Rivista Anarchica Online


lotte sociali

Tranviere “selvaggio”?
di Cosimo Scarinzi

 

Le recenti lotte dei lavoratori dei trasporti hanno aperto un acceso dibattito sulle modalità del conflitto sociale.

Oggi moltissimi cittadini italiani sanno come è andata la vertenza dei ferro-tranvieri. Sanno che il loro contratto è stato violato per due anni, e che ciascuno di loro vantava crediti per migliaia di euro dalla azienda. Sanno anche che i tranvieri, nonostante l’adeguamento strappato dai sindacati (e che non tutti hanno accettato) ricevono uno stipendio molto leggero, non certo al livello della durezza del loro lavoro. Sanno che molte famiglie di tranvieri vivono, magari in quattro persone, con ottocento o mille euro al mese, e la metà – o di più – se ne va per l’affitto. Quindi sono sotto la soglia di povertà, anche se hanno un impiego fisso e di notevole importanza.
Come mai moltissimi italiani, che fino a un mese fa ignoravano tutto sul contratto dei tranvieri, ora lo conoscono così bene? Perché i tranvieri milanesi (e poi di altre città), con un atto sovversivo e illegale, hanno scioperato a gatto selvaggio e paralizzato le città, creando enormi disagi tra la gente.

Piero Sansonetti
«I lavoratori fantasma»
da “l’Unità” del 27 dicembre 2003

Uno degli ultimi scritti di Paul Mattick si intitola Nuovo capitalismo e vecchia lotta di classe e in quel testo l’autore sviluppa la tesi che la crisi dell’economia mista, quella che impropriamente molti definiscono stato sociale, avrebbe determinato un vero e proprio riformismo al contrario consistente nella distruzione delle conquiste e delle garanzie che i lavoratori hanno ottenuto nell’età dell’oro del capitalismo venuta nei decenni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale. Al riformismo al contrario Mattick riteneva che si sarebbe opposta la ripresa della vecchia lotta di classe basata sull’autoattività dei lavoratori non più inquadrabili nelle organizzazioni statalizzate del movimento operaio.
Si tratta, a mio avviso, di una tesi per molti versi unilaterale nel senso che attribuisce all’andamento dei salari e delle garanzie sociali una rilevanza che va, quantomeno, posta in relazione con altri fattori quali l’evolvere delle mentalità, delle culture politiche, delle modalità di organizzazione formale ed informale delle classi subalterne ma continuo a ritenerla, per l’essenziale, tutt’altro che infondata.

Contro la proletarizzazione

Una valutazione, nel pieno del loro svilupparsi, delle recenti lotte dei lavoratori del trasporto urbano e degli aeroporti deve, a mio avviso, porre l’accento su alcune questioni non contingenti che proverò a riassumere:
I lavoratori del trasporto erano, sino a non molto tempo addietro, per la gran parte, una classica aristocrazia operaia. La collocazione in un segmento strategico della riproduzione sociale dava, e, nonostante tutto, da, loro un potere contrattuale tale da permettere l’ottenimento di buoni salari, della garanzia del posto di lavoro, di condizioni di lavoro migliori di altri settori della classe operaia. Si tratta, di norma, di lavoratori ad alto tasso di sindacalizzazione, con una formazione culturale e professionale discreta, caratterizzati da una cultura di gruppo che si trova raramente in altre categorie. Le loro attuali lotte possono, se si tiene conto di queste caratteristiche dei diversi settori di questi lavoratori, essere interpretate come lotte contro la proletarizzazione.

D’altro canto, se non sposiamo una visione apologetica della nascita del movimento operaio, è perfettamente evidente che le prime organizzazioni di classe non sono espressione degli strati più poveri, deboli, sfruttati della classe operaia ma proprio dei settori semiartigiani della forza lavoro che resistono al degrado delle condizioni di vita e di lavoro. Come si è spesso rilevato, la proletarizzazione è un processo straordinariamente doloroso, un sentirsi strappare la pelle di dosso, un perdere autonomia, identità, relazioni sociali. La refrattarietà rispetto a questa dinamica, di regola, non è di tale forza da impedire la proletarizzazione stessa ma ne determina in misura significativa i caratteri, le lotte concorrono a definire cultura, identità, condizioni materiali del nascente nuovo proletariato esattamente come è avvenuto per le vecchie generazioni operaie.
I processi di privatizzazione dei servizi, che non colpiscono solo i trasporti, anzi, sono presentati dall’apologetica dominante come una riduzione dell’invadenza dello stato rispetto alla società civile e come l’attacco a degli intollerabili privilegi che caratterizzerebbero i lavoratori di questi servizi, attacco volto a garantire ai cittadini servizi concorrenziali dal punto di vista dei costi e di migliore qualità. Siamo, con ogni evidenza, di fronte ad una doppia menzogna. In primo luogo, lo stato non solo non si ritira dalla società ma, al contrario, gestisce queste vere e proprie nuove recinzioni al fine di favorire gruppi di potere che si appropriano, sotto costo, di quote di ricchezza sociale accumulata grazie al lavoro ed al denaro dei salariati e, al fine di favorire questo processo, svolge appieno la sua funzione propria, quella di garante dell’ordine sociale mediante, nel caso italiano la cosa è evidentissima, una legislazione antisciopero che, a partire dal 1990, ha disarmato i lavoratori dei servizi a fronte delle operazioni di vera e propria macelleria sociale che hanno vissuto. In secondo luogo, i mitologici ed astratti cittadini, di norma definiti prima come utenti e poi come clienti, hanno visto crescere i costi dei servizi sociali e scadere la loro qualità. Gli stati e gli imprenditori hanno, questo è evidente, utilizzato il rancore di settori di salariati del settore privato contro quelli del settore pubblico, rancore non sempre immotivato se ci riferiamo alla burocrazia statale, per isolare i lavoratori dei servizi ma, come si suol dire, i fatti hanno la testa dura e la massa dei lavoratori si è ben presto resa conto che si continua a viaggiare in carri bestiame, che le linee ferroviarie sono state tagliate, che l’unico «vantaggio» delle privatizzazioni consiste nel pagare prezzi «europei» per servizi pari o peggiori rispetto a prima.

Barbarica bellezza

Con la barbarica bellezza che sempre ha la lotta di classe quando si sviluppa appieno, gli scioperi di dicembre hanno posto all’ordine del giorno alcune questioni radicali:
in primo luogo hanno dimostrato che la legislazione antisciopero funziona solo se a muoversi sono minoranze ma mostra tutta la sua debolezza di fronte allo sciopero di massa. Di slancio i lavoratori dei trasporti hanno praticato, senza studiarla sui sacri testi, l’azione diretta in tutte le sue articolazioni: sciopero, sabotaggio, boicottaggio e lo hanno fatto nella matura consapevolezza che o si faceva così o non si faceva nulla a fronte di un contratto bloccato da due anni, al reiterarsi di scioperi legali inutili, all’impotenza ed alla complicità con la controparte dei sindacati istituzionali;
indubbiamente la mobilitazione si è inserita nel maturare di contraddizioni interne al fronte sindacale, fra sindacati e aziende, fra enti locali e governo centrale ma anche questo non è una novità. I movimenti indipendenti delle classi subalterne non sono eserciti di soldatini schierati con le bandierine al vento ma donne e uomini che colgono, prima confusamente e poi con sempre maggior chiarezza, la possibilità di agire anche grazie alle contraddizioni degli avversari;
la lotta ha visto come soggetti rilevanti i lavoratori con contratto di formazione lavoro, i nuovi iloti prodotti dai processi di precarizzazione imposti dai governi di sinistra e di destra. La divisione fra vecchia generazione ancora retribuita in maniera modesta ma non miserevole e la nuova ridotta alla condizione di nuovi poveri non ha retto e si è ricostituito un fronte unitario che ha posto all’ordine del giorno l’ottenimento, assieme, di salari e diritti;
i sindacati di stato, dalla cui redenzione molti somaroni della sinistra estrema si attendevano grandi cose, hanno fatto esattamente quello che sono tenuti a fare se vogliono mantenere il loro ruolo di partners istituzionali del governo e del padronato e cioè hanno venduto il movimento per un accordo che non riconosce nemmeno quanto previsto dalla, loro, concertazione. Dopo anni di dichiarazioni antigovernative, la CGIL si è riallineata alla CISL ed alla UIL e ha riscoperto il ruolo di sindacato «responsabile».

Partita aperta

La partita è, però, aperta grazie, in primo luogo, alla crescita di consapevolezza dell’ordine delle questioni da parte di molti lavoratori, e non solo del trasporto, ma anche perché nella mobilitazione un ruolo importante lo ha giocato e lo sta giocando il sindacalismo indipendente. Nelle prossime settimane, a partire dallo sciopero del sindacalismo di base del 9 gennaio, il quadro si chiarirà meglio.
Il compito nostro credo sia complesso ma interessante: sostenere la lotta e sviluppare la solidarietà con i lavoratori colpiti da eventuali e probabili sanzioni, favorire il coordinamento fra i diversi segmenti della classe operaia e le forze dell’opposizione sociale, collocare questa vertenza nel quadro generale del conflitto industriale, coglierne appieno il carattere di esperienza fondativa, fra altre, di un nuovo movimento indipendente dei lavoratori.

Cosimo Scarinzi

Scopro con un ritardo di alcune settimane, che almeno mi ha risparmiato uno sbocco d’ira durante le lotte, che Altroconsumo ha richiesto la repressione del movimento degli autoferrotranvieri. Ecco il testo del comunicato dell’associazione rintracciabile all’indirizzo http://www.altroconsumo.it/map/src/40111.htm.
C. S.

Sciopero trasporti a Milano: per Altroconsumo è reato di interruzione del servizio pubblico

Altroconsumo ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano e alla Commisione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali: lo sciopero dei mezzi a Milano è iniziato con tre ore di anticipo rispetto l’orario previsto, paralizzando la città.
Altroconsumo chiede che la Procura della Repubblica apra un’indagine allo scopo di individuare gli organizzatori del blocco non consentito, in relazione al reato di interruzione di pubblico servizio (pene previste da tre a sette anni di reclusione).
Altroconsumo chiede inoltre al Prefetto l’anticipata fine dell’agitazione alle ore 12 anziché, come programmato, alle 15, al fine di compensare, almeno in parte, gli effetti dell’anticipato inizio dello sciopero.
Ancora una volta in occasione di scioperi nei mezzi pubblici di trasporto la legge viene violata. Come più volte denunciato da Altroconsumo, i limiti orari di inizio e fine dell’agitazione non vengono rispettati. Oggi a Milano il blocco dei mezzi è deliberatamente iniziato con tre ore di anticipo (da inizio servizio anziché dalle 8,45), creando enormi disagi agli utenti e ai lavoratori. I mezzi non sono neppure usciti dai depositi a causa di “assemblee spontanee” come pubblicamente proclamato in queste ore.
Altroconsumo inoltre ha già chiesto l’intervento della Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, che dovrà a sua volta sanzionare i responsabili (fino a 25.000 euro a carico di ciascun organizzatore).