Rivista Anarchica Online


revisionismo

Aria fritta
di Giuseppe Galzerano

 

Salta fuori una lettera datata 1929 dello scrittore Upton Sinclair e si riapre il caso di Sacco e Vanzetti, i due anarchici italiani giustiziati negli Usa sulla sedia elettrica nel 1927.

 

Ai primi di gennaio la stampa italiana ha dato molto risalto ad una notizia fatta passare come sensazionale e nuova, secondo la quale – riprendendo una notizia apparsa sulla stampa americana – i due anarchici italiani erano colpevoli. Il “Los Angeles Times” ha pubblicato una lettera inedita dello scrittore Upton Sinclair del 12 settembre 1929, diretta al suo avvocato, John Beardsley di Los Angeles, nella quale scriveva: “Ho sostenuto per anni l'innocenza di Sacco e Vanzetti, pur essendo stato informato personalmente dal loro legale, Fred Moore, che erano entrambi colpevoli”.
Sinclair è autore di Boston, un romanzo nel quale sostiene l'innocenza dei due anarchici italiani e nel prosieguo della lettera al suo avvocato continua: “Mia moglie è assolutamente convinta che se dicessi la verità verrei chiamato traditore del movimento e non potrei mai terminare il mio Boston”. La lettera – leggiamo in un sito americano – si trovava in un lotto che è stato acquistato per cento dollari in un'asta svoltasi a Irvine da certo Paul Hegnes, che la donerà all'Archivio Sinclair dell'Università dell'Indiana.
È proprio il caso di dire con i latini: nulla di nuovo sotto il sole. La notizia non è né nuova né sensazionale.
La versione che i due italiani siano colpevoli è vecchia e risale nientepodimeno che all'indomani del loro arresto, avvenuto a New York la sera del 5 maggio del 1920.
Fu accettata anche dal tribunale che li giudicò e la notte del 23 agosto 1927 li mandò sulla sedia elettrica. Naturalmente è stata riferita più volte anche dopo l'esecuzione dei due anarchici italiani. Di tanto in tanto appare sulla stampa.
C'è stato anche chi ha sostenuto che Vanzetti era innocente mentre Sacco sarebbe stato colpevole. Sono molti i libri dedicati al caso Sacco e Vanzetti e naturalmente – a volte – c'è chi sposa l'una o l'altra tesi, quando sostengono la tesi della colpevolezza quasi sempre senza fornire uno straccio della necessaria documentazione.

Sacco e Vanzetti salgono su un cellulare

Solo una chiacchiera

Di primo acchito questa volta sembra che a suffragare la tesi della colpevolezza dei due anarchici ci sia il conforto di una lettera, dunque di una prova e di un documento. E un documento, in un'accusa, è naturalmente importante. Ma così non è. La lettera di Upton Sinclair riferisce semplicemente una chiacchiera senza prove, niente di più. Non offre alcuna prova. D'altra parte chiunque può dire e scrivere d'aver sentito dire che una persona è colpevole. Ma questa non è una prova, è appunto una chiacchiera e – purtroppo – anche uno scrittore affermato può propagare una chiacchiera.
Ma ciò nonostante prendiamo in esame questa nuova versione, cominciando col dire che non esiste assolutamente la prova provata che effettivamente in una conversazione l'avv. Freed Moore, che su indicazione di Carlo Tresca sostituì l'avv. Vahey, il primo difensore dei due emigranti anarchici (Moore era stato nominato il 19 agosto 1920, fu invitato ad abbandonare la difesa nell'agosto del 1924, dopo aver incassato – come difensore – parcelle per oltre centomila dollari), abbia riferito la convinzione della colpevolezza di Sacco e di Vanzetti. Poi non viene indicato né il luogo, né la data, né la circostanza della rivelazione di Moore e, come tale, non risponde a standards né di valore giudiziario né di valore storico.

Annuncio dello sciopero della fame attuato da Nicola Sacco

Dunque, per prima cosa, la conversazione potrebbe essere inventata. Tutto è incerto e dubbioso e, per di più, Sinclair non riporta esattamente la frase dell'avv. Moore, ma è molto generica. L'avv. Moore avrebbe potuto fare la sua affermazione in ben altro contesto, affermando ad esempio che i giudici ritenevano Sacco e Vanzetti colpevoli. E ciò è vero, altrimenti non sarebbero stati condannati. Basta aver tolto – nella fretta di scrivere – il soggetto (i giudici) perché la frase assuma un altro significato.
Moore, ch'era stato cacciato in malo modo dalla difesa, se avesse pensato una cosa del genere, anche per vendetta, l'avrebbe detta subito direttamente lui finendo allora sulla prima pagina dei quotidiani di tutto il mondo, e non l'avrebbe confidata né a Sinclair né ad altri. Ma anche quella di Moore sarebbe stata soltanto un'opinione, un'opinione come tante, perché non basta essere stato un avvocato difensore per ritenere di affermare la verità o per sentenziare che un imputato è colpevole.
Cominciamo col dire che la lettera e l'opinione di Upton Sinclair era nota, tant'è che nel lontano 1979 lo storico americano Nunzio Pernicone, docente all'Università Drexell di Philadelphia, nel suo articolo Carlo Tresca and the Sacco-Vanzetti, pubblicato nella rivista “The Journal of American History”, di New York, volume 66, n. 3, december 1979, pag. 535-547, la contesta. Ricorda che quando nel 1927 Sinclair raccoglieva notizie per il suo libro Boston si recò a trovare Rosina Sacco, che trovò molto sospettosa e poco collaborativa nei suoi confronti. L'atteggiamento della donna contrastava con la collaborazione e la cordialità ricevuta invece dagli amici di Vanzetti, la famiglia di Brini e per questo Sinclair concluse che la donna gli voleva nascondere qualcosa, ovvero la colpevolezza del marito. Di questo particolare venne a conoscenza, dopo una quindicina di anni, Max Eastman, e, nel 1943, si rivolse a Carlo Tresca, l'unico in grado di chiarire la questione. I due erano vecchi amici e alla secca domanda di Eastman, Carlo Tresca avrebbe risposto: “Sacco era colpevole, ma Vanzetti no”. Prima che Eastman potesse chiedere a Tresca spiegazioni, nella stanza entrarono altre persone e il discorso fu interrotto e appena qualche settimana dopo Tresca verrà assassinato e Max Eastman non ebbe la possibilità di approfondire. Con quasi vent'anni di ritardo lo riferirà in Is This the Truth about Sacco and Vanzetti, pubblicato dal “National Review”, XI, 21 ottobre 1961, pag. 261-264. Su questa ammissione messa in bocca a Tresca si baserà anche Francis Russel per affermare, nel suo libro, la colpevolezza di Nicola Sacco. Nunzio Pernicone fa presente che i collaboratori più stretti di Carlo Tresca, come la figlia Beatrice, Giuseppe Popolizio, Joseph Jenuso e lo stesso giudice Michael Musmanno hanno affermato che se Tresca dubitava dell'innocenza di Sacco sarebbero stati i primi a saperlo.

Quel libro è una tragedia

In occasione della fiction su Sacco e Vanzetti, l'editore Mondadori ha ristampato il libro di Francis Russell La tragedia di Sacco e Vanzetti, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1961, tradotto in italiano da Mursia nel 1966. L'autore sostiene la tesi della colpevolezza di Nicola Sacco. Mauro Calamandrei ha aggiunto dell'altro alla sua precedente introduzione, arrivando a far dire cose mai dette allo storico italo-americano Nunzio Pernicone (storpiando il cognome in Perticone) e sostenendo finanche che aveva partecipato ad un non meglio precisato convegno svoltosi nel 1993 a Roma su Sacco e Vanzetti. Avuto – mio tramite – il testo dell'introduzione, Pernicone, in un'email del 12 gennaio 2006, arrabbiato, smentisce le frasi attribuitegli e la partecipazione al convegno romano, chiedendosi che affidabilità può dare un prefatore e un giornalista che scrive falsità.

G.C.


La confessione di Celestino

Come si può vedere i dubbi di Upton Sinclair erano noti e solo per dei giornalisti smemorati – americani e italiani – la sua lettera può essere sensazionale.
Sulla faccenda ho sentito nuovamente Nunzio Pernicone, che in un'email del 5 gennaio 2006, mi scrive: “Questa rivelazione di Upton Sinclair è vecchia roba. Sicuramente l'avv. Moore diceva a Sinclair che Sacco e Vanzetti erano implicati negli attentati delle bombe commessi dai galleanisti durante il 1919. La loro partecipazione nella campagna delle bombe è stata provata dal prof. Paul Avrich nel suo libro Sacco and Vanzetti: The Anarchist Background in che modo non sappiamo. È anche vero che Moore aveva detto a Sinclair che Sacco era colpevole della rapina di South Braintree. La questione importante è se Moore sapeva la verità sulla questione della colpevolezza o dell'innocenza o per Sacco o per Vanzetti. Moore era l'avvocato ufficiale di Sacco, ma né Sacco né gli altri galleanisti avevano fiducia completa in lui”.
E a proposito delle bombe fatte scoppiare nel 1919, Pernicone, in un altro suo scritto, pubblicato in “American National Biography Online Feb. 2000” dell'American Council of Learned Societies – Published by Oxford University Press, precisa che Sacco e Vanzetti furono coinvolti marginalmente nella cospirazione della bomba, ma i loro ruoli precisi non sono stati determinati, per cui – anche per questa accusa – siamo nel vago.

USA, anno ’20 - Manifestazione pro Sacco e Vanzetti

La lettera di Sinclair non tiene conto della confessione spontanea di un detenuto di origini portoghesi, Celestino Madeiros, il quale riconosce di aver partecipato al delitto per il quale sono stati processati e condannati Sacco e Vanzetti, escludendo la loro partecipazione. Faceva parte della banda dell'emigrante italiano Butsey Morelli, che aveva compiuto la rapina e il delitto per il quale pagarono Sacco e Vanzetti. Nel 1973 il gangster italo-americano Vincent Teresa pubblica negli Stati Uniti la sua autobiografia, My Life in the Mafia, nella quale riporta una conversazione con Butsey Morelli, uno dei cinque fratelli della banda Morelli, nel corso della quale ammise l'estraneità di Sacco e Vanzetti. Morelli disse: “Quei due tangheri [Sacco e Vanzetti] ci andarono di mezzo. Ce li trovammo tra i piedi e ne approfittammo”. Alla domanda di Teresa: “Fosti davvero tu?”, Morelli ammette: “Certo, Vinnie. E quei due imbecilli ci andarono di mezzo. Questo ti dimostra cosa è la giustizia”. Teresa conclude: “Butsey non era tipo da raccontar frottole. Non si vantò mai, dico mai, di qualcosa che non aveva fatto per davvero” (Vincent Teresa, Piombo nei dadi, Mondadori, Milano, 1973, pag. 67-68). La testimonianza è chiarissima e ribadisce ancora una volta l'innocenza del povero pescivendolo piemontese e del povero calzolaio pugliese.

Germania, anni '20 - Manifestazione della FAUD (sindacato anarcosindacalista tedesco) in favore dei due anarchici italiani

Anarchici e italiani

Quando nel 1961 negli Stati Uniti fu pubblicato il libro di Francis Russell, il giudice americano di origini italiane Michelangelo Musmanno, si scagliò contro l'ipotesi della colpevolezza sostenuta dall'autore, che si difese sostenendo che Upton Sinclair gli aveva riferito che l'avvocato Moore gli aveva espresso la sua convinzione della colpevolezza di Nicola Sacco. In quell'occasione Upton Sinclair smentì dichiarando: “Quelli che credono o dichiarano che Sacco era colpevole non avranno il mio appoggio. Io non ho cambiato le mie vedute”. Questa dichiarazione del 1962 – riportata da Luigi Botta in Sacco e Vanzetti, giustiziata la verità, Edizioni Gribaudo, Cavallermaggiore, 1978, pag. 165 – smentisce anche ciò che aveva scritto nella lettera del 12 settembre 1929, ritrovata in questi giorni.

Boston 1927 - I funerali di Sacco e Vanzetti

Concludendo direi che in fondo Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, che ancora oggi “parlano” al cuore degli uomini e delle donne di ogni parte del mondo, erano “colpevoli”, sì, colpevoli, ma solo di essere anarchici e italiani, come accusò chiaramente il procuratore Katzmann. E per questa unica colpa finirono sulla sedia elettrica.
E che fossero unicamente colpevoli di essere anarchici ed italiani, nel luglio 1977 l'ha stabilito anche il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconoscendo ufficialmente in un proclama dello Stato del Massachusetts che il processo a carico dei nostri compagni fu viziato da pregiudizi razziali e politici e pertanto il “verdetto fu contrario alla legge” e per questo Dukakis ordina che “ogni stigma ed onta venga per sempre cancellata dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi delle loro famiglie e discendenti”. È solo un valido riconoscimento ufficiale, per altro tardivo, perché nei cuori di milioni di lavoratori da un capo all'altro del mondo l'innocenza di Nicola Sacco e di Bartolomeo Vanzetti fu chiara fin dall'inizio della loro drammatica e tragica vicenda.
Infine mi sia consentito concludere con un ricordo personale. Avevo 15-16 anni, quando, alla fine degli anni ’60, ad Acquavella, un paesino vicino al mio, incontrai un emigrante che non era stato e non era un anarchico, del quale non ricordo il nome ed è ormai deceduto, rientrato da molti anni dagli Stati Uniti d'America, il quale alla mia domanda su chi erano Sacco e Vanzetti, rispose lapidario e convinto: “Due amici!”. Aveva proprio ragione, per lui erano due amici. Per me erano e sono anche due compagni. Due compagni da sempre innocenti.

Giuseppe Galzerano

Per saperne di più
Giulio Meotti, “Ho difeso Sacco e Vanzetti, ma so che erano colpevoli”. Sinclair choc”, “Il Foglio”, Roma, 3 gennaio 2006, pag. 2.
Alessandra Farkas, Sacco e Vanzetti, erano colpevoli: l'ultima rivelazione, Corriere della Sera, Milano, 4 gennaio 2006, pag. 35.
Nunzio Pernicone, Carlo Tresca and the Sacco-Vanzetti, “The Journal of American History”, New York, volume 66, n. 3, december 1979, pag. 535-547.
Le cosiddette rivelazioni sono state oggetto anche di una trasmissione televisiva, che non ho seguito, di Toni Capuozzo su Canale 5 per “Terra”, andata in onda la notte dell'8 gennaio 2006. Nel programma mi dicono che l'ineffabile Capuozzo ha presentato Sacco e Vanzetti come “un'icona della sinistra che è crollata”.


Bartolomeo Vanzetti

Una vita proletaria

L'autobiografia, le lettere dal carcere e le ultime parole ai giudici
2 ed., 2005, pag. 96, con foto, €. 8,00

Per il settantottesimo anniversario della tragica esecuzione dei due emigranti anarchici italiani, Nicola Sacco di Torremaggiore (Fg) e Bartolomeo Vanzetti di Villafallelto (Cn), avvenuta negli Stati Uniti d'America la notte del 23 agosto 1927, l'editore Galzerano di Casalvelino Scalo (Sa), ha pubblicato la seconda edizione dell'autobiografia che Bartolomeo Vanzetti scrisse in carcere nel 1923 e che ebbe un grande successo (fu pubblicata immediatamente su quattro giornali americani e in opuscolo).
“Una vita proletaria” è uno straordinario documento umano e politico, nel quale Vanzetti ripercorre le tappe della sua vita di operaio e di emigrato senza trovarvi nulla che giustifichi l'ingiustizia che sta patendo insieme a Nicola Sacco: non ha mai rubato, non ha mai ucciso, anzi ha speso la propria esistenza lottando per ottenere per tutti migliori condizioni di vita e di lavoro.
È la vita di un onesto lavoratore che sfida l'America e ancora oggi i nomi dei due italiani sono simboli della libertà e della giustizia calpestata, perché i due proletari italiani vennero mandati sulla sedia elettrica solo perché italiani ed anarchici.
Nel libro, oltre all'autobiografia, vengono riportate anche l'arringa difensiva di Sacco, le ultime e struggenti lettere che i due martiri scrissero dal carcere ai familiari e ai propri compagni, continuando a parlare – come in tutte le azioni della loro vita – il linguaggio dell'amore, della speranza, della giustizia, della fratellanza, della libertà e dell'anarchia.
Per richieste ed altro versare l'importo (sconto del 30% per richieste di almeno cinque copie) sul conto corrente postale n. 16551798 intestato a Giuseppe Galzerano Editore – 84040 Casalvelino Scalo (Sa). Tel. e fax: 0974.62028. Email: giuseppe.galzerano@tiscalinet.it.