Rivista Anarchica Online


tecnologia

Homo cyborg
di Naief Yehya

 

Il corpo postumano tra realtà e fantascienza. Alcuni stralci dall’omonimo libro pubblicato da Elèuthera.

 
Il termine “cyborg” è stato coniato nel 1960 da Manfred E. Clynes, che insieme a Nathan S. Kline cercava di definire un uomo “migliorato” in grado di sopravvivere in un’atmosfera extraterrestre: “I viaggi spaziali sfidano l’umanità non solo sul piano tecnologico ma anche su quello spirituale, poiché invitano l’uomo a partecipare attivamente alla propria evoluzione biologica”. Clynes e Kline hanno individuato una serie di problemi fisiologici e psicologici suscettibili di danneggiare gli astronauti, ideando possibili soluzioni cyborghiane; ecco alcuni esempi.

Stato di allerta e stato vigile: in un viaggio spaziale sarebbe desiderabile che l’astronauta potesse rimanere sveglio per settimane o mesi. È possibile raggiungere questo obiettivo con la somministrazione di farmaci.
Conseguenze delle radiazioni: l’astronauta potrebbe disporre di un sensore in grado di rilevare livelli pericolosi di radiazione; con una pompa osmotica adattata all’organismo potrebbe ricevere iniezioni di sostanze chimiche in dosi appropriate per combattere le conseguenze delle radiazioni.
Problemi di metabolismo e controlli ipotermici: sarebbe auspicabile ridurre il normale consumo di combustibile di 10 libbre al giorno (2 di ossigeno, 4 di fluidi e 4 di cibo) mediante l’ibernazione, ovvero diminuendo la temperatura corporea per contenere al minimo il metabolismo.
Ossigenazione e riduzione del carbonio: la respirazione polmonare consuma ossigeno e produce biossido di carbonio, oltre a comportare una perdita di calore e di acqua. Nello spazio mancherebbe un sistema di respirazione in grado di ridurre il biossido di carbonio, eliminando così il carbonio e rimettendo in circolo l’ossigeno.
Entrata e uscita di fluidi: l’equilibrio dei fluidi potrebbe essere mantenuto collegando l’uscita dell’uretra con le vene attraverso un filtro per le tossine. Il dotto gastrointestinale verrebbe sterilizzato, e l’astronauta sarebbe nutrito per via endovenosa così da limitare la necessità di sbarazzarsi degli escrementi, che potrebbero a loro volta essere riutilizzati.
Sistema enzimatico: in condizioni di bassa temperatura alcuni enzimi resterebbero più attivi di altri. Occorrerà studiare l’effetto di questi enzimi e il modo di adattare il corpo ai loro cambiamenti.
Controllo cardiovascolare: è possibile modificare le funzioni cardiovascolari per adattarle ad ambienti differenti mediante amfetamine, epinefrina, reserpina, digitale, ecc.
Mantenimento muscolare: il sonno prolungato o un’attività limitata possono avere effetti nocivi sui muscoli; il tono muscolare potrebbe essere mantenuto con dei farmaci.
Problemi di percezione: bisognerà creare un ambiente che imiti le alterazioni e il quadro di riferimento cui è abituato il corpo per evitare la sensazione di disorientamento.
Pressione: a pressioni inferiori a 60 millimetri di mercurio, il sangue presente nel corpo umano comincia a bollire alla sua normale temperatura. Per questa ragione l’uomo non potrebbe sopravvivere nello spazio senza una tuta pressurizzata, a meno di non riuscire a ridurre notevolmente la temperatura corporea.
Variazioni della temperatura esterna: bisognerà tenere sotto controllo la riflessione e l’assorbimento termico del corpo attraverso indumenti speciali e sostanze chimiche suscettibili di produrre variazioni nella pigmentazione. Sarà necessario un sistema di autoregolamentazione in grado di mantenere la temperatura desiderata.
Psicosi: pur adottando ogni precauzione, l’astronauta potrebbe soffrire episodi di psicosi; prevenirli è impossibile, e per causa loro il comportamento dell’astronauta può diventare imprevedibile e pericoloso. Sarebbe dunque opportuno poter contare su qualche dispositivo che consenta ai suoi compagni di curarlo, oppure, nel caso fosse solo, bisognerebbe poterlo sedare da Terra, anche contro la sua volontà se fosse necessario.

Negli anni Sessanta si aveva l’impressione che la sfida tecnologica dell’umanità fosse l’imminente conquista dello spazio, e proprio pensando a questo obiettivo Clynes e Kline hanno concepito il cyborg. Eppure, è degno di nota che le caratteristiche da loro attribuite al cyborg sembrino destinate anche alla creazione di individui in grado di sopravvivere a una guerra nucleare e al successivo inverno atomico. In ogni caso, finora i cyborg per fortuna non sono stati protagonisti né di deliri cosmici né di sogni di sterminio del nemico comunista. A partire dagli anni Sessanta, invece, il termine “cyborg” è passato nel linguaggio e nella cultura popolari. Invece di colonizzare le galassie, il cyborg ha conquistato lo spazio domestico, è diventato l’eroe e il “cattivo” di avventure di ogni tipo ambientate nel futuro, influenzando numerosi scienziati militari e civili, che hanno cominciato a plasmare un futuro postindustriale e transumano. Il cyborg, però, non è solamente un uomo con qualche accessorio tecnologico inserito nella carne e nelle ossa: tutti noi, che siamo stati plasmati e modellati dalla cultura tecnologica, possiamo essere cyborg.
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Chi è il cyborg?

Da secoli gli esseri umani utilizzano ogni sorta di dispositivi, estensioni e protesi tecnologiche corporee: dai manufatti passivi (come gli abiti o le scarpe) ai dispositivi mobili che servono per registrare dati (come i termometri, gli orologi e altri sensori), fino agli apparecchi destinati a compensare funzioni biologiche deficitarie o a correggere in qualche misura certi difetti fisici (come i bastoni da passeggio, le lenti, gli arti artificiali, gli apparecchi acustici e le giunture metalliche).
L’efficienza di questi strumenti si giudica in base alla loro capacità di integrarsi nell’organismo, diventare invisibili e imitare discretamente e silenziosamente nel miglior modo possibile il funzionamento di ciò che sostituiscono o completano.
La seconda guerra mondiale ha portato con sé un’esplosione di innovazioni scientifiche e un’autentica rivoluzione in alcuni campi della medicina.
La comparsa di diversi antibiotici, i progressi della strumentazione medica e l’uso su larga scala della penicillina hanno permesso di trasformare complicati interventi chirurgici in operazioni di routine. Inoltre, l’immensa quantità di mutilazioni e lesioni sui campi di battaglia offriva opportunità senza precedenti alla sperimentazione e all’innovazione.
Gli insegnamenti della guerra nei campi allora nuovi dell’ingegneria biomedica, della bionica e della tecnologia dei materiali sono stati trasferiti in ambito civile, e si è cominciato a fabbricare e impiegare nuove generazioni di protesi, organi artificiali e sistemi di supporto biomedico.
Ogni anno, a centinaia di migliaia di persone viene applicato qualche tipo di impianto artificiale, ma questi apparecchi non sono stati concepiti per estendere le capacità del corpo umano al di là di quella che si considera la norma.
Ciò significa che, dalle gambe di legno ai dispositivi per controllare l’incontinenza, questi apparecchi cercano di modellare il corpo, sia dal punto di vista funzionale sia da quello estetico, affinché soddisfi nel miglior modo possibile gli standard di ciò che si considera socialmente accettabile. La loro funzione è di migliorare il livello di vita dell’individuo, cercando di farlo “ritornare” alla sua condizione originaria e aiutandolo a reintegrarsi nella società. Un caso curioso è costituito dagli atleti privi di gambe che utilizzano protesi rivoluzionarie come il flex foot (un piede a forma di “C”, fatto di fibra di carbonio e suola da scarpe da tennis) e ginocchia idrauliche regolabili, che offrono un rendimento ideale e la massima velocità per qualsiasi tipo di corsa.
Benché questi atleti riconoscano che nessuna di queste protesi è migliore di una gamba vera, questi apparecchi sono autentiche meraviglie della tecnologia, che fanno di colui che ha subìto un’amputazione un cyborg capace di correre più rapidamente della maggior parte delle persone provviste di tutte e due le gambe. Grazie alla tecnologia digitale, in qualche caso i sordi possono udire, i muti parlare e i ciechi vedere. Si tratta di casi significativi in cui la tecnologia corregge gravi difetti fisici; tuttavia, in un certo senso, anche un individuo che è stato vaccinato è un cyborg, poiché il suo organismo è stato riprogrammato per rigettare certi tipi di infezione.
In realtà, il divenire cyborg ha una finalità sociale (la reintegrazione e la sopravvivenza dell’individuo nel gruppo), mentre nelle avventure fantascientifiche il cyborg è un paria, una creatura che a causa della sua “differenza” è diventata un fenomeno ed è stata esclusa dalla comunità.
L’emarginazione del cyborg lo trasforma in una figura con cui possono facilmente identificarsi gli emarginati e molte persone che soffrono discriminazioni o che non si sentono integrate nella società.
Comunque, non tutti gli esseri umani che portano gli occhiali o che girano in bicicletta sono – o sono sempre stati – cyborg. Il termine “cyborg” si riferisce sia alla creatura in cui confluiscono il vivente e l’artificiale, sia alla relazione stessa fra l’organico e il macchinico. Clynes e Kline hanno definito il cyborg come il complesso organizzativo esogeno esteso che funziona come un sistema omeostatico. Si tratta cioè di un organismo capace di integrare componenti esterne per espandere le funzioni che autoregolano il corpo, adattandosi in tal modo a nuovi ambienti.
Nel vasto campionario di protesi offerto dalla scienza contemporanea, gli unici apparecchi e modifiche che hanno la funzione di “migliorare” gli attributi fisici originari, a parte le droghe che ottimizzano gli sforzi fisici o intellettuali, sono forse quelli meramente cosmetici – come le sacche di soluzione salina o di silicone per aumentare il volume del seno, o gli anabolizzanti per sviluppare determinati muscoli – che hanno l’unico obiettivo di far somigliare le persone ai modelli di bellezza più in voga, per aumentare così la loro autostima o l’influenza che esercitano sugli altri. (…).
La possibilità di rimpiazzare parti del nostro fisico con apparecchi tecnologici solleva una serie di domande. La nostra identità risiede in qualche parte specifica del corpo? Di quale percentuale di corpo possiamo disfarci senza smettere di essere ciò che siamo? È sufficiente scambiare un cervello per trapiantare un essere? Se riusciremo a installare la nostra mente in un “contenitore” più robusto, continueremo a essere noi stessi?
Forse l’unico modo per rispondere a questa domanda è sperimentare sulla propria carne il trasferimento della mente in un altro supporto; però, dato che l’uomo si definisce per il modo in cui apprende il mondo attraverso i sensi, se arrivassimo alle estreme conseguenze difficilmente potremmo sapere se le risposte trovate corrispondono alle domande originarie. Come sapremo che siamo sempre gli stessi se i nostri parametri sensoriali saranno mutati in maniera definitiva e radicale?
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Warwick, l’uomo bionico

Parecchi scienziati nella vita reale hanno seguito l’esempio del dottor Jekyll, usando se stessi come soggetti dei loro esperimenti. Fortunatamente, non tutti questi intrepidi avventurieri della scienza hanno subìto conseguenze gravi come quelle patite dal celebre dottore del romanzo di Robert Louis Stevenson. Un buon numero di coloro che si sono iniettati sostanze tossiche o hanno ingerito batteri per sperimentare rimedi di loro invenzione, parecchi di coloro che si sono sottoposti ad alte dosi di radiazioni per dimostrare qualche bizzarra teoria, e molti degli innumerevoli aspiranti all’illuminazione che si sono fatti perforare il cranio per aumentare il volume di sangue che irriga il cervello sono usciti illesi, o quasi, dal laboratorio e hanno arricchito le nostre conoscenze del corpo umano con le loro scoperte.
Kevin Warwick, professore di cibernetica all’università di Reading, Inghilterra, si è unito a questa schiera di esploratori delle viscere umane impiantandosi nel braccio sinistro, fra il muscolo e la pelle, un chip incapsulato nel vetro. La funzione di questo microprocessore è relativamente semplice: permette che la presenza di Warwick sia rilevata via onde radio da una serie di antenne collocate all’interno del dipartimento di Cibernetica dell’università. Quando entra, il computer lo riceve con un “Ciao” e, mentre lui si sposta nell’edificio, accende le luci del laboratorio ed esegue qualche altro trucchetto.
Il successo di questo primo esperimento ha dimostrato che gli impianti bionici potranno diventare accessori utili per la vita quotidiana, e in particolare potranno semplificare le cose ai disabili. Si possono immaginare centinaia di applicazioni per questo tipo di tecnologia, una volta che le dimensioni degli impianti vengano considerevolmente ridotte (quello di Warwick misura circa 25 millimetri): da sistemi che aiutino i ciechi a spostarsi, fino a complessi dispositivi di sicurezza.
E soprattutto, l’esperimento stabilisce un precedente dell’uomo in quanto parte di un megacyborg composto da un insieme di individui, computer, edifici e macchine diverse interconnessi fra loro e funzionanti in sincrono.
Nell’esperimento successivo di Warwick, l’impianto nel braccio, oltre a emettere semplici segnali per essere localizzato, è anche in grado di leggere gli impulsi nervosi che passano dalla mano al cervello mediante un piccolo filamento collegato alle fibre nervose dell’avambraccio, una zona in cui si registra un intenso traffico di impulsi e quindi di informazioni.
I segnali letti dall’impianto non verranno alterati, bensì trasmessi a un computer perché li archivi. In seguito si cercherà di riprodurre i segnali memorizzati (come quelli prodotti quando si muove un dito, si sente una puntura di spillo o si ruota un polso) per inviarli di ritorno all’impianto e verificare se il sistema nervoso può essere “ingannato” da stimoli esterni, “artificiali” o “fantasma”, di movimento o sensazione. Se si potesse manipolare il sistema nervoso, forse sarebbe possibile anche ripristinare i sensi danneggiati di ciechi e sordi, o controllare le protesi artificiali con estrema precisione.
Inoltre, potremmo forse ampliare i normali limiti sensoriali in modo da alterare il nostro corpo per riuscire a elaborare segnali – uditivi, visivi o di altro tipo – che sono sempre stati al di fuori della nostra gamma di percezioni. D’altra parte, potremmo anche controllare il dolore o la depressione e stimolare il nostro sistema immunitario senza dover assumere sostanze chimiche, bensì semplicemente riprogrammando elettronicamente il nostro sistema nervoso o l’attività dei neuroni.
Si può immaginare un mondo in cui alcune persone avranno delle interfacce installate nel midollo spinale fin dalla nascita o dall’infanzia, che cresceranno con loro e potranno collegarsi a qualsiasi tipo di macchine e database. Questo genere di integrazioni farebbe di noi dei degni rivali dei computer superintelligenti che compariranno nei primi decenni del ventunesimo secolo.
Tutto ciò segnerebbe la fine delle scuole come le conosciamo e dei metodi educativi. Se questo esperimento avrà successo, Warwick prevede di installare un impianto alla moglie Irena e di trasmettere sensazioni fra i due impianti – magari via Internet – da migliaia di chilometri di distanza. Si sa che ogni persona ha reazioni emotive diverse dinanzi al medesimo stimolo, ma forse questo esperimento contribuirà a stabilire se esiste qualcosa come un linguaggio universale dei nervi riconoscibile da tutti i corpi, oppure se ciascuno ha il proprio.
Ciò sarebbe importante, nella misura in cui permetterebbe alla lunga di eliminare l’uso del linguaggio, lo strumento fondamentale della cultura umana, per sostituirlo con la trasmissione diretta di emozioni e idee fra le persone (e forse persino con altre specie) a qualsiasi distanza.
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Una sessualità migliore grazie alla chimica

Durante gli anni Sessanta, parallelamente ai progressi in materia di protesi, si è scoperto che al pene occorreva in media un flusso sanguigno di circa 90 millilitri al minuto per avere un’erezione. In una persona sana ciò avviene perché le arterie, nei momenti di eccitazione sessuale, si dilatano provocando questo flusso di sangue. Nel 1973 si è scoperto accidentalmente, durante un’operazione chirurgica, che una sostanza vasodilatatrice poteva indurre un’erezione prolungata in un uomo che soffriva di impotenza.
Nel 1977 un altro texano, Álvaro Latorre, ha inventato un procedimento per cui l’individuo affetto da impotenza doveva iniettarsi da solo il farmaco vasodilatatore con una siringa doppia. Gli aghi dovevano penetrare per un centimetro circa nei due lati del corpo cavernoso del pene poco prima del rapporto sessuale.
La tecnologia sessuale ha compiuto un grande balzo nell’aprile del 1998 quando è comparso il Viagra, la piccola pastiglia di Sildenafil che deve probabilmente il suo nome alla fusione delle parole “vitale” e “Niagara”.
Il Viagra aumenta l’afflusso sanguigno ai genitali maschili e femminili per un periodo fra le tre e le cinque ore, bloccando l’enzima che si incarica di diminuirne il flusso. Quando la ditta farmaceutica Pfizer ha lanciato il Viagra sul mercato, non lo ha fatto con le solite campagne promozionali fra i medici e gli specialisti, ma si è rivolta direttamente ai consumatori, scatenando un autentico bombardamento di euforia sui media.
Si trattava inoltre di cancellare il marchio associato all’impotenza chiamandola con il suo nome medico: disfunzione erettile. All’inizio, la campagna si è incentrata sugli ultrasessantenni desiderosi di allungare la vita utile del loro sistema idraulico genitale e di recuperare parte della funzionalità sessuale perduta a causa dell’età o degli acciacchi.
Ma il Viagra promette una nuova rivoluzione sessuale, nella quale il sesso non sarà solo meraviglioso ma anche sempre disponibile, abbondante e alla portata di quasi tutti. E infatti poco dopo la campagna pubblicitaria si è ampliata, rivolgendosi a tutti quelli che pativano di una qualsiasi disfunzione erettile, e nel giro di pochi mesi la pastiglia azzurra a forma di diamante è diventata un’icona pop mondiale di fine secolo.
Si stima che solo negli Stati Uniti circa 30 milioni di uomini soffrano di impotenza, e non è esagerato supporre che circa la metà degli uomini fra i quaranta e i settant’anni soffra in qualche misura di disfunzioni erettili, concetto estremamente ambiguo. Benché la ditta farmaceutica produttrice non lo abbia mai sostenuto, e anche se per ricorrere al Viagra occorre una ricetta medica, secondo la percezione popolare questo farmaco è una specie di afrodisiaco infallibile, un ausilio per migliorare il rendimento e superare il livello di quella che si considera la “normalità” sessuale.
L’enorme e sproporzionata domanda di questa droga rivela non tanto un’ossessione per la (ri)conquista dell’erezione perfetta, quanto piuttosto un interesse per la sessualità in sé, dal momento che non si tratta di una ricerca reale di soluzioni ai problemi dell’intimità, ma di un rimedio portentoso che non richiede sforzi né sacrifici. Di fatto il Viagra, così come una serie di farmaci analoghi apparsi più tardi, non cura un aspetto vitale, dato che non si muore per il fatto di non avere erezioni; perciò il suo uso si situa in un’area grigia della medicina.
Medicalizzare la sessualità, oltre a implicare che questa sia standardizzata, allo stesso tempo si rivela come un metodo per ignorare le possibili cause psicologiche o emotive del problema, che possono andare dalla semplice mancanza di desiderio alla fatica. In molte occasioni, ottenendo erezioni automatiche si elimina il sintomo e non l’origine del problema. Indipendentemente dalla sua efficienza, il Viagra programma la sessualità della coppia costringendola a sincronizzarsi con il ritmo della sua chimica.
Il Viagra è la droga perfetta per l’era della cultura dell’impazienza, delle soluzioni istantanee e dell’eccesso. È la tecnologia cibernetica sotto forma di una pastiglia magica capace di far funzionare con efficienza e in maniera automatica la sessualità umana.
Il Viagra promette certezze in un territorio in cui generalmente domina l’inatteso e l’intangibile. La cosa più importante, però, è che il Viagra, come la pornografia, è la promessa di una sessualità migliore di quella che pratichiamo. Per questo motivo migliaia di uomini perfettamente in grado di avere un’erezione lo stanno utilizzando per garantirsi la loro funzionalità o per aumentare il loro rendimento in maniera soprannaturale.
Pur trovandoci ancora in un campo sconosciuto, e pur non essendo trascorso abbastanza tempo per valutare eventuali postumi, ripercussioni ed effetti collaterali del Viagra, possiamo facilmente immaginare un futuro in cui le relazioni sessuali senza questo tipo di farmaci saranno considerate mediocri, di qualità inferiore o del tutto inaccettabili. Il Viagra è poi diventato indispensabile ad alcuni culturisti per combattere l’effetto degli steroidi e delle sostanze anabolizzanti, oltre che nell’industria del porno e nei circuiti underground di club che organizzano feste orgiastiche e raves sessuali.
L’enorme popolarità ottenuta dal Viagra ha introdotto di colpo le forze del mercato nell’intimità delle relazioni sessuali (uno dei pochi ambiti di intrattenimento rimasti gratuiti), scatenando una vertiginosa gara tecnologica e commerciale con l’obiettivo della conquista della sessualità.
Negli Stati Uniti si compilano 40.000 prescrizioni di Viagra al giorno, tanto più che le pastiglie, che all’inizio costavano circa 10 dollari, sono diminuite di prezzo e sono estremamente facili da ottenere attraverso centinaia di siti che le vendono via Internet. Inoltre, a parte la diffusione legale esistono vari canali clandestini di distribuzione e vendita che rendono milioni di dollari.
L’uso indiscriminato del Viagra e il divenire cyborg della sessualità non sembrano sorprendenti in un’epoca in cui è diventato normale prescrivere ai bambini, dai quattro anni in su, calmanti, amfetamine e droghe psicotrope come Ritalin, Dexedrina e Clonidina al minimo indizio di problemi di concentrazione e iperattività, o per curare la famosa sindrome da deficit di attenzione.
Invece di indagare le cause dell’inquietudine di tanti bambini, invece di indirizzarla su vie diverse, invece di migliorare un sistema educativo mortalmente noioso, si stabilisce che la loro attitudine è un sintomo e si applica loro un trattamento che consiste quasi sempre nell’assunzione di farmaci che, come il Viagra, offrono risultati istantanei e sono molto meno cari e complicati delle interminabili sedute di psicoterapia.
La prescrizione ai bambini di sostanze psicoattive per adulti è stata compiuta su scala quasi industriale, risparmiando così costose valutazioni personali, liberando lo Stato dall’obbligo di estendere o modernizzare il sistema educativo mirato per bambini con problemi, e sollevando i genitori dalla difficile responsabilità di occuparsi di un figlio con problemi emotivi.
Il desiderio di mantenere i bambini narcotizzati, o comunque di riprogrammarli chimicamente, è tale che è stato prodotto un cerotto di Ritalin che somministra il medicinale in maniera costante attraverso la cute per molte ore. L’uso di droghe ha dimostrato una notevole efficacia sia per le scuole sia per i genitori iperstressati, ma soprattutto per l’industria farmaceutica: solo il Ritalin ha visto aumentare la sua produzione del 700 per cento a partire dal 1990.
Nel marzo 2000 si stimava che oltre 4 milioni di bambini negli Stati Uniti fossero trattati con Ritalin, e 2 milioni e mezzo con antidepressivi. Ma il ricorso a questo tipo di farmaci (Ritalin, Strattera, Adderall e Concerta, fra gli altri) è aumentato in modo drammatico a partire dal 2000, secondo l’indagine annuale sulla tendenza all’uso di farmaci effettuata dalla Medical Health Solutions nel 2004. Il 23 per cento di questo incremento riguarda bambini che hanno meno di cinque anni cui è stata diagnosticata una sindrome da deficit di attenzione.
Se gli anni Novanta sono iniziati con la trasformazione delle società opulente in una sorta di gigantesca “nazione Prozac”, a causa della massiccia assunzione di questo celebre antidepressivo, il ventunesimo secolo minaccia di distinguersi, fra l’altro, come l’era dell’ingegneria dell’irrequietezza infantile e del desiderio erotico.

Nayef Yehya

Naief Yehya

Homo cyborg
Il corpo postumano tra realtà e fantascienza
traduzione di Raul Schenardi e Carlo Milani

2005 / 160 pp. / € 14,00