Rivista Anarchica Online


Messico

Zapata vive...
di Fabrizio Eva

 

...nelle esperienze di autogestione a Città del Messico.


Quando te lo dicono non ci credi. Poi arrivi di notte con l’aereo a Città del Messico (popolazione stimata 20-22 milioni di abitanti) e da quando iniziano le luci ci vogliono 10 minuti di sorvolo della città prima di atterrare. Il mare di luci ha delle grandi macchie buie all’interno e solo di giorno si comprende che sono colline rocciose non ancora “conquistate” dal mare di abitazioni; piccole, da uno-due piani, color grigio cemento. È gennaio, ma ci sono un sacco di arrivi e il controllo passaporti è simile a quello subito negli Stati Uniti, a parte le impronte digitali (indice sinistro e destro) e la foto. Mi secca, ma ora sono schedato nel gigantesco database statunitense, per non esserlo avrei dovuto spendere 200 euro in più per il biglietto aereo o prenotare con sei mesi di anticipo le tariffe più convenienti via Madrid. Con quella cifra dormo e mangio una settimana in Messico.
A Città del Messico puoi fare il turista e restare nella zona residenziale centrale, vicino alla piazza dello Zòcalo dove ci sono la cattedrale e il palazzo presidenziale, o trovarti un hotel nella zona rosa; allo stesso prezzo trovi alberghi migliori, tutto moderno, shopping center, locali e divertimenti a volontà. Oppure puoi fare l’alternativo e trovare come scusa che c’è il quarto congresso internazionale di geografia critica per avere una permanenza un pochino diversa. L’albergo in realtà è un hostal, cioè una specie di ostello della gioventù con letti a castello e camere di diverse dimensioni, che però ha anche stanze “private”, cioè due letti (o matrimoniale) con servizi privati. Mai trovato nulla di più essenziale: in stanza oltre al letto c’è solo una cassa di metallo dove si può mettere la valigia e chiuderla se hai il lucchetto. Niente comodini, niente sedie, niente di niente.

“Centri commerciali”

Meglio stare nella città vecchia se vuoi vivere un poco di reale vita locale, perché il quartiere degli alberghi nuovi è un’area standardizzata di tipo… ormai “internazionale”. Vicino allo Zòcalo tutti i giorni c’è la calata dalle zone periferiche di migliaia di venditori ambulanti (e di compratori) che si piazzano sulla strada e sul marciapiede davanti a negozietti che vendono sostanzialmente le stesse cose. Varie parti del centro città si trasformano in “centri commerciali” specializzati (dai casalinghi ai CD-DVD copiati). Una passeggiata attraverso questi mercati consente di cogliere le profonde differenze di reddito e di come ci si possa (o debba) arrangiare per portare a casa qualche soldo ogni giorno. Per noi i prezzi sono sicuramente convenienti, soprattutto da quando il dollaro ha perso valore sull’euro. Il consiglio che ti danno tutti prima di partire è quello di non mangiare e bere dai banchettini in strada e nemmeno nei ristorantini per i locali; c’è da dire che l’aspetto di questi posti è già un deterrente visivo, per noi che viviamo sempre più in ambienti che vorrebbero essere o sembrare “igienici”, dove si mangiano prodotti confezionati con scadenza.
Il centro è presidiato da vigili e polizia; praticamente ad ogni angolo nella zona residenziale borghese dove si trovano gli hotel, i grandi magazzini e i negozi “seri” e dove le bancarelle non possono stare, ma i mendicanti sì. Ce ne sono una discreta quantità, ma ne ho visti di più (homeless) a Washington e soprattutto non così discreti e dignitosi come quelli di Città del Messico. Il presidio militare sembra che sia necessario per i grossi problemi di microcriminalità nei confronti dei turisti.

Pancho Villa e Emiliano Zapata

Stile modernista o hispanico-coloniale

Sarà anche per quello, ma in centro si gira rilassati gustandosi lo stile architettonico misto con qualche prezioso esempio di palazzo in stile modernista o hispano-coloniale. L’ansia ti prende se devi prelevare di sera dai bancomat locali e allora ti guardi in giro per cercare di capire se i due giovani che stazionano dall’altra parte della strada possono essere pericolosi.
Città del Messico è enorme perché negli ultimi decenni ha continuato ad ingrossarsi per il continuo arrivo di gente proveniente da tutte le parti del Messico. L’occupazione del suolo è stata progressiva e sistematica. Su tutte le aree pianeggianti, poi su quelle leggermente collinari, e poi anche sui fianchi delle colline già urbanizzate, c’è stata una continua opera di occupazione/costruzione di piccoli edifici, che seguono la prima fase fatta di baracche costruite con materiali di fortuna.
Niente acqua e elettricità all’inizio, poi l’energia si ruba e l’acqua si compra dalle autobotti; infine si viene “riconosciuti”, ma l’acqua arriva solo quattro ore alla settimana e si riesce (a prezzo di lotte e/o scambio politico-elettorale) a far pagare alla municipalità una parte dell’acqua che si compra dai privati.
La parola fognature ha scarso significato qui. Le case sono individual-famigliari, una accanto all’altra (o anche una dentro l’altra), piano terra e primo piano con quegli spuntoni di tondino di ferro cementati che noi italiani conosciamo bene, soprattutto nelle aree meno ricche (e spesso abusive) del nostro sud.
Il materiale da costruzione è il cemento, sia per le strutture che per i blocchetti che fanno da mattoni per le pareti. Colore dominante il grigio, tranne che nei casi di chi ha avuto abbastanza soldi per dipingersi la casa (a colori vivaci, spesso) o dove ci sono dei negozi. Le aree periferiche sono divise in “colonias” e gli abitanti si definiscono colonos nei loro manifestini di comunicazione politica.
Questa è la cosa che nessuno ti dice e di cui nessuno parla: che qui c’è una vivacità di gruppi auto-organizzati che allarga il cuore a noi decadenti e mediatizzati … intellettuali progressisti.
Però qui la non completa “istituzionalizzazione” della società, cioè la scarsa efficienza e presenza dello stato nel territorio, ha come conseguenza la presenza di molti e gravi problemi non risolti, ma anche una maggiore possibilità di auto-organizzarsi e di esercitare pressioni politiche. Sul problema della mancanza d’acqua la mobilitazione degli attivisti e degli abitanti delle colonias ha costretto il governo municipale e quello federale a pagare parzialmente la fornitura di acqua tramite autobotti private. Lo stesso si è verificato per una serie di iniziative di “resistenza” e di proposta che sono venute dal basso. A San Miguel Teotongo, area periferica composta da una ventina di colonias, circa 350.000 abitanti c’è un solo presidio ospedaliero pubblico su sei; gli altri cinque sono il risultato di lotte lunghe e spesso dure (cioè la polizia … picchia e mette dentro) per costringere vari uffici pubblici a fare quello che dovrebbero, o almeno a tirare fuori i soldi.
Come dovunque c’è una bella differenza di consapevolezza tra gli attivisti e la “gente”, ma gli obiettivi sono così fondamentali (ospedali, scuole pre-elementari, centri sociali, ecc.) che il sostegno degli abitanti arriva. Però bisogna essere costanti e attivi nel corso del tempo; a San Miguel Teotongo i colonos hanno festeggiato quest’anno i 29 anni della loro Union Popular e ci hanno portato con orgoglio a vedere il piccolo centro ospedaliero (maternità e problemi neonatali; sei posti letto) che sta per essere completato. Le sue strutture nuove e un poco ricercate nell’architettura sono un’isola di qualità in un mare di casette autocostruite e brutte a vedersi. I rappresentanti del comitato promotore ci spiegano che hanno lottato duramente per impedire che il terreno vuoto venisse destinato ad un centro commerciale, prima scelta dei politici della delegaciòn per “venire incontro alle esigenze della gente”. Dopo scontri di piazza e numerosi incontri nella colonia si è arrivati ad una assemblea pubblica dove la proposta dell’ospedale ha ottenuto una schiacciante maggioranza e i politici hanno dovuto rassegnarsi. Certo il voto è stato espresso solo da poco più di duecentocinquanta persone, ma nelle strade la “resistenza” l’hanno fatta in molti di più e gli attivisti sono stati un gruppo costantemente presente, che segue ora le fasi della costruzione e cioè tratta con l’architetto, col direttore del cantiere, oltre a controllare i conti e la gestione dei finanziamenti.

Attivismo e gestione quotidiana

Questa è la costante delle varie realtà territoriali che abbiamo visto: un centro sociale, un centro per bambini in età prescolare con annessa biblioteca, un centro ambulatoriale di medicina tradizionale (erbe e simili). Sono tutte esperienze nate dalla volontà di un gruppo cosciente locale, sostenuto dall’appoggio degli abitanti e da un gruppo di attivisti che ha seguito costantemente le fasi della lotta e ora continua l’attivismo seguendo la gestione quotidiana dei centri. Ogni “progetto” ha un comitato di gestione specifico che si riunisce periodicamente. Quasi tutti volontari, ma in qualche caso sono riusciti ad ottenere che uno del posto venisse pagato per garantire una presenza stabile e continuativa (il bibliotecario, la direttrice del centro di medicina tradizionale, ecc.). Le fonti di finanziamento sono molto varie e stupisce la capacità di attivare accordi con diversi enti pubblici (l’università, la municipalità, il governo federale e/o quello statale).
Molte le donne presenti nel gruppo di attivisti e la percezione di una leadership diffusa, anche se i maschi hanno ancora una maggiore visibilità nei ruoli di relazione con l’esterno (politici e istituzioni), mentre le femmine sembrano più presenti nella gestione quotidiana delle attività.
Ovunque le foto di Emiliano Zapata, con bandoleras di pallottole incrociate sul petto e fucile alla mano o al piede. Certo con qualche inquinamento della “purezza rivoluzionaria” come l’accostamento delle foto di Pancho Villa, Zapata e Madero con quella di Venustiano Carranza che Zapata e Villa hanno combattuto duramente. Ma è stato un presidente messicano e non si può chiedere troppo.
I centri sanitari autogestiti svolgono un ruolo importante. In Messico la sanità è gratuita e per tutti, ma non copre tutte le necessità come da noi e oltretutto non è sufficiente (poco presente sul territorio, soprattutto nelle periferie) per soddisfare le richieste: Ecco perché ambulatori e simili sono spesso le prime rivendicazioni dei comitati di lotta. Si notano grandi farmacie (spesso con inferriate tra clienti e banconi) che vendono medicine “simili” a quelle di marca; sono o dovrebbero essere i cosiddetti generici, come vengono chiamati da noi. Anche molti altri tipi di negozi hanno le inferriate e questo sottolinea la portata delle tensioni sociali e della povertà. Qui le famiglie vivono con meno di 300 dollari al mese e quasi tutti hanno un parente negli USA che manda qualcosa.

Ricardo Flores Magon, anarchico messicano, dal cui giornale "Regeneracion" gli zapatisti ripresero la parola d’ordine di “Tierra y Libertad”

Libertari nella pratica

Il problema dei trasporti è difficilmente risolvibile dalla municipalità, per i costi insostenibili e anche per il modo in cui si è sviluppata la città. C’è la metropolitana che però non arriva in periferia. Ci sono alcune linee di autobus pubblici, ma il grosso del trasporto viene assolto da ditte provate che gestiscono pullman e pulmini di varie dimensioni che raggiungono le strette vie dei quartieri più periferici e disagiati; inoltre c’è una diffusa presenza dei taxi bianchi e verdi (regolari o abusivi), la gran parte maggiolini ex Volkswagen. Fa impressione da quanti sono soprattutto per quelli di noi che ne hanno una memoria visiva ormai scomparsa in Europa.
Le impressioni che lascia la visita delle colonias è ambivalente. Da un lato si rimane colpiti dalla povertà e dalla marginalizzazione socio-economica di così tanta gente, ma dall’altro è galvanizzante vedere i risultati concreti che questi gruppi di attivisti sono riusciti a raggiungere. Bello, bellissimo vedere tante foto e disegni di Emiliano Zapata. A domanda precisa dicono di non essere a conoscenza dell’influenza del pensiero anarchico sulle idee di Zapata, ma la cosa non è rilevante. Sono libertari nella pratica anche se mischiano qualche falce e martello con il fucile di Zapata.
Alla fine della visita il gruppo degli attivisti ci lascia gridando in coro e a pugno alzato “Zapata vive! La lucha sigue! Si Zapata viviera, con nosotros estuviera!” Non c’è bisogno di tradurre. Se non si capiscono le parole è molto chiaro il senso di partecipazione e di determinazione che allarga il cuore. Viva Zapata!!

Fabrizio Eva