Rivista Anarchica Online


dibattito

Sull’identità anarchica
di Marco Gastoni

 

Spunti di riflessione sugli anarchici oggi. E sul loro possibile ruolo.

 

Non son l'uno per cento
ma credetemi esistono,
stretti l'uno con l'altro
e se in loro non credi
li puoi sbattere in terra
ma sono sempre in piedi.
Sono gli Anarchici.


Léo Ferré
(traduzione di Enrico Medail)


Chi siamo?

Il dibattito sull'identità anarchica ha percorso tutta la nostra storia e, mai come ora, risulta di stretta attualità e viene da molti vissuto come strategico. Questo è soltanto un piccolo contributo ad un approfondimento già in atto nel movimento e le idee presentate vogliono essere una riflessione personale che possa suscitare ulteriore dibattito su questi temi, sperando che ciò possa infine portare a conclusioni generalmente condivise tra compagne e compagni e soprattutto a nuove forme di ascolto, confronto e coordinamento. Non mi ritengo all'altezza del compito che mi sono prefisso ma spero di liberarmi da un tarlo che, da anarchico, mi arrovella da molto tempo.
Potremmo iniziare da alcune delle cose che dovrebbero accomunarci, almeno secondo il mio punto di vista, senza la pretesa di proporre una piattaforma programmatica. Ci rendono compagni (e compagne) innanzitutto i nostri morti, caduti per la dignità e per i diritti fondamentali dell'essere umano, i compagni e compagne che stanno in carcere ingiustamente e che sono perseguitati per motivi politici ancora oggi in Italia e all'estero. Ci dovrebbero appartenere il rifiuto assoluto della violenza (ovvero dell'abuso della forza che si manifesta attraverso il sopruso), le battaglie contro l'arroganza del potere, contro l'intolleranza e contro tutti i fascismi. Ci caratterizzano la ricerca di uno sviluppo umano ed ambientale sostenibile, basato su una pedagogia liberata, sulla partecipazione dei lavoratori, sull'autogestione e sul federalismo. E molte altre cose che mi sono dimenticato di citare...
Il mondo globalizzato di oggi, costruito sulle basi dell'alta velocità e della crescita insostenibile della produzione di merci che viaggiano in tutto il mondo per sovvenzionare il consumo massificato, sembra proprio avere bisogno di noi, considerato che il pensiero anarchico ha prodotto alcuni dei più lucidi contributi critici per la costruzione di una società più giusta. Del resto, il federalismo, la produzione autogestita e il consumo critico non significano né protezionismo né autarchia: un commercio autenticamente libero non si costruisce certamente con le multinazionali e gli abusi di posizione dominante ma si può realizzare soltanto attraverso gli scambi alla pari tra produttori e consumatori in un contesto liberato dagli oligopoli di potere attuali.
La nostra lotta dal punto di vista economico dovrebbe essere rivolta prima di tutto a scardinare le rendite di posizione, i monopoli e gli oligopoli giustificati soltanto dall'occupazione del sistema politico da parte delle lobby di potere sia a livello globale che locale.
Questi risultati non possono prescindere da un sistema produttivo incentrato sull'autogestione dei lavoratori a tutti i livelli.
L'attuale contesto globale sembrerebbe ideale per favorire una maggiore incisività degli anarchici nella società e, in effetti, si verifica un risveglio generalizzato sui temi a noi cari a tutti i livelli: la dimostrazione più lampante di questa potenzialità è data dall'interesse poliziesco e dei mezzi d'informazione di regime nei nostri confronti, guarda caso sempre in chiave repressiva e denigratoria. Rispetto ai decenni appena trascorsi, oggi si parla degli anarchici quasi ogni giorno sui mezzi d'informazione al fine di rappresentare un'immagine distorta e molto lontana dalla nostra realtà.
Nonostante il nostro contributo fattivo alla società, purtroppo i nostri sforzi per propagandare le nostre idee all'esterno sono frustrati, non solo a causa dell'endemica assenza di mezzi d'informazione indipendenti a larga diffusione, ma anche da una certa timidezza nel definire chiaramente le nostre posizioni fuori dai mezzi d'informazione autoprodotti.
A fronte di un enorme contributo pratico nelle lotte sociali, molti mettono in evidenza che la visibilità e il ruolo effettivo degli anarchici sia ben lungi dall'essere pienamente realizzato rispetto alle potenzialità: di qui l'esigenza di approfondire questo tema anche attraverso la questione dell'identità. Un dibattito che faccia chiarezza su questo tema, a mio modesto avviso, è cruciale per uscire dai ghetti dove i potenti hanno interesse a relegarci, facendo innanzitutto chiarezza su chi siamo e su quello che vogliamo ottenere.
Il secondo passo potrà essere quello di ridefinire strategie d'azione basate sull'autonomia degli individui e dei gruppi attorno a principi che possono e debbono essere condivisi. La crescita del nostro movimento non può infatti prescindere da uno sforzo di coordinamento al nostro interno attraverso una discussione dei programmi di lotta con una comunicazione all'esterno sistematica ed efficace.

Gli anarchici nella realtà odierna

Il ruolo degli anarchici nella società non si limita certamente alla militanza nell'ambito di gruppi d'ispirazione anarchica o libertaria in senso lato. Ovviamente, ciascuno di noi contribuisce alla società anche al di fuori degli ambiti d'attività specificatamente politici e spesso ci si ritrova all'interno di aggregazioni eterogenee attraverso le quali tentare la sperimentazione di pratiche condivise di miglioramento sociale. Per molte compagne e compagni, la scelta di proiettare all'esterno del movimento anarchico la propria attività, anche specificatamente politica, è praticamente obbligata, considerato che i gruppi anarchici non sono ovunque presenti. Inoltre, chi decidesse di svolgere la propria attività politica e sociale soltanto all'interno del gruppo anarchico non sentendo il bisogno di confrontarsi con l'esterno comunque si esporrebbe al rischio di una crescente marginalità rispetto al corpo sociale.
Questa capacità di fertilizzazione di ambiti esterni al movimento anarchico è fondamentale non soltanto ai fini della crescita di pratiche autogestionarie capaci di migliorare la società ma, a mio avviso, anche per diffondere le idee e i valori che ci appartengono.
La pratica libertaria e l'azione diretta rivestono senz'altro un ruolo cruciale nella nostra azione politica e consentono di propagandare un modo diverso di vivere la società come soggetti attivi dediti al cambiamento. Personalmente, ritengo però che la pratica anarchica (o libertaria) debba costantemente essere accompagnata dalla definizione ideologica delle proprie azioni, specialmente se ci si associa ad altre forze su battaglie specifiche con pratiche concordate di volta in volta. Se ci si limita alla ricerca di alcune pratiche condivise a prescindere dall'approfondimento della matrice ideologica entro la quale ci si muove, sulla base della mia esperienza, si corrono alcuni rischi.
Gli anarchici si trovano a volte coinvolti in gruppi di lotta sprovvisti di riferimenti ideologici chiari e condivisi, ove si ritiene prioritaria l'azione pratica flessibile rispetto ai problemi sociali e il confronto sui riferimenti culturali e politici sovente viene accantonato. Le azioni vengono valutate attraverso la discussione tra i partecipanti che decidono di volta in volta la strada da percorrere: si privilegiano i risultati concreti di breve periodo e il dibattito ideologico viene ritenuto superfluo. Questo modus operandi garantisce flessibilità e inclusione potenzialmente massima ma può portare a giustificare mezzi impropri per raggiungere i propri obiettivi. Il rischio dell'autoreferenzialità è quello di concentrarsi su sé stessi e sulle proprie regole di gruppo senza raccordarsi con i principi generali anarchici, in alcuni casi vissuti come estranei o superati.
Questo atteggiamento portato agli estremi rischia di sfiorare il qualunquismo quando si tollerano sostanziali contraddizioni teoriche e/o pratiche nel nome del desiderio di abbracciare a tutti i costi il dissenso nei confronti del sistema attuale. Ovvero si preferisce assumere un generico atteggiamento di rifiuto della politica ufficiale e delle scelte che da essa scaturiscono, coalizzandosi con altri soggetti sugli aspetti protestatari, piuttosto che lavorare sulle alternative da condividere che, nelle coalizioni artificialmente basate sul mero rifiuto dell'esistente, sarebbero comunque molto difficoltose.

Il ruolo dell'ideologia nella pratica

Ammettiamo che le problematiche evidenziate siano effettive e che si riscontri nella pratica un'insufficiente incisività del movimento anarchico nel suo complesso – in quanto costituito da una molteplicità di soggetti non sufficientemente coordinati e coerenti – rispetto alle proprie enormi potenzialità. Supponiamo anche che la marginalità, l'autoreferenzialità e, in casi estremi, il qualunquismo siano alcuni dei rischi che incombono. Per quanto attiene alle potenziali soluzioni di queste problematiche, personalmente mi sono convinto che la costruzione di un'identità comune, chiara e visibile anche dall'esterno sia fondamentale.
Innanzitutto ritengo che l'ideologia anarchica sia rispettosa delle individualità e delle pratiche diverse pur mantenendo una capacità enorme di evidenziare comportamenti a rischio all'interno dei movimenti sociali (autoritarismo, apatia, inconsistenza, ecc.) facilitandone la correzione attraverso la partecipazione e l'autogestione.
La capacità di autoregolamentazione e adattamento alle circostanze esogene dei gruppi dichiaratamente anarchici e che vivono l'ideologia come sfida quotidiana, è potenzialmente superiore a quella dei gruppi privi di riferimenti o dai riferimenti più eterogenei. Inoltre, nella mia esperienza, la collaborazione e il coordinamento tra gli individui e i gruppi di tendenza anarchica (o almeno libertaria) risulta più agevole e proficua quando le basi sono quelle dell'autonomia e del rispetto reciproco delle diversità. La capacità di proposta d'azione pragmatica e la gestione non autoritaria delle reti tipica degli anarchici è una grande forza che occorre saper tradurre in proposta politica che superi lo spontaneismo.
Come possiamo accrescere il ruolo degli anarchici nella società ai fini di originare cambiamenti concreti, senza lavorare per una definizione di quello che siamo? Come possiamo agire da polo d'aggregazione e costruzione di un futuro migliore se non ci rivolgiamo prima di tutto agli altri anarchici e non siamo riconoscibili dall'esterno con una proposta sfaccettata finché si vuole ma coerente? Per una persona esterna al movimento, mi pare che la comprensione degli anarchici sia estremamente difficoltosa e, quindi, è più facile che le immagini distorte dai media possano far presa.
Un esempio banale ma che mi sembra indicativo di questa difficoltà di proporsi all'esterno sono le manifestazioni, nelle quali raramente gli anarchici si ritrovano compatti, come se ci fosse uno strano ritegno a stringersi tutti attorno alle nostre bandiere e a farci riconoscere agendo da potenziale polo d'aggregazione. Questa circostanza si ripete anche nella frequentazione degli spazi sociali, anche anarchici e libertari, nei quali a volte si riscontrano strane barriere tra anarchici di tradizione diversa. Sembra esistere una volontà a segnare con cura maniacale le differenze al nostro interno, salvo poi, in alcuni casi, abbracciare fuori dal contesto anarchico collaborazioni al limite del contraddittorio. Queste difficoltà di comunicazione e di coordinamento rendono la crescita del nostro movimento poco incisiva e soggetta a critiche strumentali agevolate dalla cortina fumogena costruita dai mezzi d'informazione.

La necessità di ritrovarsi

Per concludere, penso che sia necessario e urgente ritrovare il nostro orgoglio di appartenenza tornando a guardarci negli occhi tra compagni e compagne e discutendo insieme di quello che vogliamo essere. Si tratta di uscire dal territorio della pura testimonianza – che comunque ci ha permesso di superare un'epoca buia della nostra storia – e occorre superare la tattica della rincorsa delle mere pratiche libertarie sui problemi specifici, per ridiscutere di un progetto organico e coerente di miglioramento della nostra società su basi dichiaratamente anarchiche.
Il riferimento all'ideologia anarchica, rielaborata nel contesto attuale, costituirebbe una tensione al perfezionamento delle pratiche libertarie – aspetto fondamentale della nostra attività che non intendo in alcun modo sminuire – nell'ottica di agevolare il raccordo di esperienze e la crescita dell'alternativa di sistema.
Per quanto riguarda le proposte concrete sui percorsi di costruzione di un rinnovato dialogo tra gli anarchici, non dispongo di facili ricette che sarebbero in contrasto con lo spirito di questa riflessione che si propone semplicemente di contribuire al dibattito già in atto e che intende, con forza, sollecitare altri e più qualificati interventi.
Va rilevato, comunque, che alcuni strumenti di condivisione e di coordinamento tra i libertari esistono già e spero possano crescere e allargare la propria influenza e che si possa costituirne di nuovi proprio per superare le differenziazioni del passato e trovare nuovi comuni denominatori partendo dalla storia del nostro movimento.
Attraverso il raccordo di numerose e fondamentali esperienze di coordinamento di tendenza anarchico/libertaria su tematiche differenti, è forse possibile ritrovare una sintesi unitaria ma occorre che lo sforzo sia multilaterale e diffuso. Se l'esigenza di confrontarsi al fine di giungere a un rinnovato coordinamento fosse generalmente condivisa, la costruzione di nuovi spazi e occasioni d'incontro e di discussione potrà nascere soltanto attraverso l'impegno dei compagni e delle compagne e dei loro collettivi, coordinamenti e federazioni, affinché cresca la consapevolezza rispetto alla necessità di un salto di qualità nella nostra azione politica e si ritrovi la volontà di stringerci l'uno con l'altro attorno ad un embrione di progetto politico condiviso.

Marco Gastoni