Rivista Anarchica Online


allargamento

Europa! Europa! Europa!
di Francesco Codello

 

L’unificazione europea è un intervento politico-economico e non una ricomposizione sociale.

Questa l’invocazione più “à la page”, quella più “politicamente corretta”, questo il necessario passaporto ideologico per essere credibili nella logica della Politica.
Ma ad un anarchico, per quanto pragmatico, poco ideologico e per nulla dogmatico come il sottoscritto, che cosa interessa l’Europa?
Ma soprattutto che cosa pensa dell’idea di Europa, della sua natura, delle sue radici, del suo futuro?
Domande non facili da soddisfare soprattutto se, appunto, non ci si accontenta di slogan e di pregiudiziali vetero-ideologiche o di affermazioni rassicuranti che spesso servono solo a non vedere e a non capire.
La storia, il tentativo di dare senso ad un continente geografico, riconosce simbolicamente in Atene, Gerusalemme e Roma, le città-cultura della genesi dell’Europa. Democrazia, religione giudaico-cristiana, forza e diritto, sono le radici più profonde di questo continente. Ma queste si sono imposte su altre culture, altre religioni, altre organizzazioni sociali e si sono affermate in virtù della loro forza economica, politica, culturale, simbolica.
All’inizio di questa Europa vi è dunque un atto di imperio totale che, nel corso dei secoli, ha unificato un continente, dapprima con la contrapposizione sud-nord, poi con quella ovest-est, usate come l’altro da sconfiggere, da colonizzare, da penetrare.
Perché altrimenti si parlerebbe oggi di “allargamento” ai nuovi dieci paesi e non si parla di riunificazione?
Mai, in nessun luogo, in nessun tempo, i trattati o le costituzioni hanno creato una comunità, al massimo ne sono stati il risultato giuridico, simbolico, politico.
Infatti quello che vediamo oggi è un intervento politico, economico, ma non certamente una ricomposizione sociale. Non è altro che l’estensione di un modello simbolico, di un’ideologia, ad altri stati che, per ragioni di sopravvivenza, necessitano di questa egemonia.
La costruzione di una “casa comune” dipende dalla possibilità di identificare un uomo europeo, e poi un cittadino europeo. Questa sovrapposizione che la Politica ha fatto e farà (non dimentichiamoci di Turchia, Romania e Bulgaria, e magari della Russia, ecc., ecc.), dimostra esattamente che si tratta di un’operazione egemonica, di un allargamento e non certo di una ricomposizione, come qualche sprovveduto cerca di farci intendere.

Riequilibrio geo-strategico

Questo significa che noi dobbiamo forse osteggiare la caduta dei muri, la scomparsa dei confini, la libera circolazione di merci e persone? Certamente no! Ma dobbiamo, dal mio punto di vista, essere consapevoli che quello che accade fa parte del necessario sviluppo dell’ideologia dominante, è il risultato del superamento dell’idea di stato nazionale a favore di uno Stato europeo, non si tratta certo di una neppure pallida limitazione del Potere.
Quanto avviene e avverrà con un’Europa politica ed economica sempre più ampia, non è che un tentativo di riequilibrio in termini geo-strategici nel mondo industrializzato, un assestamento di poteri e di spazi economici all’interno dell’occidente. Il fine è comunque quello di trovare più energie e risorse, economiche e politiche, ma anche culturali e sociali, per arrivare in tempo utile ad occupare altri spazi e altri margini di mercato e di sviluppo (Cina, sud-est asiatico, Medioriente, Africa del nord in primis).
Detto questo mi pare però indispensabile capire anche che questa Europa è anche un’operazione culturale non di poco conto. Non è più pensabile costruire un impero, senza far leva sulla disponibilità dei sudditi a prestare il loro immaginario a questa operazione. Ecco allora che i chierici del potere, di destra e di sinistra, gli intellettuali euro-scettici e ottimistici, nonostante le sfumature condizionate da interessi di elettorato locale, marciare uniti nell’esaltazione di questa Europa. Così possiamo apprendere che per i liberal-socialisti come Dahrendorf, la nuova costituzione europea segna la composizione di ciò che il 1989 ha finalmente liberato, oppure, come sostiene Prodi, questo traguardo dimostra come l’Europa esporti, in modo pacifico, la democrazia. Oppure come l’Europa sequestrata sia stata vittima degli orrori del ’900 e del secolo dei Lumi, come sostiene Barbara Spinelli, infine come sia difficile scovare ed identificare il baricentro costituzionale in un’Europa così diversificata, ma inevitabile, secondo quanto sostiene Ronchey (tutti sui quotidiani del 1° maggio).
Insomma tutti ad invocare questa nuova dimensione spaziale, per ingigantire, anche simbolicamente, le nuove aspirazioni dei nuovi cittadini del postmoderno Stato europeo. Ma nessuna voce di dissenso, nessuna esplicita preoccupazione, per le sorti degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani, che vivono un’altra realtà. Nessuna rivendicazione di autonomia, di dimensione a portata di controllo individuale, nessuna obiezione allo straripante potere culturale degli europeisti.
Ancora una volta l’incontro tra le persone, la meticizzazione delle diversità, lo scambio diretto e libero, il confronto egualitario tra esperienze e storie diversificate, è sostituito da logiche extra-individuali appaltate, o meglio imposte, a enti, progetti, poteri, simboli, che non favoriscono una maggiore libertà nella diversità.
Dov’è finito il fantomatico federalismo, quello più pulito di Altiero Spinelli, quello più becero di Umberto Bossi?

Europa sociale

Ma esiste un’Europa sociale, un insieme di cittadini che, seppur diversi tra loro, si riconoscano reciprocamente come interlocutori, come possibili partner, che pur abitanti di un continente, cercano, in mille modi onesti e sinceri, di meticizzarsi tra di loro e di mescolarsi con gli altri degli altri continenti, senza volontà egemoniche, ma solo in nome della ricchezza che solo la diversità garantisce?
Questo insieme di uomini e donne, siano essi figli del cristianesimo, dell’illuminismo, dell’ebraismo, o figli di nessuno in particolare, quando sveleranno la nudità del nuovo sovrano?
Occorre sempre più, nel cercare le proprie radici, voler scoprire e accettare che non vi è mai una unica verità, che Socrate è diventato grande perché prima di lui, altri pensieri hanno illuminato gli uomini del tempo e che Voltaire non basta a garantire una vera libertà, occorre anche la spiritualità di Shelley e delle radici libertarie del Romanticismo, che Darwin è stato indispensabile per svelare l’inconsistenza delle teorie creazioniste, ma che senza Kropotkin le sue idee si sarebbero risolte solo nel darwinismo sociale. È indispensabile capire che senza Zenone e i sofisti non si sarebbe potuto pensare un’alternativa alla repubblica degli illuminati di Platone, senza le tragedie greche e quelle di Shakespeare, senza le città medievali e i comuni italiani, le comunità contadine russe, non vi sarebbe questa tensione ideale verso una società degli individui liberi ed autonomi che, ancora una volta, come seme sotto la neve, resiste alle intemperie del dominio e della sopraffazione.
Insomma è nel pluralismo e nella diversità che noi possiamo trovare le vere radici della libertà e dell’uguaglianza sociale, non nella foga identitaria alla quale si sottomettono oggi i popoli europei.
Non nell’esportazione di qualche cosa, non nell’allargamento di ciò che c’è già, ma nella comune ricerca di ciò che ancora non c’è, ma che esiste in potenza dentro ognuno di noi.
Infine essere consapevoli che l’Europa è ciò che è, noi siamo ciò che siamo, anche grazie alla penetrazione, all’assemblamento, al mescolamento che civiltà diverse, non ultima quella islamica, hanno prodotto in secoli e secoli di storia. La nostra debolezza, che deriva dal riconoscimento della nostra precarietà culturale, diventi la nostra forza, la nostra orgogliosa identità, libera da ogni forma di potere, di superiorità, di arroganza

Francesco Codello