Rivista Anarchica Online


anarchismo

Anarchici ma conservatori?
di Francesco Codello

 

Alla continua ricerca di un difficile equilibrio tra opzioni etiche irrinunciabili e tensione rivoluzionaria.

Il capitalismo è stato ed è tuttora la forza che ha prodotto i più sconvolgenti cambiamenti negli ultimi tre secoli. Quindi è stato ed è il più radicale evento rivoluzionario che la storia moderna abbia vissuto.
Esso ha plasmato e modella ancora oggi le ideologie politiche di destra e di sinistra, sostiene e alimenta ogni forma di immaginario sociale diffuso, determina le condizioni sociali e culturali dentro le quali viviamo pressoché in ogni angolo del pianeta, pianifica e definisce ogni ipotesi e opzione prevedibile e futuribile.
Il capitalismo, l’industrialismo diffuso (anche nella sua variante post-moderna dell’era dell’accesso), trionfa da tre secoli in ogni forma di società con la quale entra in contatto. Il capitalismo è dunque inevitabile? La fine della storia è dunque annunciata?
Ma soprattutto è pensabile che si possa uscire ragionevolmente dal capitalismo?
Se ci limitiamo ad una lettura della realtà superficiale le risposte a queste domande sono scontate, ma abbiamo il dovere di scavare un po’ più in profondità.
In un libro di qualche anno fa (1996) Kilkpatrick Sale, ripercorrendo la storia del movimento luddista in Inghilterra durante la rivoluzione industriale, magistralmente descriveva la portata sconvolgente dell’avvento del capitalismo nei confronti di ogni aspetto della vita degli esseri umani, della società e della natura (K. Sale, Ribelli al futuro, trad. it. 1999). Ma Sale si spinge molto più in là e dimostra come la rivolta di questi uomini, vittime del progresso (o di ciò che era ritenuto tale), non fu soltanto, o prevalentemente (come una certa storiografia caricaturale ha sempre voluto farci credere), contro le macchine, ritenute causa dello sconquasso generalizzato, ma piuttosto di carattere morale. I luddisti chiamarono in causa le premesse fondanti dell’idea di sviluppo, vale a dire la legittimità etica dei principi di profitto sfrenato, di competizione e innovazione che ne stavano alla base.
Da allora anche altri movimenti o singoli pensatori hanno messo in discussione queste idee che stanno alla base delle moderne società, ma si tratta soprattutto di fenomeni isolati, marginali, con poca capacità (e possibilità) di modificare il corso degli eventi. Nella stragrande maggioranza destra e sinistra (compresa quella rifondarola che non sa che proporre sostanzialmente delle rinnovate e ripatinate ricette keynesiane) hanno assunto e fatte proprie le parole chiave della rivoluzione industriale: sviluppo, progresso, profitto, benessere. La differenza tra le due aree di pensiero (e all’interno di ognuna di esse) sta solo nelle combinazioni diverse tra i vari elementi, nell’uso di alcuni aggettivi e nel significato attribuito alla funzione della politica rispetto al mercato. Non è certamente poco ma non è sostanziale.

Esplorare nuove vie

Ciò che sarebbe sostanziale è piuttosto assumere appunto il punto di vista etico e morale come parametro di riferimento, vale a dire riprendere il significato più profondo e vero della rivolta luddista. Esiste oggi una corrente di pensiero che dal rifiuto del sistema capitalistico arriva a sostenere una sorta di “primitivismo”, vale a dire una specie di ritorno alla natura (Cfr.: John Zerzan). A ben vedere questa teoria radicale è uno strumento sicuramente utile ed importante per leggere il presente e le sue aberrazioni, molto meno interessante e proponibile quando diventa profezia o peggio ancora auspicio di una società da costruire. Insomma la teoria primitivista si presta più ad essere un utile lettore del presente che un sogno da realizzare. Va ricordato comunque che proprio il capitalismo e la rivoluzione industriale hanno prodotto al proprio interno, nel corso della storia, più volte movimenti di rifiuto radicale che hanno assunto via via caratteristiche e forme espressive diverse ma sostanzialmente simili.
Il problema che si pone oggi, più di ieri, e domani si porrà più di oggi, è proprio quello di conservare alcune opzioni etiche e morali irrinunciabili, senza peraltro cedere al fondamentalismo del naturalismo come a quello dell’industrialismo. Come sempre, si tratta di esplorare nuove vie, sviluppare diverse opzioni, sperimentare nuove strade, valendoci di alcuni irrinunciabili principi etici.
Oggi più che mai, di fronte al saccheggio e alla distruzione ambientale, allo sviluppo incontrollato a fini di profitto della tecnologia (si pensi alle clonazioni ad esempio), all’enfasi acritica attorno ai miti del progresso e dello sviluppo, all’avvento del potere della tecnologia addirittura sulla scienza, mi sento particolarmente conservatore.
Credo che vada messo in discussione il tema del progresso e soprattutto quello dello sviluppo. C’è una soglia oltre la quale progresso e sviluppo si trasformano in strumenti di dominio, selezione, sfruttamento, ma soprattutto quali sono le modalità che possono essere messe in atto per fare in modo che il controllo su questi veri e propri miti sia efficace e garantisca sempre più una progressiva uguaglianza fra gli esseri umani?
Ho al contempo la consapevolezza che gli strumenti della democrazia occidentale, così come ci è data, non sono assolutamente sufficienti e in grado di rispondere ai miei bisogni di libertà e di uguaglianza. Ma so anche che il sogno (che può diventare un incubo) del rifiuto tout-court delle ricchezze e delle opportunità che la società attuale pure possiede è un’altra forma di discriminazione e di sofferenze inenarrabili.

Paul Goodman

Limiti invalicabili

Ecco che proprio l’anarchismo, così come lo intendo io, prevalentemente pragmatico nella ricerca delle soluzioni, come fortemente legato all’universalità di alcuni valori, può aiutarci ad affrontare queste problematiche offrendoci delle possibili chiavi di lettura della realtà e al contempo anche strumenti per cogliere le risposte naturali e spontanee che la stessa società (spesso nella forma di micro-società) già sperimenta, mette in atto, organizza. Si tratta insomma, ancora una volta, di non condurre i nostri ragionamenti alla logica duale propria dell’astrattismo più assoluto (progresso o primitivismo in questo caso).
Credo che molto umilmente, ma efficacemente, si possa trovare una possibile soluzione, quantunque sempre provvisoria, nell’affrontare il tema del progresso definendo di volta in volta dei limiti invalicabili oltre i quali non andare, con unico riferimento e spartiacque quello che è proprio e unico dell’anarchismo: l’aumento o la diminuzione del dominio dell’uomo sull’uomo. E qui gli esempi che si potrebbero fare sono tantissimi ma possono essere trovati e praticati da ognuno di noi nei confronti di se stessi e nel confronto con gli altri che condividono questa prospettiva. Insomma il progresso non è un valore in sé, così come il primitivismo non è un disvalore in sé. Ma ambedue se non valutati come ho cercato di spiegare diventano degli ostacoli insormontabili che ci stringono dentro un tunnel senza uscita.
Di fronte ad accettazione (proprie seppur con diversi accenti di destra e sinistra) o rifiuto (destra e sinistra anche qui unite) c’è un insieme di possibili e variabili soluzioni, approssimative, modificabili e modificanti, che possono e devono essere sperimentate. Inutile insomma pensare a progettare un uomo nuovo dalle ceneri di un mondo secolare, così come insostenibile accettare i valori sfrenati che caratterizzano un rampantismo umanoide. Alcune cose, certi valori, diverse pratiche devono essere conservate in quanto consone alla natura umana, alcune addirittura riscoperte e ricercate, altre infine decisamente rifiutate. E in tante micro-società, in tanti esempi di vita e di sopravvivenza quotidiana questo avviene già, ognuno di noi, si spera, è in grado di valutare di volta in volta se e quanto, ma soprattutto fino a dove, ogni progresso, ogni tecnologia, ogni sogno può e deve essere realizzato.
Esiste dunque anche un anarchismo conservatore, indispensabile oggi più che mai, accanto ad una tensione etica autenticamente rivoluzionaria.
Ma sia chiaro, come diceva Paul Goodman, bisogna esseri disposti fino in fondo a rinunciare almeno tanto quanto a desiderare: “Per il verde dell’erba e le acque chiare dei fiumi, per gli occhi brillanti e i visi coloriti (qualunque ne sia il colore) dei bambini, per le persone non costrette a subire ordini e libere di essere se stesse; per piccole cose di questo genere io sono disposto a sbarazzarmi di qualunque altro privilegio politico, economico e tecnico” .

Francesco Codello