Rivista Anarchica Online


storia

Gli anarchici hanno un futuro
di Marianne Enckell

 

E anche un passato, come dimostra questo breve saggio scandito dalle parole delle più note canzoni libertarie.

 
Nel maggio ’68, voi lettrici, voi lettori, eravate appena nati? La storia dell’anarchismo non inizia con l’insurrezione studentesca e gli scioperi operai di quella primavera, ma un secolo prima, quando gli operai d’Europa e d’America creavano le loro prime organizzazioni, i loro primi sindacati. O quando Proudhon rivendicava il motto: se a regnare è il vostro ordine, allora sì, sono un anarchico!
Agli anarchici piace raccontarsi leggende, inventarsi antenati ed eroi. In questo non vi è nessun male: “senza dio né padrone”, il culto di san Durruti, delle sante Louise ed Emma, o di san Ravachol non sono dannosi, le loro gesta finiscono in qualche canzone o sulle magliette. Ma la storia dell’anarchismo è una storia di uomini e donne in lotta, avidi di sapere e di cambiamento sociale, di cultura e di ideale. È anche una storia di errori e di sconfitte, di scontri e di successi, e di una volontà che non viene mai abbattuta. Essere sfruttato o oppresso non basta a fare un anarchico, bisogna voler farla finita con il dominio e portare nel cuore un mondo nuovo.
La storia degli anarchici è largamente assente dai libri di storia e solo recentemente si è aperta un varco nel mondo universitario. Le righe che seguono ne danno alcuni cenni, qualche frammento, linee di forza, scandite da canzoni.

Il garrotamento di Michele Angiolillo (1897) in un'opera di Flavio Costantini

Contro il centralismo autoritario

Ouvrier, prends la machine, prends la terre, paysan… (1)

Quando i tipografi e gli operai edili scioperano a Ginevra, nel 1868, giungono aiuti economici da diversi paesi d’Europa: le casse di soccorso sono strumenti essenziali della solidarietà, “nell’attesa che il lavoro salariato sia sostituto dalla federazione dei liberi produttori”. A quell’epoca non vi sono sindacati permanenti né solide istituzioni operaie, ma soltanto sezioni dell’Associazione internazionale dei lavoratori, l’AIT o “Prima Internazionale”, che esiste da qualche anno. Quando gli sfruttati e gli oppressi cominciano a organizzarsi, sanno di aver bisogno di contatti internazionali per essere più forti, meglio informati: la globalizzazione non è nata ieri.
Ai suoi inizi l’AIT riunisce in federazione tutte le correnti autonome del movimento operaio, affermando che “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”. Karl Marx e i suoi, però, vogliono farne uno strumento della propria politica, subordinare l’organizzazione operaia alla conquista del potere politico e, coerentemente, esercitare un controllo sulle attività delle sezioni dal Consiglio generale istituito a Londra.
Contro tale centralismo autoritario, Michail Bakunin e i suoi amici della Federazione del Jura praticano il federalismo, valorizzano l’esperienza della Comune di Parigi del 1871, danno forma poco a poco a quello che sarà il movimento anarchico e anarcosindacalista. Non stupisce che siano espulsi! A solidarizzare con loro sono le forze vive dell’Internazionale, nella loro quasi totalità, che appoggiano il congresso “federalista” convocato a Saint-Imier, nel Jura svizzero, nel settembre 1872.
“L’autonomia e l’indipendenza delle federazioni e delle sezioni operaie sono la prima condizione dell’emancipazione dei lavoratori” dichiara il congresso, che propone la conclusione di un “patto di amicizia, di solidarietà e di mutua difesa tra le libere federazioni” che stabilisca tra loro una corrispondenza diretta e una difesa solidale, per “la salvezza della grande unità dell’Internazionale”.
La dichiarazione più nota del congresso, quella più citata dalla tradizione anarchica, verte sulla “natura dell’azione politica del proletariato”: è qui che si afferma che “la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato”, che “qualsiasi organizzazione di un potere politico sedicente provvisorio e rivoluzionario per portare a termine tale distruzione non può che essere un ulteriore inganno e sarebbe altrettanto pericolosa, per il proletariato, di tutti i governi oggi esistenti” e che “i proletari di tutti i paesi devono stabilire, fuori da ogni politica borghese, la solidarietà dell’azione rivoluzionaria”. Difficile essere più semplici, più chiari!
Il ramo federalista o antiautoritario dell’AIT ha avuto importanti sezioni in Italia, in Spagna e in Svizzera, e gruppi meno numerosi in Francia, in Belgio, negli Stati Uniti, in Uruguay e in Argentina, così come qualche adesione dalla Germania e dai paesi nordici. Esso è stato l’autentico crogiolo del movimento anarchico sviluppatosi in queste regioni. È nel corso di questi primi anni di esistenza che la Federazione regionale spagnola, in particolare, fa progredire la discussione su anarcocomunismo e anarcocollettivismo, e che Ricardo Mella e Fernando Tárrida del Marmol propongono il concetto di anarchismo senza aggettivi, che sarà felicemente ripreso negli Stati Uniti da Voltairine de Cleyre.
La storia del movimento anarchico comincia con la fine di quest’organizzazione generale di tutto il movimento operaio che era l’AIT ai suoi inizi. Le idee anarchiche, loro, hanno preso vita letteralmente con Proudhon. Ma hanno avuto precursori, e di valore.
William Godwin è il primo filosofo illuminista a elaborare, nel 1792, una concezione che oppone la “giustizia politica” all’esistenza di una sfera politica separata, dunque a proporre l’abolizione dei governi e degli stati a vantaggio del bene comune. La sua compagna Mary Wollstonecraft afferma ad alta voce i diritti delle donne, eguaglianza e autonomia. Molto tempo prima, Etienne de La Boétie aveva creato il concetto di “servitù volontaria”, rivelando un altro aspetto del dominio. Altri autori critici o utopisti hanno ispirato il pensiero e le pratiche degli anarchici.
Negli Stati Uniti si sviluppa, durante il XIX secolo una corrente libertaria ostile a tutte le ingerenze dello Stato e in difesa dell’autonomia individuale. Autori come Josiah Warren, Stephen Pearl Andrews, Lysander Spooner, e soprattutto Henry David Thoreau (La disobbedienza civile, scritto nel 1849) sono a modo loro dei precursori dell’anarchismo.

La “propaganda con i fatti”

Si tu veux être heureux, nom de dieu, pends ton propriétaire… (2)

La storia dell’anarchismo non inizia né finisce con i personaggi vestiti di nero e bomba sottobraccio. Certo, la dinamite è stata una delle forme prescelte per farla finita con il vecchio mondo.
Nel 1892, le bombe di Ravachol hanno distrutto le case di due giudici che avevano condannato a pene pesanti alcuni compagni operai per aver guidato una presunta rivolta il primo maggio dell’anno precedente.
Il coltello di Caserio ha ucciso un presidente della Repubblica francese nel 1894, l’arma di Czolgosz, qualche anno dopo, un presidente degli Stati Uniti. Qualche personaggio di alto livello morto o ferito, a fronte di quanti militanti assassinati a freddo o spediti in carcere a vita? E la modernizzazione della polizia internazionale, con la creazione dell’organismo predecessore dell’Interpol nel 1898, per sorvegliare e reprimere i sovversivi.
L’anarchismo propone un’idea semplice e chiara: senza tiranno, sapremo vivere liberi e solidali. Che si tratti dello zar Alessandro II nella Russia del 1880, del presidente Carnot nella Francia delle “leggi scellerate” della fine del XIX secolo, o, più recentemente, del generale Franco che ha schiacciato la rivoluzione anarchica in Spagna o di Salazar il satrapo del Portogallo, i sovrani non sono al sicuro da attentati anarchici.
E tuttavia, quelli che ne sono morti sono rari, poiché i mezzi utilizzati sono spesso irrisori in rapporto ai servizi segreti e alle forze di sicurezza dei dittatori. E anche altri, oltre agli anarchici, hanno tentato di liquidare papi e despoti, per buone o cattive ragioni.
La “propaganda con i fatti” non si riduce al pugnale o alla dinamite. Quando quest’espressione è stata creata, segnalava semplicemente il passaggio all’azione diretta (affermazione, resistenza o contestazione) a complemento della propaganda attraverso con la parola e gli scritti, strumenti tradizionali di un anarchismo illuminato.

Buenaventura Durruti, 1896-1936

Gli anarchici più leggendari, Ravachol o Bonnot, sono eroi di paccottiglia; ma si leggano gli atti relativi alla difesa davanti ai tribunali francesi di un Clément Duval nel 1887, di un Emile Henry nel 1894 o di un Marius Jacob nel 1905, che rivendicano l’espropriazione di chi espropria e il diritto all’autodifesa: difendono gli stessi valori di una Emma Goldman che rivendica e pratica il diritto all’aborto e all’amore libero, di un Buenaventura Durruti che pratica la “riappropriazione individuale” per finanziare progetti editoriali e il sostegno ai compagni incarcerati.
Quando nel 1897 Michele Angiolillo spara al primo ministro spagnolo, quando Gaetano Bresci uccide il re d’Italia Umberto I nel 1900, quando nel 1909 Simon Radowitzky abbatte il capo della polizia argentina, responsabile di un massacro di operai in occasione della manifestazione del primo maggio organizzata dalla FORA, quando Kurt Wilckens liquida il tenente colonnello Varela nel 1923, colmo d’indignazione per l’assassinio, sotto la responsabilità di questi, di 1.550 operai agricoli in sciopero in Patagonia, non sono solo gli anarchici ad acclamare il loro gesto e a festeggiare la scomparsa dei tiranni. Organizzazioni operaie, giornalisti, avvocati e perfino l’opinione pubblica si mobilitano per sostenerli o per onorarne la memoria.
(…).
Ma gli anarchici sono tra le prime vittime della repressione. Da otto a dieci anni di carcere per aver gridato “viva l’anarchia” dai tavolini all’aperto di un caffè, per aver affisso un manifesto antimilitarista, per aver rubato qualche coniglio, questo era il prezzo se si era un anarchico noto alla polizia nella Francia degli anni ‘90 dell’Ottocento. Ventidue anni di prigione per Alexander Berkman per il tentato omicidio del direttore di un’azienda che aveva violentemente represso uno sciopero a Chicago.
La sedia elettrica per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, arrestati nel 1920 negli Stati Uniti e giustiziati sette anni dopo per una rapina a mano armata che non avevano commesso; il loro amico Andrea Salsedo era stato trovato morto sotto la finestra di un commissariato di polizia newyorchese, proprio come lo sarà Giuseppe Pinelli a Milano nel 1969. Gli anarchici americani di origine russa sono stati deportati a San Pietroburgo già all’indomani della rivoluzione del 1917; i militanti antifascisti tedeschi e italiani sono stati costretti all’esilio o inviati in campo di concentramento. E la storia, ahimé, non si ferma qui.
Non sorprende che la bandiera degli anarchici sia nera, il colore del lutto e della rivolta.

I cinque anarchici impiccati a Chicago nel 1887, e dal cui ricordo ha preso avvio la giornata del “Primo Maggio”: August Spies, Albert Parsons, Louis Lingg, George Engel e Adolph Fisher

La giornata del Primo Maggio

Don’t mourn, organize… (3)

La storia dell’anarchismo attraversa il movimento operaio organizzato.
È dapprima negli Stati Uniti, dopo la fine della Prima Internazionale, che i lavoratori alzano la testa e passano all’azione diretta.
Negli anni ’80 dell’Ottocento, ci si unisce per la giornata lavorativa di otto ore, centinaia di migliaia di operai scioperano per rivendicarla. Il 3 maggio 1886 a Chicago, un raduno convocato per opporsi ai crumiri viene brutalmente disperso dalla polizia, con morti e feriti. La manifestazione di protesta organizzata su due piedi finisce in un gran frastuono: una bomba ha ucciso e ferito poliziotti e manifestanti.
La condanna a morte di cinque anarchici ingiustamente accusati di essere gli ispiratori dell’attentato suscita un’ondata di solidarietà senza precedenti e un movimento planetario che non accenna ad arrestarsi: la giornata del Primo Maggio, giornata del ricordo e della lotta per la dignità operaia, diventa il riferimento di tutta la corrente sindacale, dai più rivoluzionari ai più compromessi.
Ma la memoria dominante elimina ben presto il ruolo che vi hanno avuto gli anarchici, mentre i socialisti allontaneranno gli anarchici dalle loro riunioni. Della Prima Internazionale, infatti, non è rimasto loro in mente che il primato del partito politico sull’organizzazione autonoma dei proletari.
Gli anarchici rispondono sviluppando la propria presenza sul terreno delle lotte operaie, praticando l’azione diretta, aprendo luoghi come le Camere del lavoro. All’inizio del XX secolo, la CGT francese intende organizzare l’insieme degli operai fuori da ogni linea politica; secondo la Carta di Amiens, il suo testo fondatore, il sindacalismo basta a se stesso.
La FORA argentina e la CNT spagnola, che nascono nello stesso periodo, sono invece organizzazioni rivoluzionarie di tipo sindacale che, caldeggiando l’abolizione del salariato e il rifiuto della politica da politicanti, guardano al comunismo libertario come al fine ultimo. Con una differenza, tuttavia: la CNT è strettamente legata all’“organizzazione specifica”, la FAI anarchica, mentre la FORA intende educare i suoi membri al proprio interno, per portarli ad adottare il comunismo anarchico.
In quella stessa epoca, negli Stati Uniti gli Industrial Workers of the World sviluppano tecniche originali di organizzazione, di azione diretta, di sabotaggio e di propaganda: è in questo contesto, per esempio, che appare il gatto nero degli anarcosindacalisti e che Joe Hill mette parole rivoluzionarie sulle melodie di canti conosciuti da tutti: “Non portate il lutto, organizzatevi!”.
Il modello degli IWW, con il loro radicale rifiuto dei negoziati collettivi, si diffonderà in Cile, in Sudafrica, in Australia, dove militanti di quest’organizzazione saranno, in particolare, alla testa del movimento antimilitarista nel 1914. Quanto alla SAC svedese, lotta contro il monopolio della centrale sindacale LO, sviluppa il sistema della “tariffa sindacale” come alternativa ai negoziati collettivi. CGT e IWW, dal canto loro, hanno istituito il marchio: si vede ancora, a volte, e soprattutto sugli stampati, l’indicazione “questo lavoro è stato effettuato da operai sindacalizzati”.
Avviata al congresso anarchico di Amsterdam nel 1907 da Pierre Monatte ed Errico Malatesta, continua ancor oggi la discussione in merito al fatto se l’organizzazione sindacale sia sufficiente come organizzazione rivoluzionaria, se il sindacato sia la cellula di base della società futura, o se esso sia intrinsecamente riformista, o, ancora, se debba essere affiancato da un’organizzazione anarchica “specifica”.
Quando il Partito comunista dell’Unione Sovietica tenta di prendere l’egemonia sul movimento sindacale internazionale, gli anarcosindacalisti ridanno vita all’AIT nel 1922, con tredici organizzazioni che rappresentano un milione e mezzo di lavoratori.
Essa federa lotte sviluppate nel corso degli anni precedenti, con le loro armi specifiche, sciopero generale, solidarietà, boicottaggio, sabotaggio, e sviluppa le armi culturali con una serie di riviste di qualità come “Die Internationale” in Germania o il “Suplemento de la Protesta” in Argentina.
La crisi economica degli anni trenta e poi il fascismo sferrano un duro colpo alle organizzazioni radicali. I sindacati socialisti e comunisti si ripiegano su posizioni difensive o nazionali, i compagni sono costretti all’esilio, le sezioni dell’AIT si svuotano dei loro membri in diversi paesi.
La rivoluzione spagnola e la guerra civile saranno l’occasione per un forte movimento di solidarietà, ma provocheranno anche divisioni e conflitti inaspettati.
Dopo anni di latenza, si vedono riapparire oggi solidi movimenti anarcosindacalisti e sindacalisti rivoluzionari in molti paesi, sotto diverse etichette.

Joe Hill (Joseph Hillstrom), 1879-1915

L’insurrezione contadina

Nostra patria è il mondo intero… (4)

La storia dell’anarchismo attraversa le rivoluzioni del XX secolo e le frontiere. La Comune di Parigi del 1871 aveva attratto l’attiva solidarietà dei militanti dell’AIT d’Italia, Polonia e Svizzera, che avevano partecipato agli scontri; e i comunardi che erano dovuti andare in esilio in Svizzera, Belgio, Inghilterra o Spagna vi erano stati accolti come fratelli.
Emiliano Zapata in Messico è ispirato dall’anarchico Ricardo Flores Magón. Durante gli anni rivoluzionari, dal 1910 alla morte nel 1919, guida le sue truppe sotto la bandiera di Tierra y Libertad, uno slogan di cui è giunta l’eco fino ai giorni nostri: venuto dalla Russia del XIX secolo, è passato dalla Spagna per ritornare in Chiapas.
Nella Russia rivoluzionaria, dal 1917 al 1921, gli anarchici (molti sono arrivati spontaneamente o per forza dai paesi dove erano ospiti, Francia, Stati Uniti) difendono l’idea dei consigli operai, i soviet, dal potere del Partito e dei suoi burocrati, prima che questi ultimi li costringano all’esilio.
In Ucraina, Nestor Makhno guida l’insurrezione contadina contro i Bianchi controrivoluzionari, poi contro i Rossi che vogliono farla finita con gli anarchici; sull’isola di Kronstadt, marinai e soldati instaurano una Comune libera che resisterà fin quando non sarà schiacciata dall’Armata Rossa agli ordini di Trotsky. In esilio a Berlino, poi a Parigi e a Detroit, gli anarchici russi continuano le loro pubblicazioni, discutono della loro esperienza, partecipano alla costruzione delle organizzazioni, come dimostrano, in particolare, la Piattaforma elaborata da Piotr Archinov e la “sintesi” sviluppata da Voline sulla base di quella di Sébastien Faure.
In Cina, alcuni giovani che hanno studiato in Francia diffondono le idee anarchiche per lottare prima contro i “signori della guerra”, poi contro l’egemonia del Partito comunista. Sono inseriti soprattutto nel movimento operaio del sud del paese, e attivi nei grandi scioperi del 1927 a Canton e a Hong Kong.
Lo scrittore Ba Jin o Pa Kin (Li Pei Kan) traduce i classici anarchici e in seguito pubblica una serie di opuscoli in sostegno della rivoluzione spagnola. In Bulgaria, gli anarchici hanno partecipato al movimento nazionale rivoluzionario del XIX secolo, cercando di conferirgli carattere insurrezionale.
Durante la dittatura fascista e la Seconda guerra mondiale, sopravvivono in clandestinità per tornare ad organizzarsi subito dopo la fine della guerra: nel 1945, la tiratura del loro settimanale arriva a 30.000 copie.
A Cuba gli anarchici pubblicano il loro primo giornale nel 1886 e sono rapidamente attivi all’interno del movimento operaio sindacale e culturale. In questi tre paesi, gli anarchici sono stati tra i più lucidi critici delle dittature, i più radicali dei rivoluzionari, prima che i partiti comunisti stalinisti al potere se ne sbarazzino con la violenza.
Nei movimenti consiliaristi in Germania, in Italia e in Ungheria, nel 1918-20, gli anarchici investono tutte le loro energie e subiscono le più pesanti repressioni.
Gustav Landauer, commissario all’educazione della Comune di Monaco, è assassinato nel 1919, poco dopo Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i leader socialisti rivoluzionari; il poeta Erich Mühsam, dopo anni di prigione, muore assassinato in un campo di concentramento nel 1934. La Comune di Budapest è sconfitta nel sangue; le occupazioni di fabbriche del 1920 in Italia, che testimoniano della crescita del sindacalismo rivoluzionario, sono sabotate dai socialisti che aprono la strada alla “controrivoluzione preventiva” organizzata dalle squadracce fasciste e dallo Stato.
L’emigrazione e l’esilio sono spesso il solo modo di evitare la morte violenta o anni di prigione. Elisée Reclus vive in Svizzera dopo la Comune di Parigi, Piotr Kropotkin ne viene espulso e trova rifugio precario in Francia, poi in Inghilterra. Agli italiani Errico Malatesta e Camillo Berneri si dà la caccia da un paese all’altro. Gli anarchici ebrei polacchi, ucraini e tedeschi sciamano a Londra (dove un altro emigrato, Rudolf Rocker, diviene il loro “rabbino goi”, negli Stati Uniti e a Buenos Aires, dove per molto tempo pubblicano giornali e libri in yiddish.
I successivi esili di Emma Goldman e di Alexandre Berkman hanno dato il titolo a un bell’epistolario, Nowhere at home (Da nessuna parte a casa propria). Oppure a casa propria dovunque, quando dovunque si trovano compagni, si ricreano gruppi, si scambiano pubblicazioni e corrispondenza?
“Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà”, cantano gli anarchici italiani. Deportati in Nuova Caledonia dopo la Comune di Parigi, Louise Michel e Charles Malato vi incontrano i Canachi e la loro aspirazione all’autonomia; funzionario in Indonesia, Multatuli si dimette per denunciare il colonialismo olandese nel suo romanzo Max Havelaar; studenti a Londra, Jomo Kenyatta e Julius Nyerere seguono le discussioni del gruppo Freedom; più di recente, renitenti e disertori francesi e americani denunciano le guerre imperialiste in Algeria e nel Vietnam.
Appoggiare le lotte di liberazione “nazionale” senza sostenere i nascenti Stati resta ancor oggi una sfida.
La recente comparsa di gruppi anarchici in Indonesia, nelle Filippine, in Nigeria, stimolati evidentemente da giovani formatisi nelle università del Primo Mondo e nutriti di Internet, cambierà la situazione?

Nestor Makhno, 1889-1934

Lavoro manuale e lavoro intellettuale

Quand nous en serons au temps d’anarchie… (5)

Nel 1901, Francisco Ferrer fonda a Barcellona la Scuola moderna, che si ispira al razionalismo scientifico e grande fiducia ha nel progresso. Essa mira alla liberazione dell’individuo e alla formazione di uomini e donne capaci di trasformare la società. Sostiene l’istruzione mista tra i sessi e le classi sociali, al fine di attaccare alle radici i pregiudizi e di preparare generazioni future dalle menti lucide. Più o meno nella stessa epoca, Paul Robin e Sébastien Faure dirigono in Francia scuole libere in cui la pedagogia è basata sulla libertà, la fiducia, la promiscuità, la combinazione di lavoro manuale e lavoro intellettuale.
Ma sarà l’esperienza di Ferrer ad avere l’eco maggiore: dopo il suo assassinio nel 1909, e sull’onda della simpatia e della solidarietà, Scuole moderne, Scuole Ferrer sono fondate in Brasile, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Italia… La pedagogia attiva e le scuole alternative attuali si ispirano tutte, direttamente o meno, a questi predecessori.
In Inghilterra (con la scuola di Summerhill tra le altre) e negli Stati Uniti, le scuole libertarie sono anche più numerose malgrado le difficoltà opposte loro dal sistema ufficiale. Più recentemente, ne sono nate in Spagna (Paideia), in Australia (School without walls), in Francia (Bonaventure).
Non si tratta soltanto di educare i bambini: “Il compito rivoluzionario consiste innanzitutto nel ficcare idee nella testa degli individui” (Jean Grave). La prima attività di un’organizzazione o di un gruppo anarchico è spesso la pubblicazione di un giornale, di opuscoli, di volantini. I testi di Kropotkin, Grave o Malatesta, pubblicati all’inizio del secolo da “Temps Nouveaux”, si vendevano a decine di migliaia di copie.
René Bianco ha catalogato oltre 2.000 periodici anarchici in lingua francese tra il 1880 e il 1980, e le altre lingue non sono da meno. Dalla stampa manuale alla quadricromia e alle fotocopiatrici dalle elevate prestazioni, la “propaganda con gli scritti” è un’arma prediletta dagli anarchici; anche noi, qui, stiamo a testimoniarlo.
“Diventiamo più reali”, diceva Bakunin agli operai di Saint-Imier nel 1871: che l’organizzazione rivoluzionaria sia accompagnata da una “vera solidarietà fraterna, non soltanto a parole, ma con le azioni, non soltanto nei giorni di festa, di discorsi e bevute, ma ne[lla] vita quotidiana”.
Comunità e cooperative ne sono un esempio: in passato, singoli individui e gruppi hanno dato vita a “colonie libertarie”, dal Belgio (Colonia L’Essai) al Brasile (La Cecilia), dalla Francia (Aiglemont, Romainville, ecc.) al Paraguay (Mosé Bertoni); in Uruguay, la Comunidad del Sur fondata cinquant’anni fa, si è ricostituita dopo un lungo esilio in Svezia; dopo il maggio ’68, si è andati a fare formaggio di capra e a mangiare castagne nei paesini abbandonati della Francia del Sud, e ben pochi sono stati quelli e quelle che hanno resistito alla durezza delle condizioni di vita.
Nei loro atenei libertari e nelle loro biblioteche popolari, gli anarchici spagnoli o argentini da un secolo a questa parte diffondono cultura, conoscenze scientifiche e preparazione rivoluzionaria. Gli individualisti, soprattutto, hanno sostenuto e praticato le lingue internazionali, ido o esperanto, come modo di abbassare confini e barriere.
L’obiezione alle tasse, ai vaccini, alle istituzioni del matrimonio, del voto e dell’esercito appartiene allo stesso percorso. Oggi, in tutto il mondo fioriscono gli spazi autogestiti, occupazioni o infoshop dove si cerca di vivere senza denaro né padrone, o dove si inventano nuove forme di scambio e di manifestazione pubblica.
Se gli anarchici hanno sete di una cultura senza dominio, alcuni artisti hanno offerto loro di che arricchirla. Gli impressionisti Pissarro, Luce e Signac, i pittori e gli incisori Steinlen, William Morris, Frans Mareseel, Karel Kupka, Man Ray, più di recente Flavio Costantini, Enrico Baj, Cliff Harper, Soulas e altri, hanno offerto illustrazioni alla stampa anarchica e opere originali alle casse di solidarietà. Joe Hill, Erich Mühsam, Eugène Bizeau, Stig Dagerman hanno scritto poesie e canzoni, Joan Baez, Georges Brassens, Leo Ferré, Paco Ibañez, Fabrizio De André hanno cantato nei raduni prima delle Poison Girls, dei Black Bird di Hong Kong o dei Binamé di Buxelles.
I film di Jean Vigo, di Armand Guerra, di Jean-Louis Comolli, le rappresentazioni del Living Theatre o di Armand Gatti sono altrettanti omaggi all’anarchismo.

Erich Mühsam, 1866-1934

L’estate dell’anarchia

A las barricadas, por el triunfo de la Confederación… (6)

Il più bel capitolo della storia dell’anarchismo è evidentemente la rivoluzione spagnola del 1936, malgrado il suo seguito tragico. Per diversi mesi, operai e contadini hanno vissuto il comunismo libertario nelle fabbriche e nei villaggi, nelle milizie, nelle famiglie, nei servizi pubblici; decine di migliaia di donne hanno partecipato all’organizzazione delle Mujeres Libres. Ma dovevano anche fare la guerra per difendere la nuova società che stavano creando.
La confederazione anarcosindacalista CNT, fondata nel 1910, aveva messo tutte le proprie forze nell’educazione del popolo, nella pratica dell’organizzazione e nella preparazione dell’insurrezione. Con la Federazione anarchica FAI, tentativi rivoluzionari sono avviati in diverse regioni del paese tra il 1932 e il 1934: costituzione nei villaggi di collettività comuniste libertarie, assalto alle caserme e ai municipi, che rafforzano il radicamento popolare dell’anarchismo, suscitando però una smisurata repressione e la polarizzazione rispetto alla sinistra politica.
Nel luglio 1936, tuttavia, gli anarchici sono pronti a replicare al colpo di stato del generale Franco e salgono “alle barricate, per il trionfo della Confederazione”, la CNT: il movimento delle collettivizzazioni si avvia fin da subito, contemporaneamente alla costituzione di milizie.
La solidarietà dei compagni stranieri è immediata: centinaia di anarchici francesi, italiani, tedeschi, argentini, svizzeri lasciano il loro lavoro già nel mese di agosto 1936 per andare a combattere in Spagna contro il fascismo e per la rivoluzione sociale.
Venticinque anarchici cinesi arriveranno fino a Marsiglia prima di dover fare dietro front. Camion di viveri e di abiti, sotto i quali sono nascoste le armi, attraversano sobbalzando i Pirenei e passano il confine sotto le acclamazioni di “evviva”.
Ben diverso è l’atteggiamento delle democrazie europee e della sinistra socialista e comunista, che temono la generalizzazione della guerra e la vittoria della rivoluzione, e adottano una politica di non intervento.
Aprono così la porta al massiccio sostegno offerto da Mussolini e da Hitler ai fascisti spagnoli: inviano loro truppe, aerei e armamenti pesanti. Soltanto in ottobre l’URSS cambia tattica, incoraggiando la costituzione delle Brigate internazionali, rigidamente inquadrate, una delle cui missioni sarà spezzare lo slancio rivoluzionario popolare a vantaggio della guerra.
I fronti, così come le vittime, si sono moltiplicati, alle milizie anarchiche mancano armi e munizioni, le fabbriche collettivizzate improvvisano veicoli blindati e obici. Poco a poco, l’intera industria diviene industria bellica o di retroguardia, e “la guerra divora la rivoluzione”, come scrive allora il libertario francese Pierre Ganivet. Nel suo isolamento, ritenendo prioritaria la difesa del fronte antifascista, la CNT prende la discutibile decisione di entrare in settembre nel governo di Largo Caballero, poi di accettare controvoglia la militarizzazione delle milizie.
Si fa così spazio agli stalinisti, che si attribuiscono il comando della guerra. Nel maggio 1937, attaccano frontalmente gli anarchici e il POUM a Barcellona, assassinando Camillo Berneri che era stato uno dei più fieri critici della partecipazione della CNT al governo.
Quest’ultima, presa tra due fuochi, non sa fare altro che invitare alla calma.
Ben presto verrà ripreso il controllo delle collettività della Catalogna e dell’Aragona, quelle del Levante resisteranno ancora diversi mesi. Nel febbraio 1939, Barcellona è presa dalle truppe franchiste, in marzo tocca a Madrid. Migliaia di anarchici e di repubblicani sono massacrati o imprigionati, centinaia di migliaia prendono la via dell’esilio e si ritrovano confinati in accampamenti predisposti in fretta e furia sulle spiagge francesi del Mediterraneo.
Il movimento libertario si è ricostituito in esilio, con la CNT, la FAI e le organizzazioni di giovani e delle donne, con le inevitabili divisioni che questo genere di situazione provoca. All’interno della Spagna, la CNT si è anche ricostituita senza tregua nella clandestinità, al prezzo di numerosi morti e interminabili anni di galera. La stessa sorte toccherà, più tardi, ai guerriglieri che cercano di rimettere in piedi un movimento di resistenza e a tanti militanti che hanno tentato di farla finita con Franco, fino a quando questi non finisce da solo nel 1975.

Venezia 1984, Barcellona 1993

Rue Gay-Lussac, les rebelles n’ont q’les voitures à brûler… (7)

Il Maggio ’68 non ha avuto inizio nel maggio 1968. Gli studenti avevano ben dimenticato che l’anarchismo era tornato ad alzare la testa in Francia e in Italia, subito dopo la fine della guerra nel 1945; si era ben dimenticato, negli anni dell’abbondanza, il coraggio di coloro che pubblicavano giornali, riformavano le organizzazioni, riannodavano i contatti.
Dai luoghi del loro esilio, gli anarchici spagnoli hanno contribuito a mantenere accesa la fiamma del movimento, pur essendosi posti, talvolta, come modelli insuperabili; l’antifranchismo militante è stato senza dubbio, così come il movimento contro la guerra del Vietnam, uno dei propulsori del Maggio ’68.
Dopo la presa del potere da parte dei partiti stalinisti nelle “democrazie popolari” dell’Europa dell’Est e in Cina, solo qualche debole voce vi rimaneva a testimoniare di un fiero passato anarchico. Nei paesi occidentali e nelle Americhe, i partiti comunisti si arrogavano il ruolo di unica opposizione al capitalismo e alle democrazie liberali capace di farsi sentire. Si può ben dire che il mondo si sia stupito nel vedere la gramigna anarchica rimettere radici.
Negli Stati Uniti, i vecchi compagni di origine russa, italiana, spagnola, hanno faticato, essi stessi, a riconoscersi negli hippy e negli studenti arrabbiati; in Germania, non c’era che un pugno di veterani, Augustin Souchy, Willy Huppertz, Otto Reimers, che pubblicavano modesti bollettini.
Nel giro di qualche anno, le librerie si sono improvvisamente riempite di tascabili sull’anarchismo (e su tutte le correnti di sinistra), riedizioni, antologie, saggi; i professori hanno cominciato ad accettare ricerche sulla rivoluzione spagnola, su Makhno e Kronstadt, studi sulla stampa, e poi lavori femministi e di storia orale. Nel giro di qualche anno si è venuta a costituire una cultura anarchica di base, accessibile e accettata.
Anche nell’Europa meridionale, nonostante l’anarchismo non fosse stato completamente occultato, la diffusione delle idee e delle pratiche si è accelerata, così come quella della A cerchiata sui muri. Quando il Brasile ha conosciuto un breve periodo democratico, alcune opere erano inviate clandestinamente in Portogallo dove la ferula di Salazar proibiva lo studio della storia del XX secolo.
Nella Spagna, schiacciata sotto il gioco di Franco, la giovane generazione cercava le proprie radici, interrogava i suoi padri, pubblicava di nascosto. Alla morte del dittatore, centinaia di gruppi hanno adottato il bel nome di CNT.
Nel 1984, anno simbolico come pochi, alcune migliaia di anarchici si sono dirette a Venezia per ascoltarvi conferenze, partecipare a dibattiti, assistere a concerti, visitare mostre, raccontarsi le proprie pratiche.
Nel 1993, erano quasi altrettanto numerosi a Barcellona per l’Esposizione universale. Questi grandi forum sono luoghi privilegiati per far incontrare non soltanto compagni di lingue e culture diverse, ma di diverse generazioni, sostenitori dell’anarchismo classico e giovani occupanti di case, universitari canuti e variopinte ragazzine punk. Tra questi due raduni, la geografia dell’anarchismo aveva preso nuove dimensioni: nei paesi dell’America Latina e dell’Europa dell’Est si costituivano o ricostituivano gruppi, pubblicazioni, memorie. Questo sviluppo multicolore e multiforme non si è più fermato da allora: gli anarchici hanno un futuro per davvero.

Marianne Enckell
traduzione dal francese di Anna Spadolini

  1. Operaio, prendi la macchina, prendi la terra, contadino… “La Jurassienne”, parole di Charles Keller, musica di James Guillaume, 1873.
  2. Se vuoi essere felice, per dio, impicca il tuo padrone… “Le père Duchesne”, anonimo, 1892-93.
  3. Non portate il lutto, organizzatevi… “Joe Hill’s ashes”, Marc Levy, 1989.
  4. “Stornelli d’esilio”, Pietro Gori, 1904.
  5. Quando saremo al tempo dell’anarchia… “Heureux temps”, Paul Paillette, 1895.
  6. Alle barricate, per il trionfo della Confederazione… “A las barricadas”, adattamento allo spagnolo della canzone “Warschawjanka” a cura di Valeriano Orobón Fernández, 1933.
  7. In Rue Gay-Lussac, i ribelli non hanno solo le auto da bruciare… “La Chanson du conseil pour le maintien des occupations”, parole di Alice Becker-Ho, 1968.

Immagine scattata nei giorni del Convegno Internazionale Anarchico di Venezia nel 1984

Le Edizioni La Baronata, nel Canton Ticino (Svizzera), hanno in programma a breve la pubblicazione di una “Ministoria dell’anarchismo” che, oltre ad altri saggi, comprenderà la versione integrale di questo saggio di Marianne Enckell, responsabile del Centro Internazionale di Ricerche sull’Anarchismo (Losanna) – che qui esce appunto non completa.
Naturalmente segnaleremo su “A” l’uscita del volume. Ecco il loro indirizzo: Edizioni La Baronata, Casella postale 22, CH – 6906, Svizzera. La loro e-mail è: baronata@anarca-bolo.ch.