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                 Il buon disertore Haek 
                «Faccio rispettosamente notare che da militare 
                  io sono stato riformato per idiozia, e dichiarato ufficialmente 
                  idiota da una commissione straordinaria. Io sono un idiota in 
                  piena regola», così, al superiore che lo redarguisce 
                  o allufficiale di polizia che lo arresta, si presenta, 
                  puntualmente e con disarmante bonomia il buon soldato Scvèik, 
                  lo straordinario protagonista dellomonimo capolavoro dello 
                  scrittore praghese Jaroslav Haek (Il buon soldato Scvèik, 
                  Milano, Feltrinelli, 1961). E in questa sua autocertificazione 
                  di manifesta idiozia, sta tutta la genialità del popolano 
                  intelligente e ironico che, con consapevole e micidiale sarcasmo, 
                  riversa la ben più manifesta idiozia di ogni forma di 
                  autorità sui suoi più ottusi e burocratici rappresentanti. 
                   
                  Scritto al termine della prima guerra mondiale e uscito a puntate 
                  in due volumi, dei quattro previsti se lautore non fosse 
                  morto prematuramente distrutto dai suoi felici stravizi, Il 
                  buon soldato Scvèik narra le esilaranti, grottesche 
                  e paradossali avventure di un modesto cittadino praghese, di 
                  mestiere venditore di cani, tutti forniti di pedigrée 
                  rigorosamente falsi, arruolato a forza, dopo lattentato 
                  di Sarajevo al granduca Ferdinando, nellimperial regio 
                  esercito austroungarico, e mandato a combattere (nel suo caso 
                  si fa per dire, perché Scvèik non sparerà 
                  neanche un colpo) sul fronte russo. Sbattuto inopinatamente 
                  al centro di quellimmane macello che fu la guerra, Scvèik 
                  si districa come può dai legacci della disciplina, divenendo 
                  dapprima lattendente di Otto Katz, cappellano militare 
                  e grandioso avvinazzato (il capitolo nel quale è descritta 
                  una disastrosa messa da campo è senza dubbio una delle 
                  più divertenti pagine dellintera letteratura del 
                  novecento), poi del cinico e disincantato tenente boemo Luka, 
                  il solo, fra tutti gli ufficiali di cui si tratta, che manifesti 
                  un barlume di intelligenza e umanità. E lunica 
                  arma di cui il protagonista dispone, e fa abbondantemente uso, 
                  in unepoca che vede solo nella violenza delle armi lo 
                  strumento per regolare i rapporti fra gli esseri umani, è 
                  quella della ironia, quella del felice sarcasmo, che gli permette 
                  di smontare, con inesorabile lucidità, lo stupido autoritarismo 
                  del mondo militare.  
                  Pacifista per natura, antimilitarista perché altro non 
                  potrebbe essere, furbescamente ingenuo di fronte allautorità, 
                  intimamente e irriducibilmente anarchico nella sua perfetta 
                  incapacità di dare un senso agli ordini e ai comandi 
                  che gli vengono rivolti, pronto a dissacrare tutti gli aspetti 
                  della vita militare riconducendoli continuamente ad aneddoti 
                  e fatterelli senza capo né coda (così come è 
                  senza capo né coda lorganizzazione della macchina 
                  bellica), sempre disposto ad affogare nel piatto e nel bicchiere, 
                  coi suoi stralunati commilitoni, la drammaticità della 
                  situazione, Scvèik riesce a rendere allegramente 
                  surreale una vicenda che di surreale ha solo la sua immane tragicità. 
                  Capovolgendone il senso, infatti, capovolge e restituisce, con 
                  gli interessi, tutta lintrinseca idiozia di quellinsensato 
                  conflitto, così come di ogni altro conflitto, passato, 
                  presente e futuro. E in questo modo lintelligente ironia 
                  per cui vanno famosi i cittadini praghesi coglie un trionfo 
                  definitivo contro ogni velleità di addomesticamento forzato 
                  alle regole del potere e del buon senso comune. E non a caso, 
                  per parecchi anni, il grigio regime cecoslovacco degli anni 
                  cinquanta ne vieterà la pubblicazione.  
                  Del resto, e appare subito evidente leggendone la breve biografia, 
                  in Scvèik cè soprattutto lautoritratto 
                  di Haek. Boemo, bohémien e maledetto, quanto può 
                  essere maledetto uno spirito libero e dissacrante che lotta 
                  per sottrarsi alle soffocanti spire dellimperial regio 
                  «buon governo» di Francesco Giuseppe, Haek 
                  è una delle figure più interessanti e originali 
                  del panorama culturale mitteleuropeo dinizio novecento. 
                  Contemporaneo di Kafka (nasce, infatti, nel 1883), scrittore 
                  originale e fecondo, direttore di numerose riviste letterarie 
                  e (per vivere) anche, inopinatamente, di riviste scientifiche, 
                  abbracciò, negli anni della più matura giovinezza, 
                  le effervescenti idee di emancipazione sociale richiamantesi 
                  allanarchismo, aderendo per parecchi anni al movimento 
                  anarchico ceco. Dadaista, garzone di drogheria, vagabondo, impiegato 
                  di banca, negoziante di cani, candidato politico (trentotto 
                  voti il maggior successo) per limprobabile e canzonatorio 
                  Partito del Progresso Moderato nei Limiti della Legge da lui 
                  fondato, la sua vita fu «unepopea umoristica, un 
                  gioco di contraddizioni, una tela di stravaganze». Formidabile 
                  bevitore, appassionato frequentatore di tutte le più 
                  infime bettole e birrerie della Boemia, la sua libertà 
                  di pensiero e la sua irrequietezza ne fecero sempre un personaggio 
                  imprendibile e incontrollabile, una figura impossibile da classificare 
                  od omologare. E una volta chiamato alle armi, in difesa di un 
                  impero ormai marcescente, diserta consegnandosi ai russi e abbracciando 
                  il bolscevismo (a quanto lui stesso racconta, ma cè 
                  da crederci?), e rientra in patria solo due anni dopo la fine 
                  della guerra. Sono questi, i primi anni venti, gli ultimi della 
                  sua vita felice e dissoluta, quelli che lo vedono, tra una sbornia 
                  e una partita a carte, il felicissimo creatore delluniversale 
                  figura del buon soldato Scvèik.  
                  Potrebbe apparire strano linserimento di questo personaggio 
                  letterario nella galleria di ritratti in piedi che da tempo 
                  appare sulle pagine di questa rivista. E laccostamento 
                  a figure «eroiche» quali Michele Bakunin o Buenaventura 
                  Durruti, Leda Rafanelli o Francisco Magón, potrebbe addirittura 
                  sembrare irriverente. Eppure dietro questo felice, imperturbabile, 
                  inossidabile marmittone, apparentemente incapace di ribellione 
                  e rassegnato a subire gli oltraggi del potere, si nasconde quel 
                  rifiuto istintivo della sopraffazione, dellautorità, 
                  che ha segnato, e continua a segnare, il pensiero libertario 
                  di ogni tempo e di ogni dove. Un rifiuto profondo, slegato e 
                  indipendente da qualsiasi ideologia, un rifiuto che nasce, prima 
                  di tutto, dalla consapevolezza che la propria libertà 
                  nasce nella libertà degli altri. Magari anche al tavolo 
                  dellosteria, in compagnia di una Pilsen e di un 
                  piatto di ottima trippa.  
                  
                  Massimo Ortalli 
                Nota. 
                  Da Il buon soldato Scvèik sono stati tratti 
                  numerosi testi teatrali, famosissimo quello adattato negli anni 
                  cinquanta da Bertolt Brecht. Anche Georg Grosz si ispirò 
                  a questo personaggio per alcune delle sue più note e 
                  feroci caricature del mondo borghese e militare dellepoca. 
                  Nella edizione Feltrinelli sono riportate le originali incisioni 
                  di Josef Lada, capaci di rendere, nella elementarità 
                  del tratto, la profonda semplicità di carattere di questo 
                  nostro «anomalo» personaggio.  
                  In appendice riportiamo anche alcune pagine di La vera storia 
                  e il programma originale del partito del Progresso Moderato 
                  nei Limiti della Legge, Genova, Graphos, 1992 (alcuni brani 
                  di questo libro vennero pubblicati su «Volontà-Penne 
                  allarrabbiata» con il titolo Rivoluzionario nei 
                  limiti della legge, n. 3/4 del 1993 anno 47, pag. 115), 
                  utili per comprendere meglio la parabola esistenziale e la irriverente 
                  carica «sovversiva» di Jaroslav Haek. 
                 
                  
                
                Massacro duomini 
                  nel nome di Dio 
                   di Jaroslav Haek 
                 
                Non cè massacro duomini i cui preparativi 
                  non abbiano avuto luogo nel nome di Dio o ad ogni modo dun 
                  supposto ente supremo che lumanità ha partorito 
                  dalla sua fantasia.  
                  Prima di decapitare un prigioniero di guerra, gli antichi fenici 
                  celebravano un solenne servizio divino simile a quello celebrato 
                  dai loro posteri più giovani di qualche migliaio di anni, 
                  prima dentrare in battaglia e dannientare i loro 
                  nemici col ferro e col fuoco.  
                  Gli antropofagi delle isole della Polinesia e della Nuova Guinea, 
                  prima di divorare solennemente i loro prigionieri di guerra 
                  o la gente che non serve a nulla come i missionari, gli esploratori, 
                  i rappresentanti di commercio o dei semplici curiosi, sacrificano 
                  ai loro dei eseguendo i più svariati riti liturgici, 
                  Poiché il nostro civilissimo costume dei paramenti non 
                  è ancora giunto fra loro, essi adornano i loro fianchi 
                  con ciuffi di piume duccelli selvatici.  
                  La Santa Inquisizione, prima di mandare al rogo le sue vittime, 
                  celebrava la più solenne delle cerimonie religiose, vale 
                  a dire una gran messa cantata.  
                  Allesecuzione dun delinquente assiste dovunque qualche 
                  sacerdote che lo tormenta con la sua presenza.  
                  In Prussia è il pastore che guida il poveraccio sotto 
                  la scure, nellAustria è il prete cattolico che 
                  lo conduce alla forca, come pure in Francia alla ghigliottina. 
                  Allo stesso modo, in America è un sacerdote che laccompagna 
                  alla sedia elettrica, e in Spagna alla garrotta; in Russia è 
                  un pope barbuto che presenzia lesecuzione dei rivoluzionari. 
                   
                  In ogni paese i sacerdoti brandiscono il crocifisso come per 
                  dire: «Ti taglieranno la testa, timpiccheranno, 
                  ti scanneranno, ti faranno attraversare da quindicimila volt, 
                  ma non avrai mai sofferto come Lui.»  
                  Limmane scannatoio della guerra mondiale non avrebbe potuto 
                  agire senza la benedizione ecclesiastica. I cappellani militari 
                  di tutti gli eserciti pregavano e officiavano per la vittoria 
                  del paese di cui mangiavano il pane.  
                  Alle esecuzioni dei soldati ammutinati si poteva vedere un sacerdote, 
                  che non mancava neanche allimpiccagione dei legionari 
                  cèchi caduti in mano degli austriaci.  
                  Nulla era cambiato dallepoca in cui il bandito Adalberto, 
                  che più tardi doveva essere canonizzato, aveva attivamente 
                  concorso, con la spada nella destra e il crocifisso nella sinistra, 
                  al massacro e allannientamento degli slavi baltici.  
                  In tutta Europa gli uomini marciavano come greggi allo scannatoio 
                  dove li conducevano, in una con gli imperatori i re, gli altri 
                  potentati e i generali in grembiule da macellaio, i sacerdoti 
                  di tutte le confessioni che li benedivano e li facevano falsamente 
                  giurare che «in terra, in mare e in aria» ecc. ecc... 
                   
                  La messa si celebrava in due occasioni diverse. Prima quando 
                  un reparto partiva per il fronte, e poi al fronte stesso, in 
                  anticipazione di qualche mischia sanguinosa e di una strage. 
                  Mi ricordo che una volta durante una di queste messe un aeroplano 
                  nemico lasciò cadere una bomba proprio sullaltare 
                  da campo, e del povero cappellano non rimasero altro che dei 
                  miseri resti sanguinolenti.  
                  Allora i giornali lo descrissero come un martire, mentre i nostri 
                  aeroplani preparavano una fine altrettanto gloriosa al cappellano 
                  militare della parte opposta.  
                  Questavventura ci rallegrò moltissimo, e sulla 
                  croce provvisoria piantata sul luogo dove avevano sepolto i 
                  rimasugli del cappellano, apparì nel corso della notte 
                  la seguente epigrafe funeraria: «È a te e non a 
                  noi che hanno fatto la festa. Ci promettevi il cielo come fosse 
                  una pacchia. Tè caduta una tegola dal cielo sulla 
                  testa. Tha schiacciato e non resta che questa macchia». 
                
                  
                Laltare 
                  della ditta ebraica 
                   di Jaroslav Haek 
                 
                Il famoso altare da campo usciva dal laboratorio della ditta 
                  ebraica Mofitz Mahler di Vienna, che fabbricava ogni specie 
                  di oggetti necessari alla messa e articoli di devozione, come 
                  rosari e santini.  
                  Laltare si componeva di tre parti, riccamente addobbate 
                  duna falsa doratura, come ogni pompa ecclesiastica.  
                  Senza una buona dose di fantasia era impossibile rendersi conto 
                  che cosa rappresentassero effettivamente le immagini dipinte 
                  a trittico sopra laltare da campo. La verità è 
                  che quellaltare avrebbe potuto servire abbastanza bene 
                  ai pagani dello Zambesi o agli sciamani dei buriati e dei mongoli. 
                   
                  Decorato con colori sgargianti, da lontano aveva tutto laspetto 
                  duna di quelle tavolette colorate che i medici delle ferrovie 
                  adoprano per scoprire glimpiegati affetti di daltonismo. 
                   
                  Nella massa spiccava una sola figura: un uomo nudo con unaureola, 
                  il corpo verdastro come la pelle dunoca che puzza 
                  e che già si trova in stato di avanzata putrefazione. 
                   
                  A quel santo nessuno faceva nulla di male. Però accanto 
                  a lui si vedevano due creature alate, incaricate di rappresentare 
                  due angeli, e lo spettatore aveva limpressione che il 
                  santuomo tutto nudo nutrisse un grande spavento riguardo 
                  ai due angioli custodi che laccompagnavano. Infatti le 
                  due creature celesti avevan tutta laria di mostri favolosi, 
                  o meglio dun qualcosa dintermedio fra un gatto selvatico 
                  fornito di ali e il drago dellApocalisse.  
                  Il pannello dirimpetto doveva raffigurare la SS. Trinità. 
                  Per ciò che riguarda la colomba, così allingrosso, 
                  il pittore aveva poco da perdere. Aveva dipinto un volatile 
                  incerto, che poteva essere con altrettanta ragione una colomba 
                  che una gallina faraona.  
                  Ma il Padreterno sembrava uno di quei feroci banditi del Far-West, 
                  che amano presentare al nostro pubblico i sanguinari produttori 
                  del film americano.  
                  Il Figliolo era invece un uomo giovane e gaio, con una bella 
                  pancia, e indossava un capo di biancheria che aveva tutta laria 
                  di un paio di mutandine da bagno. Linsieme dava limpressione 
                  di trovarsi dinanzi a uno sportivo, e la sua mano reggeva la 
                  croce con la grazia duna racchetta.  
                  Visto da lontano il complesso si confondeva in una macchia confusa 
                  e faceva leffetto dun treno che arriva alla stazione. 
                   
                  In quanto al terzo pannello, era impossibile raccapezzarsi che 
                  cosa volesse rappresentare.  
                  I soldati ne discutevano sempre e facevano limpossibile 
                  per risolvere quel rebus. Ci fu persino un tale che suppose 
                  che quello fosse un paesaggio della valle della Sásava. 
                   
                  Il fatto è che sotto vi si poteva leggere questiscrizione: 
                  Sancta Maria, Mater Dei, miserere nobis.  
                
                  
                Un gatto intorno 
                  a un piatto di patate 
                   di Jaroslav Haek 
                Per il solito gli serviva la messa un soldato di fanteria, 
                  che aveva preferito passare al genio telegrafisti e che era 
                  stato mandato al fronte.  
                  «Non fa nulla, signor cappellano,» disse Scvèik, 
                  «io posso sostituirlo benissimo.»  
                  «Ma sapete servir messa?»  
                  «Non mi ci son mai provato,» rispose Scvèik, 
                  «ma bisogna provarsi a fare di tutto. Siamo in guerra 
                  ed ora la gente fa delle cose che prima non gli sarebbero neppure 
                  passate per il capo. Sarò sempre capace di ribattere 
                  con un et cum spirito tuo il vostro Dominus vobiscum. 
                  E poi quale difficoltà cè a girare intorno 
                  a voi come un gatto intorno a un bel piatto fumante di patate? 
                  Oppure lavarvi le mani e versarvi il vino dal calice...» 
                   
                  «Bene,» disse il cappellano, «basta che non 
                  mi versiate dellacqua. È meglio che mi versiate 
                  un po di vino anche dal secondo calice. Per il resto vi 
                  dirò tutto io, se dovrete girare a destra o a sinistra. 
                  Se farò adagio un sol fischio, vorrà dire a destra, 
                  se ne farò due, a sinistra. In quanto al messale non 
                  cè bisogno che vi diate troppa pena. Tutto il resto 
                  è un giochetto. Avete paura?»  
                  «Io non ho paura di nulla, signor cappellano, neppure 
                  di servir messa.»  
                  Il cappellano aveva ragione a dichiarare che tutto il resto 
                  non era che un giochetto.  
                  Tutto filò come per incanto. Lallocuzione del cappellano 
                  fu estremamente concisa.  
                  «Soldati! Vi abbiamo radunati qui perché prima 
                  di partire per il fronte rivolgiate i vostri cuori a Dio, onde 
                  ci dia la vittoria e ci mantenga in salute. Io non voglio trattenervi 
                  troppo e vi faccio i miei migliori auguri.»  
                  «Riposo» comandò il vecchio colonnello dal 
                  battaglione di sinistra.  
                  La messa da campo si chiama cosi appunto perché è 
                  sottomessa alle leggi della strategia come una campagna di guerra. 
                  Durante le lunghe battaglie manovrate della guerra dei trentanni, 
                  anche le messe da campo durarono in proporzione.  
                  In accordo alla tattica moderna, che vuole rapidi e agili movimenti 
                  degli eserciti, anche le messe da campo devono avere unagilità 
                  e una rapidità equivalente.  
                  Questa durò dieci minuti esatti, e i soldati che eran 
                  vicini allaltare si stupirono grandemente a sentire che 
                  il cappellano fischiava durante la messa.  
                  Scvèik eseguiva rapidamente i segnali, volteggiando 
                  ora a destra ed ora a sinistra, senza dir altro che et cum 
                  spirito tuo.  
                  Tutto questo armeggio aveva laria duna danza indiana 
                  intorno alla pietra del sacrificio, ma aveva questo di buono, 
                  che dissipava il tedio ispirato nellanima dei soldati 
                  da quella triste e polverosa piazza darmi, mal alberata, 
                  piena di latrine che sostituivano col loro sentore il mistico 
                  aroma dincenso delle cattedrali gotiche.  
                  Tutti quanti si divertivano come matti. Gli ufficiali che facevan 
                  cerchio intorno al colonnello si raccontavano delle storielle 
                  allegre. Tutto procedeva in ordine, e ogni tanto si sentiva 
                  qualcuno della truppa che diceva: «Fammi tirare una boccata.» 
                   
                  E come il fumo dun rogo consacrato salivano su dalle bocche 
                  verso il cielo le nuvole azzurre delle sigarette. Tutti quanti 
                  i gradi si eran messi a fumare fin da quando avevan veduto che 
                  il signor colonnello aveva acceso un sigaro.  
                  Quando echeggiò il comando «Pregate!» il 
                  polverone turbinò e il pittoresco quadrato delle uniformi 
                  si genuflesse dinanzi alla coppa sportiva del sottotenente Witinger, 
                  vinta da lui nella corsa da Vienna a Moedling organizzata dal 
                  «Favorito dello Sport».  
                  Il calice era ricolmo, e il giudizio generale provocato dalla 
                  manipolazione del cappellano fu espresso nella seguente frase, 
                  che corse subito nelle file: «Che garganella!» La 
                  manovra fu messa in esecuzione una seconda volta. Al che segui 
                  un altro comando di «Pregate,» mentre la musica 
                  attaccò insieme louverture e il finale del Dio 
                  proteggi la patria.  
                
                  
                Alle latrine 
                  inquadrati 
                  di Jaroslav Haek 
                 
                Al mattino la tradotta si trovava ancora in stazione, venne 
                  sonata la sveglia, i soldati si lavarono presso le pompe versandosi 
                  addosso acqua dalla gavette, il generale, con tutto il suo treno, 
                  non era ancora partito, ed andò ad ispezionare personalmente 
                  le latrine, dove le truppe si recavano, secondo lordine 
                  del giorno impartito dal capitano Ságner allintero 
                  battaglione, «Schwarmweise unter Kommando der Schwarmkommandanten,»* 
                  affinché il signor maggior generale potesse essere contento. 
                  Affinché, daltro canto, avesse la sua parte di 
                  gioia pure il sottotenente Dub, il capitano Ságner gli 
                  comunicò che per quel giorno sarebbe toccato a lui di 
                  essere di ispezione.  
                  Il sottotenente Dub, pertanto, esercitò la sua sorveglianza 
                  sulle latrine.  
                  La vasta e lunga latrina a duplice fila era capace di accogliere 
                  due squadre di una compagnia.  
                  Ed ora i soldati, luno accanto allaltro, se ne stavano 
                  accoccolati bellamente sulle fosse aperte, come rondini sui 
                  fili telegrafici, allorché, sul far dellautunno, 
                  si apprestano a partire per lAfrica.  
                  Ad ognuno sporgevano fuori dai pantaloni abbassati le ginocchia, 
                  e ciascuno teneva la cinghia attorno al collo, come se da un 
                  momento allaltro avesse dovuto impiccarsi e non aspettasse 
                  altro che un ordine.  
                  Naturalmente in tutta quella scena si vedeva la ferrea disciplina 
                  militare, lo spirito di organizzazione.  
                  Allala sinistra si trovava Scvèik, il quale 
                  sera intrufolato anche lui in quel gruppo, e stava leggendo 
                  con grande interesse un pezzetto di carta, strappato da chi 
                  sa quale romanzo di Ruzena Jesenská:  
                ...ui pensionato purtroppo le signore  
                  o indefinito, reale forse di più  
                  la maggioranza in se chiuse perd  
                  i menu alle loro camere, oppure si  
                  molteplici divertimenti. E se spargevano t  
                  andava luomo solo ed unicamente tristezza  
                  migliorava, perché non voleva con tanto  
                  successo  
                  zionare, come loro avrebbero desiderato.  
                  non era niente per il giovane Kricka.  
                Quando sollevò gli occhi dal foglio strappato, dette 
                  automaticamente unocchiata alluscita della latrina 
                  ed allibì. Scorse il maggior generale del giorno prima, 
                  in pompa magna, insieme col suo aiutante; accanto a loro cera 
                  il sottotenente Dub, il quale stava spiegando loro qualcosa 
                  con aria zelante.  
                  Scvèik si guardò attorno. Tutti quanti continuavano 
                  a stare tranquillamente accucciati sulla latrina, e solamente 
                  i graduati si erano in un certo qual modo irrigiditi e non riuscivano 
                  più a muoversi.  
                  Scvèik senti tutta la serietà della situazione. 
                   
                  Balzò su come si trovava, coi pantaloni abbassati, con 
                  la cinghia attorno al collo, dopo aver ancora adoperato, allultimo 
                  momento, il pezzetto di carta che aveva in mano, e subito esclamò: 
                  «Einstellen! Auf! Habtacht! Rechtsschaut».** E, 
                  dicendo questo, fece il suo bravo saluto. Due squadre coi pantaloni 
                  abbassati e con le cinghie attorno al collo si alzarono sulla 
                  latrina.  
                * In tedesco nel testo: A squadre, sotto il comando dei 
                  comandanti di squadra».  
                  ** In tedesco nel testo: Smettere! In piedi! Attentil 
                  Attenti a destr!  
                Brani tratti da: Jaroslav Haek, Il buon soldato Scvèik, 
                  Feltrinelli, Milano, 1988. 
                
                  
                Il progresso 
                  è unarma 
                  a doppio taglio 
                   di Jaroslav Haek 
                Deve essere un partito progressista, perché la voce 
                  del popolo, che avete appena udito barcollare presso la porta, 
                  ha invocato il progresso. Ma, amici, prima di tutto dobbiamo 
                  chiederci: quale progresso? Perché, per usare le parole 
                  di Albin Braf, di progressi ce ne sono tanti. Non cè 
                  dubbio: il progresso ha un avvenire, ma dobbiamo sapere di che 
                  progresso parliamo.  
                  Quando qualcuno lascia la chiesa, per esempio, è un progresso; 
                  ma quando subito dopo lo condannano a un mese di galera per 
                  furto di tubi da birra* e poi lo mandano al soggiorno obbligato 
                  nel villaggio dorigine, dove tutti lo conoscono, amici, 
                  mano sul cuore, questo è un passo indietro. Il progresso 
                  è unarma a doppio taglio, come la birra. Uno ci 
                  si butta a corpo morto e non sa quando smettere. Guardiamoci 
                  un po intorno, e vedremo come per esempio il progresso 
                  del «Libero pensiero»** porta la gente in prigione 
                  per inavvedutezza, mentre una persona veramente progressista 
                  e priva di pregiudizi può coltivare nelle chiese di tutte 
                  le confessioni il proprio progresso, nel silenzio e magari con 
                  laccompagnamento di musica per organo. Su di noi vegliano 
                  giuste leggi e uffici di polizia senza la cui protezione neanche 
                  un capello ci cade di testa, e ciò rappresenta progresso. 
                   
                  Se poi guardiamo altrove, per esempio alla Cina, dove gli organi 
                  di polizia mozzano la testa alla gente, dobbiamo riconoscere 
                  da soli quale progresso regni da noi. E perciò prudenza 
                  con questo progresso. Partito progressista, sì, ma solo 
                  una persona esperta sa fino a dove può arrivare quel 
                  progresso.  
                  Conoscevo una vedova, certa Zelenkova. Si fece incantare da 
                  un avviso economico nel giornale e comprò una coppia 
                  di maiali di razza yorkshire, perché nel giornale cera 
                  scritto che i maiali yorkshire sono un progresso nei confronti 
                  di quelli cechi.  
                  Dopo un anno scrisse alla redazione di quel giornale, protestando 
                  che una scrofa ceca una volta aveva avuto sedici porcellini, 
                  ma che questa scrofa progressista gliene aveva fatti a malapena 
                  sei. Allora, amici, che non vada a finire così anche 
                  per noi...  
                 
                * Si tratta dei tubi posti tra le botti della birra e la spina, 
                  che erano di materiale pregiato.  
                  ** Giornale dellepoca.  
                
                  
                «Sbattei la porta» 
                  di Jaroslav Haek 
                 
                Quel che furono nella rivoluzione francese i giacobini più 
                  radicali era Mahen* nella nostra società. Era intransigente, 
                  perché nessuno mai si arrabbiava con lui. Era crudele, 
                  perché non aveva mai occasione di fare del male a qualcuno. 
                  Inoltre, studiava alla facoltà di lettere e filosofia. 
                  Pensava grandi cose di se stesso, ma noi non pensavamo nulla 
                  di lui. Così alla fine smise di pensare alcunché 
                  di se stesso, e fu la sua fortuna; diventò un anarchico 
                  etico. Diventò anarchico come lo diventano i diciassettenni 
                  dei ginnasi, che formano gruppi segreti per aver modo di ritrovarsi 
                  in qualche osteria; un anarchico così era, un tempo, 
                  anche Mahen.  
                  Josef Mach**, un tempo, fu anarchico. E anarchico sono stato 
                  anchio, e ringrazio qui il consigliere di polizia Petrasek 
                  di Vinohrady per avermene dissuaso.  
                  Fu prima dellultima visita di Sua Maestà a Praga, 
                  quando ero redattore del foglio anarchico «La Comune». 
                  Fui chiamato al commissariato di polizia di Vinohrady e il defunto 
                  consigliere Petrasek***, di cui conoscevo il figlio, dandomi 
                  dei colpetti sulla spalla e stringendomi calorosamente la mano 
                  mi disse queste parole veramente paterne: «Caro amico, 
                  ricordatevi: la polizia di Vienna vi tiene in evidenza nellelenco 
                  degli anarchici».  
                  «Ma scusate, signor consigliere, la polizia di Praga, 
                  forse».  
                  «Di Praga e di Vienna, caro amico».  
                  «E quella di Brno, signor consigliere?».  
                  «Quella di Brno non è polizia di Stato, caro amico». 
                   
                  «Allora mi trasferisco a Brno, signor consigliere». 
                   
                  «Voi non vi trasferite a Brno, voi restate a Vinohrady, 
                  come ci resto io».  
                  «E scusate, signor consigliere, uno non può essere 
                  anarchico?».  
                  «E perché mai non potrebbe essere anarchico?  
                  rispose il consigliere di polizia  Solo che poi ci sono 
                  delle noie. Siete giovane, e sarebbe veramente un peccato per 
                  voi. Tutto questo lho passato anchio. Ero anchio 
                  tutto hrrr... Una volta dissi a un mio superiore: Ma permettete, 
                  e sbattei la porta. Ma io non la volevo sbattere, mi si era 
                  solo impigliata la tasca del cappotto nella maniglia mentre 
                  lui mi buttava fuori. E quando arrivai nella mia stanza alla 
                  vecchia direzione di polizia, riflettei su quel che avevo fatto. 
                  Sono andato dal capo, lho pregato di scusarmi e quellanarchia 
                  era come se mi fosse caduta di dosso. Ora siete nella Comune, 
                  giovane amico». Si alzò e mi carezzò i capelli. 
                  «Fatevi convincere, amico mio. Avete una madre, una brava 
                  moglie, avete un fratello che aspetta un posto nella banca Slavia, 
                  mettetevi coi «giovani cechi». Toglietevi dalla 
                  testa la benzina e la dinamite, non vi fa onore, e se volete 
                  un partito che grida forte, mettetevi con i nazionalsociali. 
                  E se proprio avete idee rivoluzionarie, mettetevi coi socialdemocratici. 
                  Loro vogliono il suffragio universale, ma noi non glielo daremo. 
                  Solo, toglietevi dalla testa le bombe. Guardate dove vi pare, 
                  vedete che ci deve essere ordine. Così è in tutta 
                  la vita politica. Guardate me, io sono un uomo anziano, ne ho 
                  fatte parecchie, ma gridare Ammazzo il re!, questo 
                  non è mai successo». Sorrise e disse: «Tranne 
                  così, giocando a ventuno e allora io con venti tiravo 
                  giù ancora un re mentre tenevo il banco, e gridavo Ammazzo 
                  il re!, perché avevo ventidue». Mi accarezzò 
                  nuovamente i capelli, e disse: «Fatevi convincere finalmente. 
                  Lasciate questo giornale anarchico «La Comune», 
                  passate a un altro giornale politico, se proprio non potete 
                  fare a meno della politica. E ora potete andare».  
                  Così uscii da «La Comune», fondai il Partito 
                  del Progresso Moderato nei Limiti della Legge e diventai redattore 
                  della rivista «Il mondo degli animali».  
                * Jiri Mahen (Antonin Vancura, 1882-1939), poeta, amico e collaboratore 
                  di Haek.  
                  ** Josef Mach (1883-1951), poeta, compose un inno per il Partito 
                  del Progresso Moderato nei Limiti della Legge.  
                  *** Il colloquio forse è autentico e risale al 1907, 
                  quando Haek fu condannato a un mese di carcere per «lesioni 
                  gravi alla persona» e «sobillazione contro la polizia». 
                 
                Brani tratti da: Jaroslav Haek, La vera storia e il 
                  programma originale del Partito del Progesso Moderato nei Limiti 
                  della Legge, Graphos, Genova, 1992. 
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