Rivista Anarchica Online


Europa

Ma l’Unione Europea non è ancora decollata
di Antonio Cardella

 

Dopo i no di Francia e Olanda, il vecchio continente appare bloccato. Eppure un’alternativa c’è...


Il voto referendario con il quale Francia e Olanda hanno bocciato la Costituzione europea è ambiguo come ambigua è la Carta in tutta fretta stilata a quattro mani da Giscard d’Estaing e Giuliano Amato e, con altrettanta fretta, sottoposta all’approvazione dei Parlamenti e, per chi lo avesse voluto, all’esame referendario.
A parte la destra becera, nazionalista e xenofoba, che non soltanto in Francia e Olanda si esalta per il presunto obiettivo raggiunto di preservare labari e gagliardetti con teschi e ossa incrociate, puntuale testimonianza di un popolo di zombi che non si rassegna alla definitiva tumulazione, il resto dell’opinione pubblica che ha votato “no” non ha voluto bocciare il disegno complessivo di un’Europa unita, ma il progetto e il metodo con i quali l’obiettivo si è inteso perseguire.
Intanto mi pare incontestabile che tutti i trattati che hanno preceduto questa Costituzione, da quello di Roma del 1957 sino al Trattato di Maastricht del ’91, sono piovuti dall’alto, senza alcuna partecipazione, neppure consultiva, dei popoli unificandi, i quali assistettero impotenti all’elaborazione di accordi funzionali alle politiche dei loro governi e alla salvaguardia di un’economia di mercato che ha sempre avvantaggiato i ricchi e depresso i poveri.
È sotto gli occhi di tutti che il divario tra i Nord e i molti Sud del Continente non è stato sostanzialmente modificato dalle misure di volta in volta attuate dall’UE, in un contesto complessivo in cui certamente la crescita ha toccato tutti, ma in misura diseguale, allargando anziché restringere la forbice tra i bisogni dei cittadini e la voracità dei ricchi e dei potenti.
Ma è il metodo per raggiungere l’obiettivo (ammesso che lo si voglia veramente raggiungere) ad essere tecnicamente sbagliato. Storicamente, infatti, ogni processo unitario, equo o iniquo che fosse, è stato ratificato con una costituzione dopo che un’entità egemone ne aveva tracciate le linee e se ne poneva alla testa.
È avvenuto nell’Ottocento in Germania ad opera della Prussia, nella stessa Italia del regno piemontese e, prima, negli Stati Uniti dove la Costituzione è stata redatta e ratificata dopo il vittorioso conflitto contro gli inglesi. In una certa misura, quindi, si poneva mano ad un sistema politico-giuridico comune dopo che tale unità era già nei fatti.

Istanze premature

L’Europa del XX e del nascente XXI secolo è ben lungi dal mostrare anche soltanto i segnali di una volontà comune e di una visione condivisa dei propri destini La sua storia, che copre ormai il mezzo secolo, è costellata di accordi che hanno tentato di armonizzare le politiche economiche. Così la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) ratificata nell’immediato dopoguerra, l’Unione Doganale e delle politiche Agricole degli anni Settanta, l’Unione monetaria degli anni Ottanta sono tutti accordi che hanno gestito anche efficacemente congiunture difficili, tanto da indurre paesi tradizionalmente diffidenti, Irlanda, Danimarca e Norvegia a richiedere l’ingresso nella CEE.
In realtà, il dibattito tra “funzionalisti” (soprattutto Gran Bretagna e Francia), che volevano limitare l’aggregazione ad accordi specifici in campo economico, e “federalisti” (Germania e Italia, con le personalità trainanti del Cancelliere Schmidt e di Altiero Spinelli), che miravano a creare un’Europa veramente integrata, autonoma in politica estera e con un tessuto giuridico comune si è sempre concluso con il prevalere dei primi.
Ma quanto fossero premature le istanze dei federalisti lo si vide quando si giunse a discutere della CED (Comunità Europea di Difesa), che fu subito osteggiata, all’interno, da Gran Bretagna e Francia e, dall’esterno, dagli Stati Uniti, che vedevano con preoccupazione il sorgere di una terza potenza militare che potesse insidiare il suo ruolo di unico baluardo dell’Occidente, in regime di guerra fredda. La CED non fu l’unica vittima dei nazionalismi persistenti: Toccò analoga sorte all’Unione Economica e Monetaria, che fu ratificata ma con tali limitazioni da renderla praticamente inoperativa.
Questo breve (e inevitabilmente incompleto) excursus era necessario per far rilevare come le preoccupazioni maggiori dei governi europei fossero sempre state quelle di creare un sistema di regole comuni che limitasse i danni provocati dalle crisi ricorrenti del capitalismo europeo e internazionale.
Quando, invece, si tentava di limitare il loro potere, si chiudevano a riccio, rifiutando di aprirsi a qualsiasi prospettiva diversa. Lo stesso Parlamento europeo non ha perduto per nulla la sua dipendenza dai governi (o dalle opposizioni) che lo esprimono.
La mancanza di un sistema elettorale comune, di una prospettiva costituente per un’Europa completamente integrata ha restituito il potere ai singoli Stati, rappresentati, nel Consiglio europeo, dai ministri degli esteri, nella Commissione (i cui Presidenti rispettano turni previsti) da componenti cooptati dai medesimi governi in carica (vi ricordate? Berlusconi mandò Buttiglione al posto di Monti ma se lo vide rispedire al mittente per indegnità), infine da un Presidente dell’Unione, anch’esso nominato a rotazione tra gli Stati membri.
È per effetto di questo procedere, che lascia prevalere gli egoismi nazionalistici e, nella sostanza, emargina i popoli, che l’UE non è mai veramente decollata se non nella direzione di equilibri di finanza pubblica, peraltro spesso contestati. Per tutto il resto è buio profondo.
In politica estera ci si divide quasi ad ogni passo e l’avventura irachena mostra tutte le crepe di una costruzione che si vuole erigere ma che manca di un progetto e di un cantiere efficienti.
Con l’aggravante, nel caso specifico, che si è risposto in ordine sparso non ad una iniziativa autonoma, in difesa cioè di interessi continentali, ma ad una aggressione d’oltre Atlantico, avviata a tutela di logiche di dominio che si muovono, nei fatti, contro l’Europa attuale e, soprattutto, contro le sue istanze unitarie.

Alternativa nominale

Ma dove il processo unificatore, così come è avviato, denuncia le carenze maggiori è nel mancare di una visione originale di modelli di sviluppo che sfuggano all’alternativa tra un contesto che esprima prevalentemente un’area di libero scambio ed un altro che riesca a mantenere un difficile equilibrio tra le esigenze del mercato e la tutela delle categorie più deboli.
In poche parole: tra la visione inglese di un’Europa semplice area di libero scambio, con la riconferma del ruolo degli stati nazionali; e quella franco-tedesca che condiziona lo sviluppo alla sopravvivenza di uno stato sociale che attenui le drammatiche conseguenze dell’economia di mercato.
Il dramma è che l’alternativa è puramente nominale. Per dirla con un famoso proverbio, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Laddove si accetta la logica del mercato, soprattutto allo stato attuale della fase, è tecnicamente impossibile sfuggire al dilemma se promuovere lo sviluppo o garantire la pace sociale.
Lo constatiamo ogni giorno guardandoci attorno: non si superano le crisi economiche ciclicamente ricorrenti nel sistema capitalistico senza sacrificare l’occupazione e il livello dei salari, senza ricorrere al rastrellamento fiscale sulla base più ampia dei contribuenti, che è, come tutti sanno, quella dei redditi da lavoro. Non si superano le stagnazioni o addirittura le recessioni senza il drastico ridimensionamento delle spese sociali e tutto questo indipendentemente dalla volontà dei singoli governi.
Ma anche negli strumenti e nelle istituzioni adottate l’Europa unificanda mostra l’incapacità di sfuggire al consueto burocratismo. Non esiste un organismo che possa intervenire efficacemente nelle politiche di sviluppo.
Le sovvenzioni elargite ai vari Paesi sono prive di un disegno in grado di promuovere dinamiche non semplicemente settoriali o che servano ad indirizzare politiche di integrazione tra i vari sistemi produttivi.
La stessa Banca Centrale Europea è priva di una visione moderna e innovativa di indirizzo e di controllo del sistema monetario e di erogazione del credito, ed è stata totalmente assente nel valutare gli inconvenienti prevedibili dell’introduzione della moneta unica, che, infatti, è stata abbandonata al suo destino con gli effetti negativi che, in misura più o meno rilevante, ha provocato dovunque.

Caro il mio Juncker

Non mi pare occorra altro per spiegare il prevalere dei “no” nel voto referendario in Francia ed Olanda ed è difficile che il trend cambi quando alle urne saranno chiamati, come previsto, inglesi e polacchi.
Così appare miope ed arrogante la dichiarazione del Presidente di turno, il lussemburghese Juncker, il quale, dopo il voto francese, ha quasi testualmente affermato che il fronte del “no” dovrà presto ricredersi e tornare ad un nuovo voto perché a questa Unione non c’è alternativa.
Caro il mio Juncker, l’alternativa c’è. È un’Europa che sorga per iniziativa dei popoli e sfugga all’annichilente prospettiva di un’omologazione delle culture e delle identità delle diverse comunità da sacrificare in nome di un benessere che lascia le briciole a chi lavora e ingrassa i soliti noti.

Antonio Cardella