Rivista Anarchica Online


guerra

L’idra di Lerna
di Andrea Papi

 

È la logica di guerra in sé che contiene la propagazione dell’orrore.

 

Sono ancora vive, con tutto il loro terrificante realismo, le immagini della carneficina nella scuola di Beslan in Ossezia del 3 settembre: centinaia di corpi dilaniati, oltre la metà bambini. Quattro giorni dopo in Iraq, parte di una guerra senza fine frettolosamente dichiarata conclusa più di un anno e mezzo fa dallo stato maggiore USA, lo sconcertante rapimento delle due Simone, volontarie pacifiste dell’ONG “Un ponte per…”, vittime incolpevoli di una delle innumerevoli componenti dell’opposizione armata irachena, usate come immagine simbolo d’uno snervante terrorismo mediatico finito, fortunatamente, senza spargimento di sangue.
Ennesimi rapimenti ed ennesima azione terroristica, ai quali sono seguiti altri rapimenti con conseguente taglio della gola ripreso da telecamera, ai quali sicuramente ne seguiranno chissà quanti altri, falcidiando vite umane, distruggendo ed inducendo a distruggere.
I fruitori dei media continuano a rimanere senza fiato, ogni volta ancora più confusi e allibiti. Come per il precedente rapimento più assassinio del giornalista di casa nostra Enzo Baldoni, come per tutti gli altri di diverse nazionalità, operai, giornalisti, volontari. Come dopo l’abbattimento delle Twin Towers dell’11 settembre 2001, o dopo l’11 marzo 2004 in Spagna, i media della carta stampata anche in queste occasioni ci continuano a propinare fiumi di parole, più o meno colte e più o meno efficaci, complemento delle immagini televisive, che ci stravolgono e ci travolgono nell’immane cruento disastro umano. Sono due le parole che più di ogni altra esprimono il senso e i sentimenti reattivi davanti a tali spettacoli di devastazione: orrore e terrore. E dall’orrore e dal terrore, infatti, ci sentiamo avvolti, quasi serrati in una sacca orripilante senza vie di scampo, il cui unico scopo è quello di farci vegetare fino all’inevitabile estinzione.

“Danni collaterali”

Ciò che forse ci sconvolge maggiormente di fronte a questi fatti è che, nella loro cruda evidenza, fanno saltare completamente l’immaginario consolidatosi di che cosa debba essere una guerra. In qualche modo lo svolgimento delle battaglie cui nei millenni ci eravamo abituati, che abbiamo interiorizzato quasi fosse un valore, si dovrebbe svolgere tra contendenti che combattono perché sono addetti a farlo, cioè tra soldati di opposte fazioni. Gli altri, tutti gli altri, non a caso continuano ad essere chiamati civili, visti e considerati come esterni al conflitto, che quindi non dovrebbero essere coinvolti se non per errore o, come si usa dire eufemisticamente da qualche anno, per causa di “danni collaterali”.
Nella guerra globale in atto, invece, sistematicamente questa regola non scritta di origine cavalleresca sta saltando giorno dopo giorno, mostrando la perversa nudità di una spirale impazzita, che, al di là dell’immaginario mistificante, tragicamente ci sta suggerendo quale sia il vero volto dell’essenza della guerra, di ogni guerra: l’orrore e solo l’orrore.
Purtroppo, nella percezione collettiva del mutamento delle modalità del modo di combattere cui stiamo assistendo c’è qualcosa che non funziona. Nel cambiamento in atto dell’immaginario bellico mi sembra di identificare un elemento di conservazione, che allontana dalla comprensione del senso reale della guerra e, magari inconsapevolmente, ristabilisce nelle coscienze l’accettazione della logica di guerra. Gli ultimi orrori, che quotidianamente ci bersagliano attraverso l’informazione mediatica, quelli che ci suscitano immediata sacrosanta ripulsa, appartengono ufficialmente ad una sola parte contendente.
Quasi a suggerire che, suffragato proprio dai fatti sconcertanti da cui siamo partiti, nelle cose belliche persiste l’arcaica divisione tra buoni e cattivi.
Da una parte, quella buona, l’esercito de “i nostri”, che combattono in modo tradizionale la guerra “leale”, nel rispetto delle regole e delle convezioni internazionali, spinti dalla necessità di combattere il terrorismo, presentato come il male assoluto.
Dall’altra, quella cattiva, l’esercito degli irregolari e dei terroristi, identificati oggi nella galassia del terrorismo islamico, che non hanno rispetto alcuno per la vita e sono disposti a qualunque nefandezza umanamente orripilante pur d’infliggere perdite al nemico occidentale, considerato a loro volta specularmente il male assoluto.

Come Gestapo e GPU

C’è qualcosa che non funziona, perché la realtà si svolge in modo differente dalla percezione che inconsciamente facciamo collimare con l’immaginario consolidato.
In verità, infatti, gli orrori sono perpetrati con costanza e perseveranza anche dalla parte dei “buoni”. Solo che suscitano un impatto emotivo diverso perché hanno una qualità di esecuzione diversa.
Innanzitutto i “nostri” sono molto più ipocriti perché sistematicamente, ogni volta che ci riescono, tendono a nascondere i misfatti di cui sono responsabili, cosicché le loro atrocità non ci vengono sbattute brutalmente in faccia attraverso immagini mediatiche, come invece succede per le azioni dei “cattivi”. Quindi ne riusciamo a conoscere solo una parte, che presumibilmente non è certo quella più consistente.
Anzi, finché riesce loro, i “nostri” tendono a negare le nefandezze che compiono, mentre, quando vengono scoperti e si trovano costretti ad ammettere le proprie responsabilità, chiedono scusa e ufficialmente dichiarano che si tratta di errori non voluti.
In alcuni casi parlano di danni collaterali, com’essi amano definire per esempio i massacri calcolati di civili in seguito a bombardamenti devastanti. In altri casi, come per esempio le torture ai prigionieri iracheni che tanto scandalo fecero qualche mese addietro, non potendo più negare l’evidenza di prove ampiamente documentate, scaricano la colpa sulle responsabilità individuali di coloro che hanno commesso il fatto, tentando di mostrare che l’apparato, nel nome del quale i torturatori hanno agito, non c’entra nulla e tutto sarebbe avvenuto contro la volontà dei vertici militari.
Ipocriti! E Guantanamo allora, il carcere speciale per terroristi a Cuba, dove, come documentano alcune testimonianze sfuggite alle strette maglie dei controlli, sistematicamente si perpetrano torture che nulla hanno da invidiare agli odiati sistemi della Gestapo nazista e della GPU staliniana?
I “cattivi” al contrario non hanno questi problemi d’immagine. Rivendicano le loro orripilanti azioni e programmano di sbattercele brutalmente in faccia. Si mostrano per quello che sono senza neppure tentare di mascherarsi dietro formalismi burocratici o ipocrite disgustose menzogne. In tal modo ottengono di essere percepiti in tutta la loro concreta spietatezza e ci danno il messaggio che desiderano: riempirci di terrore, toglierci la sicurezza arrogante di continuare a vivere nel nostro arrogante benessere.
Non potendo competere sul piano della tecnologia militare con la potenza nemica contro cui combattono, con grande disinvoltura usano i corpi, propri e altrui, come terrificante arma letale. A loro non interessa agire, o far credere di agire, per la salvaguardia della vita umana, per la dignità della persona, valori che invece per il nostro mondo sono alla base del senso stesso dell’esistenza. I corpi, le vite umane, gli individui non sono che strumenti d’azione e mezzi di riscossa, perché sono attratti molto di più dalla dignità della morte che da quella della vita, perché per loro la vita acquista senso con la morte e non viceversa.
Orrore e terrore dunque da entrambe le parti, anche se con una qualità diversa nella volontà e nel senso dell’attuazione. Personalmente del resto, per quanti sforzi faccia, nella sostanza delle cose non riesco a vedere molta differenza tra gli orrori di cui finora ho parlato e i milioni di morti per fame, come di quelli per le malattie dovute all’indigenza ed alla miseria nera in cui quotidianamente vengono costretti miliardi di persone.
Ma anche i milioni di bambini ogni giorno schiavizzati, seviziati e torturati.
Ma anche l’immane distruzione delle specie animali in atto, accompagnata dal progressivo esponenziale inquinamento ambientale perpetrato con maniacale e criminale pervicacia dai gestori del potere e dell’economia, che incombono sulle nostre teste come perenni spade di Damocle. Siamo circondati dall’orrore ed immersi in esso, perché è orrendo il senso profondo della qualità del nostro rapporto col mondo e con e tra noi stessi.
Del resto, se non fosse così, non avremmo messo in piedi e non continueremmo a conservare sistemi politici ed economici di conduzione dell’esistente che continuamente, quasi inevitabilmente, conducono sempre e comunque a situazioni generalizzate che sono marchiate da un ordinario fatto di squallore e, appunto, di orrore.

L’annientamento del nemico

Per questo la guerra rappresenta simbolicamente l’estrema e conseguente sintesi della qualità delle relazioni di potere, perché esprime e manifesta la logica sistemica su cui si fonda la gestione imposta del vivere socialmente.
È la logica di guerra in sé che contiene la propagazione dell’orrore, cioè la distruzione di cose ed esseri viventi, il dilaniamento dei corpi, l’eccidio, il massacro, la tortura dei prigionieri, dal momento che l’orrore e non altro rappresenta il modo di essere e di esprimersi della guerra stessa, il cui fine dichiarato e voluto è l’annientamento del nemico, o sottomesso o annichilito, per esercitare la supremazia totale e incontrastata della dominazione sull’altro.
Chi sceglie la logica di guerra entra perciò in un tunnel terrificante cui, al di là delle sue intenzioni originarie e della sua volontà, non può e non riesce a sottrarsi. Metaforicamente è un’Idra di Lerna, mostruoso essere mitologico a più teste, cui ogni volta che ne veniva recisa una ne assumeva altre due, moltiplicando all’infinito la sua capacità aggressiva e distruttiva.
Con la tecnologia attuale poi è definitivamente tramontato ogni eroismo nel combattimento. Il senso che sta dietro la costruzione delle armi è ormai indirizzato soltanto alla distruzione. Non si producono più strumenti, pur sempre più efferati, concepiti però per sostenere il combattimento, ma armi sempre più potenti che hanno come unico scopo l’efficacia della più completa distruttività.
Il nemico non lo si affronta più, né ci si misura più con lui. Non c’è più bisogno di guardarlo in faccia per vederlo cadere sotto i colpi della propria abilità e destrezza.
Non lo si vede nemmeno. I sensori ne identificano la posizione e, ben protetti, con missili o bombe si colpisce il luogo dove si trova, apportando sul posto colpito il massimo della devastazione che si riesce ad esprimere, in modo da esser sicuri che venga annientato assieme all’ambiente circostante con tutto ciò che vi si trova. Ciò che è considerato efficace non è né la determinazione né il coraggio, ma la supremazia tecnologica che si è in grado di mettere in campo.
Paradossalmente, riusciamo ad identificare qualche traccia di eroismo nei kamikaze, per la scelta che fanno del sacrificio della propria vita, ma i quali in realtà, nel sacrificarsi colpendo indiscriminatamente nel mucchio, commettono una delle più grandi vigliaccherie, perché colpiscono chiunque si trovi alla portata della deflagrazione.
La dimensione guerra è in sé devastante e non può mettere in moto nessuna risoluzione di nessun problema, mentre può solo creare ulteriori problemi ed ampliare quelli che già ci sono. Il tentativo di giustificarla da parte della folta schiera dei guerrafondai democratici di turno si risolve in una menzogna.
Le loro argomentazioni vengono sistematicamente smentite dalle immagini che i loro mass-media ci propinano quotidianamente e dal susseguirsi dei fatti. Non mi è dato di sapere se essi sono effettivamente convinti di ciò che politicamente sostengono e non mi interessa occuparmi della loro buona o cattiva fede.
So invece che la guerra pacificatrice, o la guerra umanitaria, come amano chiamare i loro interventi bellici e a cui sembrano voler ricorrere con sempre maggior frequenza, o il voler imporre la democrazia o attuare azioni di peacekeeping con mezzi militari, con grande sistematicità si risolvono nell’allargamento dei conflitti e in un aumento delle tensioni, che continuano a covare sotto la cenere.
Tutte queste affermazioni, che hanno l’aria di essere soprattutto giustificazioni politicanti per l’opinione pubblica cui sentono di dover rendere conto, nei fatti non sono altro che un ammasso di sonore balle, smentite dai fatti stessi.
Ormai siamo in tanti a dirlo: la guerra, qualsiasi motivazione si porti dietro, alimenta soltanto se stessa e, quando non si risolve in una oppressiva schiacciante e irreversibile vittoria sul nemico, tende per sua natura a dilatarsi, dilatando di conseguenza l’orrore e il terrore.
Se si volesse veramente por fine a questa perversa spirale, che da millenni incombe annullando le nostre aspirazioni di pace, si troverebbe la maniera di neutralizzare ed annullare ciò che permette la sua perpetuazione, cioè le produzioni di armi e di tecnologie belliche ed il militarismo.
Una società che sceglie di far a meno della guerra come strumento di relazione politica non ha bisogno di esercito, non sa che farsene di apparati militari e di continue forniture di strumenti di morte e distruzione sempre più avanzati. Una società che sceglie di dedicarsi al proprio benessere mette insieme i mezzi funzionali a rafforzare le relazioni pacifiche, coltiva e rafforza la solidarietà e la reciprocità, si occupa soprattutto dei bisogni di tutti i suoi componenti approntando strumenti efficaci per aiutare i più deboli.

Basta con la prepotenza militare

Gli anarchici, che sono tali perché vogliono una libertà autentica e per questo propugnano una società fondata sull’autogoverno in assenza di strutture gerarchiche, rispetto a questo problema hanno sempre proposto il rifiuto della logica militarista.
Dicono no agli eserciti, agli apparati militari ed alle strutture di comando, mentre sostengono il principio antiautoritario della gestione collettiva e libertaria di tutto ciò che ci riguarda. Bisogna smettere di produrre armi, di venderle e di usarle, di ragionare in termini di supremazia e di permettere ai pochi, ricchissimi e pieni di potere, che sono riusciti ad avere in mano le sorti di tutti noi di continuare a decidere per tutti e ad imporsi.
I conflitti eventuali, che guarda caso oggi sono sempre generati da interessi economici e politici di parte, non debbono più essere risolti con la prepotenza militare degli stati, perché alla violenza prepotente si resiste e si cerca di rispondere come si può con le armi che si hanno a disposizione, prolungando di conseguenza le guerre verso esiti incontrollabili. Bisognerebbe propagare una pratica di costante ed efficace solidarietà, praticando il dialogo, il confronto e dov’è possibile l’accordo, all’interno di una visione di accettazione e valorizzazione reciproche delle diversità.
Ma per far ciò bisogna crederci e predisporsi a realizzarlo. È evidente che l’aumento e il perfezionamento continui degli apparati bellici di distruzione non possa certamente portare a intraprendere la strada del confronto e della ricerca della reciprocità.
Purtroppo, da sempre, noi anarchici continuano ad essere inascoltati e derisi. Eppure, anche a livello intuitivo, non è difficile capire che se il mondo continua ad esser governato attraverso i sistemi di potere vigenti non potranno che permanere, se non aumentare, il degrado, l’infelicità, la sofferenza, nonché le devastazioni cui assistiamo quotidianamente.
Se proprio non ci si vuole ascoltare perché considerati fuori dalla realtà, almeno si tentassero altre strade ufficiali, che contino veramente, che però, a differenza di ora, siano all’insegna di un mutamento alle radici, chiaro ed evidente, capace di invertire la rotta devastante che il mondo sta percorrendo con sconcertante noncuranza.
Il fatto è, mi sembra, che a livello di senso è difficile identificare altre strade, perché la causa di una tale degenerazione risiede innanzitutto nella voracità di dominare, di possedere e di prevaricare che, con costanza e sempre di più, è la molla che determina le scelte desolanti che distinguono i potenti di turno.
Per quanta buona volontà e buona fede ci possano mettere, i dominatori del mondo, per la natura stessa delle cose che vogliono conservare, debbono, oltre a volerlo, usare strumenti che in qualsiasi maniera portano irrimediabilmente ai risultati che sono sotto i nostri occhi e che non vorremmo.

Andrea Papi