'idea che vale come intento, come proposito di partenza. Lo stesso Canzi deve successivamente rivedere le sue posizioni, anche se cerca sempre di applicare il suo criterio di autodisciplina verso i partigiani.

La riabilitazione di Canzi, prima in seno al CLN provinciale e poi nuovamente come Comandante Unico, avviene poco dopo la Liberazione su forte pressione del movimento partigiano, che riconosce nella sua destituzione un forte atto d'ingiustizia. Nel CLN Alta Italia quali sono i rapporti di forza che fanno propendere per la sua riabilitazione?

All'interno del CLN Alta Italia apparentemente non esistono rapporti di forza favorevoli a Canzi. Il peso del PCI è molto forte e quello dei socialisti in crescita. Si possono fare due ipotesi: la prima è che il Partito d'Azione, segnatamente Ferruccio Parri, abbia preso a cuore la vicenda dell'anarchico. La seconda è un passo indietro del CLN per cancellare l'atto di autoritarismo che aveva colpito Canzi.
Dal punto di vista formale si era creata una situazione intricata, dove Comitato Regionale e CLN Alta Italia, in competizione, avocavano a se il compito di nominare il Comandante Unico di zona.
Il Comitato Regionale era composto quasi esclusivamente da comunisti e quando si decide la giubilazione di Canzi non è presente il rappresentante democristiano. Lo stesso rappresentante democristiano in seno al CLN potrebbe aver indotto la DC a propendere per Canzi.
Quindi consideriamo l'appoggio di azionisti e democristiani, gli elementi critici come la violenza dell'azione di arresto e l'irregolare composizione del Comitato Regionale. Sono gli elementi che possono aver indotto il CLN Alta Italia a riabilitare e reintegrare il Comandante anarchico.
Il caso piacentino non è un caso locale ma un caso che spiega molte dinamiche di costruzione e azione del movimento resistenziale, per la tipologia dei conflitti che si realizzano e in parte anche per come vengono risolti. La dinamica della destituzione di Canzi e il suo piano di riordino delle formazioni partigiane interessano il piano resistenziale nazionale. Lo scacchiere piacentino è strategico anche per il PCI, ma non sono i comunisti locali a decidere su questi avvenimenti.

Un uomo d'azione

Nel tuo libro dedichi ampio spazio a delineare la figura umana e militante di Emilio Canzi. Quale valutazione complessiva dai del suo operato nella Resistenza antifascista del nostro Paese?

Emilio Canzi, e molti come lui, hanno vissuto la Resistenza come un processo di crescita. La sua esperienza in determinate situazioni, la capacità di adattare e modificare forme e modi dell'azione partigiana delineano la figura di un uomo disposto a capire e confrontarsi con altri soggetti, anche molto differenti da lui.
Certo, convive con le paure legate al suo passato, ma è mia opinione che il suo pregiudizio nei confronti dei comunisti riguardasse più la struttura organizzata che le persone che la animavano.
Con le persone più diverse ha sempre cercato di dialogare e muoversi verso un obiettivo comune. Mi ha colpito un'intervista che mi rilasciò Giuseppe Prati che fu per molti versi detrattore del Comandante Unico, imputandogli scelte strategiche sbagliate. Prati però affermava nell'intervista di essere sempre assolutamente convinto dell'onestà intellettuale dell'anarchico. D'altro canto non è possibile avere riscontri positivi unanimi del proprio operato.
Canzi è stato un uomo d'azione, non un teorico. Un uomo che ha cercato di vivere dando l'esempio. Voglio citare un episodio poco conosciuto, confidatomi dalla figlia Bruna, che vede il padre Emilio, poco prima di morire, lasciare i suoi pochi soldi agli infermieri che lo avevano in cura all'ospedale di Piacenza. Credo che questo piccolo episodio testimoni dello spessore umano di questa persona.

Orazio Gobbi