Rivista Anarchica Online


popolo in cucina

I “bulgari” di Reggio Emilia
di Massimo Ortalli

Momento di aggregazione e cuneo sovversivo e libertario: gli anarchici reggiani tra cronaca e storia.

 

I primi a chiamarli “bulgari” furono i vecchi compagni di Imola, Spartaco e Cesare. Erano i primi anni ottanta e in un animato confronto su come comportarsi nell’ennesimo referendum, gli ortodossi imolesi dovettero riconoscere le ragioni dell’ortodossia reggiana. E da allora i compagni di Reggio Emilia sono, per antonomasia, i “bulgari” del movimento anarchico, i fedeli alla linea dell’anarchia.
Mezza Reggio è passata per la loro sede. L’altra metà invece, transitando per via Don Minzoni, si è fatta il segno della croce. Perché, se considerati “fondamentalisti e bulgari” dai compagni, la loro presenza nella città del Crostolo è sempre stata tanto un felice momento di aggregazione delle spinte migliori provenienti dalla società locale, quanto un cuneo sovversivo e libertario conficcato nelle carni vive del soffocante cattocomunismo in salsa emiliana.
Quattro gruppi federati tra loro e aderenti alla Federazione Anarchica Italiana, il Berneri e l’Archivio Libreria di Reggio, il Fabbri di Correggio, lo Zambonini della Montagna, tre sedi fra città e provincia, una quarantina di aderenti (o militanti, come si diceva una volta e come ancora si usa a Reggio), un centinaio dell’area libertaria, ma “sfederati” e quindi malvestiti, come annota con divertita ironia un noto libraio anarchico già operaio alle Reggiane. E poi le “individualità sparse”, tantissime, ma che avendo scelto di non fare parte di gruppi organizzati e federati, sono ridotte a rimanere entità meno “significative”, come vuole, del resto, la migliore tradizione bulgara.
Un’attività ininterrotta negli anni, nelle scuole e nelle fabbriche, dove sempre sono stati numerosi gli anarchici e i libertari reggiani. Attivi nel sindacalismo di base e fra i promotori della rinascita dell’USI, presenti nella CUB come nelle strutture orizzontali del mondo del lavoro, legati ai valori dell’antifascismo, promotori di iniziative culturali (oggi soprattutto tramite l’Archivio Libreria) e di rivalutazione delle migliori esperienze del proletariato reggiano. E anche solidali, come testimonia la Cassa di Solidarietà, un organo federale in grado di portare aiuti economici in Bolivia, in Senegal, nella ex Yugoslavia e nel Chiapas e la squadra di calcio Spartaco 1905, partecipante ai campionati mondiali antirazzisti. E soprattutto appassionati difensori di quella libertà di pensiero e di espressione che nella loro città, a volte veramente “bulgara”, spesso ha faticato per trovare la propria strada.
Ma loro, quella strada, l’hanno trovata e nessuno a Reggio può mettere in discussione o disconoscere l’arricchimento che gli anarchici organizzati nella FAI reggiana portano alla vita sociale e culturale di Reggio e provincia.
Ortodossi, certamente, ma non settari né ottusi.
Fermamente organizzati, fortemente federati, l’unico vero “dogma” a cui non intendono rinunciare resta quello della responsabilità individuale. E allora si motiva il loro sentirsi bulgaramente “custodi dell’ortodossia”.
Comunque sia, capaci di fare nascere eventi “straordinari”, quale è stato il convegno, conviviale e militante, di cui si parla in questo numero della Rivista.
Capacità di ragionare, di stare insieme fraternamente, di socializzare il proprio sentire libertario, di dare “lezioni” di organizzazione. Come mi ha confidato un compagno a Massenzatico gli stessi DS, sconcertati, non la smettevano più di prendere appunti.

Massimo Ortalli