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                 Da qualche anno, propugnato con 
                  forza soprattutto dai Social Forum di tutto il mondo, ha preso 
                  piede una nuova teorizzazione, non antagonista alle democrazie 
                  vigenti, di nuove forme di democrazia, che nelle intenzioni 
                  aspirerebbe a realizzare una diffusa situazione sociale non 
                  liberista ed anticapitalista.  
                  Da chi lha concepita questa nuova opzione teorica è 
                  stata denominata democrazia partecipativa, con lo scopo 
                  precipuo di distinguerla dalla vigente democrazia rappresentativa. 
                  La denominazione non è casuale, ma meditata, in quanto 
                  intende sottolineare, fin dallatto della propria definizione, 
                  che il carattere specifico che la distingue è appunto 
                  la partecipazione. Di chi? È ovvio! Degli stessi che 
                  eleggono i rappresentanti di quella rappresentativa, cioè 
                  i cittadini componenti la società di riferimento. Oggi 
                  non è più in uso, giustamente, parlare genericamente 
                  di popolo, termine ambiguo ed ormai obsoleto, che riconduce 
                  ad unatmosfera risorgimentale velata di romanticismo, 
                  e che, oltre ad assemblare gli individui di un determinato territorio 
                  nazionale, comprende anche le loro specifiche caratteristiche 
                  culturali e le loro specifiche tradizioni. Oggi, epoca di globalizzazione 
                  e di continue contaminazioni culturali, si parla di società, 
                  che con più pertinenza inerisce ai componenti, tutti 
                  indipendentemente dalle diverse tradizioni, di un determinato 
                  contesto territoriale.  
                  
                  Alcuni punti imprescindibili  
                 
                Prima però di addentrarmi in una breve analisi sul senso 
                  di questa neoproposta teorica, mi preme sottolineare alcuni 
                  punti che ritengo imprescindibili e altamente significativi, 
                  comprensivi del senso del concetto generale della democrazia. 
                   
                  Più che come un valore, la democrazia va intesa come 
                  un principio che indica una modalità di gestione dellinsieme 
                  sociale di riferimento. E ci dice che il potere, che è 
                  la possibilità e la volontà di decidere che investe 
                  linsieme dei cittadini, oltre a riguardare tutti, soprattutto 
                  appartiene a tutti indifferentemente. Demos, cioè 
                  popolo, e kratos, cioè potere: secondo letimologia 
                  letterale, potere del popolo. Una delle tre forme possibili 
                  di governo secondo la classica tripartizione aristotelica, costituita 
                  da monarchia, o il governo di uno solo, oligarchia, o il governo 
                  di pochi, e democrazia, che per Platone corrisponde al governo 
                  dei più o della moltitudine. Geneticamente quindi lipotesi 
                  democratica ha preso origine dallidea di un potere esercitato 
                  attraverso un governo direttamente gestito dal popolo. Per esserci 
                  democrazia allora, in qualche modo, le forme procedurali del 
                  suo esercizio devono, e sottolineo devono, comprendere linsieme 
                  degli individui componenti lassetto sociale. Se ciò 
                  non sussiste, almeno secondo il significato originario che ancora 
                  le è riconosciuto, non si tratta di democrazia, ma di 
                  unaltra forma di kratos.  
                  La democrazia dunque si definisce e si qualifica per il tipo 
                  e per la qualità della gestionalità messa in campo, 
                  la quale, indipendentemente dalle forme procedurali prescelte, 
                  deve comunque essere esercitata dallinsieme societario. 
                  Appare evidente che, affinché si possa compiere, ha necessità 
                  strutturale della partecipazione di coloro che la devono attuare, 
                  i quali, come abbiamo visto per definizione, sono i componenti 
                  dellinsieme societario. La partecipazione così 
                  è un elemento indispensabile già compreso nella 
                  realizzazione e nel concetto originario. A livello di definizione 
                  perciò non potrebbe esistere una specifica democrazia 
                  partecipativa distinta da altre forme di essa, in quanto, a 
                  rigor di logica, non può che essere sempre partecipata, 
                  altrimenti non può che essere qualcosa daltro. 
                  Anche nella democrazia rappresentativa, infatti, che per scelta 
                  ha eliminato la partecipazione diretta con la prevalenza della 
                  delega di potere, paradossalmente la partecipazione si esercita 
                  attraverso il voto. Ciò che distingue la tipologia democratica 
                  non è dunque la partecipazione o meno, bensì il 
                  tipo di decisionalità, perché, comunque intesa, 
                  per poter esserci ed esser definita tale, presume sempre da 
                  un minimo ad un massimo di partecipazione al meccanismo decisionale. 
                  Se ha dunque senso parlare di democrazia rappresentativa e allinverso 
                  di democrazia diretta, ne ha invece molto meno sostenerne come 
                  nuova una che si qualifichi come partecipativa, in quanto qualsiasi 
                  democrazia non può che essere sempre partecipata.  
                  Poi, a ben pensarci, partecipare esprime un concetto neutro, 
                  quindi contiene una valenza ambigua. Si partecipa infatti a 
                  qualcosa che è già fatto e definito e partecipandovi 
                  non lo si muta, al limite lo si può sia arricchire che 
                  impoverire. La partecipazione non può essere una qualificazione 
                  capace di attribuire un senso, in quanto non ha le caratteristiche 
                  per distinguere. Si può infatti essere partecipi indifferentemente 
                  sia ad un governo di destra che ad uno di sinistra, come ad 
                  una situazione libertaria, oppure ancora ad una caotica. La 
                  partecipazione cioè si esplica con una qualità 
                  ed unintensità diverse, a seconda del fine contenuto 
                  nel tipo di democrazia cui deve render conto. Alla fin fine 
                  indica soltanto una qual certa connivenza, non un dato qualificante. 
                   
                  Chiariti questi concetti di base, cerchiamo ora di comprendere, 
                  dal punto di vista della qualità politica, che cosa vuole 
                  e che cosa propone questa autodefinentesi democrazia partecipativa. 
                 
                  
                  Scissione tra economico e politico  
                 
                Una prima cosa che mi sembra di notare è che si dichiara 
                  e tenta di porsi come alternativa al sistema capitalista, quindi 
                  alla struttura economica complessiva, ma nientaffatto 
                  al sistema politico storicamente determinatosi che questa esprime, 
                  la democrazia rappresentativa. Presuppone quindi a priori una 
                  scissione netta tra la considerazione delleconomico e 
                  quella del politico, evidentemente ritenendo che luno 
                  non sia conseguenza dellaltro e viceversa. Una simile 
                  considerazione rischia di essere un assioma se non viene supportata 
                  da unadeguata dimostrazione, come a tutti gli effetti 
                  mi sembra che non ci sia. Ponendosi come un fondamento dato 
                  per scontato, corre pure il rischio di scadere in una nuova 
                  forma didealismo che si ammanta di pragmatismo.  
                  Mi vien da dire che si tratta di un residuo della vecchia sinistra 
                  marxisteggiante, che rispolvera, non spetta a me dire se più 
                  o meno volontariamente, la classica divisione dottrinale tra 
                  struttura e sovrastruttura, dove la struttura è quella 
                  economica, mentre lambito del politico è considerato 
                  sovrastrutturale. Sempre secondo dottrina, ne consegue che lambito 
                  politico è essenzialmente strumentale alla conservazione 
                  della struttura, mentre può potenzialmente diventare 
                  funzionale al suo superamento, come pure alla messa in opera 
                  di una struttura alternativa. Secondo Marx la sovrastruttura 
                  statuale della borghesia era uno strumento utilizzabile dal 
                  proletariato vittorioso, al fine di gestirlo transitoriamente 
                  fino allavvento del comunismo. Fu questa visione a dare 
                  a Lenin lidea della presa del potere e dellinstaurazione 
                  dello stato socialista gestito dal partito unico. Non credo 
                  ci sia bisogno di dilungarmi in una trattazione argomentativa 
                  per sottolineare i danni cui ha portato un simile fondamento 
                  teorico. Riprenderne perciò il senso, sebbene non pari 
                  pari ma adeguatamente aggiornato, a mio avviso vuol dire intestardirsi 
                  più per un atto di attaccamento fideistico che per una 
                  vera consapevolezza sulla coerenza del da farsi.  
                  La democrazia partecipativa però, che teoricamente continua 
                  a fondarsi sullassunzione della prevalenza delleconomico 
                  sul politico, a differenza dei marxismi cui eravamo abituati, 
                  non si pone direttamente il problema della presa del potere, 
                  né ovviamente attraverso unespropriazione rivoluzionaria, 
                  né attraverso luso elettorale per la conquista 
                  socialdemocratica del governo. Sempre allinterno della 
                  stessa dimensione analitica ipotizza unaltra strada, più 
                  vicina allipotesi socialdemocratica che a quella rivoluzionaria, 
                  in quanto ipotizza unoccupazione sistematica dello spazio 
                  politico ai fini di condizionare leconomico.  
                  Il campo di battaglia sono gli enti locali (comuni, province, 
                  regioni) e la strategia politica è la costruzione dei 
                  Nuovi Municipi. Nuovi per modo di dire, in quanto la formazione 
                  dei consigli e dei governi locali continua ad essere esattamente 
                  quella vigente. La novità supposta non sta in una strutturazione 
                  di riferimento diversa ed effettivamente innovativa, bensì 
                  nellincentivazione della creazione di organismi di base, 
                  composti da associazioni, sindacati, comitati, collettivi gruppi 
                  di lavoro volontari, ecc., che debbono trovare un ambito specifico 
                  in cui potersi confrontare e deliberare. In tal senso Alberto 
                  Magnaghi è estremamente chiaro: «Noi abbiamo bisogno 
                  di un processo partecipativo attraverso il quale, mobilitando 
                  energie locali innovative, il nuovo municipio sia in grado di 
                  decidere il futuro socioeconomico dei luoghi» (1). Successivamente 
                  chiarisce che si tratta del passaggio da «
forme 
                  consultive di partecipazione a istituti di co-decisione nel 
                  governo locale  democrazia deliberativa con i cittadini 
                  
» (2), sostenendo al contempo, consapevole, 
                  che lorganizzazione e la definizione delle regole di questo 
                  processo non può che essere sperimentale e specifica 
                  per ogni contesto.  
                  
                  Indagando le modalità pratiche  
                 
                La teoria partecipativa della democrazia ha origine in Brasile, 
                  dove ha preso forma da alcuni anni e continua ad essere sperimentata, 
                  in particolare nellormai simbolica Porto Alegre, che ne 
                  è diventato il centro irradiatore. I social forum di 
                  tutto il mondo, che erano alla ricerca di nuove forme di rappresentanza 
                  capaci di diventare modello per sé e per il mondo intero, 
                  una volta entrativi in contatto se ne sono innamorati e lhanno 
                  fatta propria. Ma è proprio indagando nelle modalità 
                  pratiche di funzionamento brasiliane che i suoi limiti insiti 
                  saltano evidenti.  
                  È sorta come ipotesi di coniugazione tra forma rappresentativa 
                  e forma diretta allinterno della partecipazione democratica, 
                  evidentemente non considerandole contrapposte. Lipotesi 
                  è quella di creare a latere spazi strutturali assegnati 
                  alla partecipazione diretta, accanto e di supporto a quelli 
                  istituzionali, che abbiano la forza e la possibilità 
                  di premere, incidere e condizionare la capacità decisionale 
                  degli organismi ufficiali, i quali in tal modo non vengono messi 
                  in discussione, mentre allo stesso tempo trovano unulteriore 
                  legittimazione. Come sostiene sempre Magnaghi: «
 
                  dei «costituenti locali» che affrontino il problema 
                  concreto dellattivizzazione di istituti di democrazia 
                  intermedia, che affianchino e trasformino gli istituti di democrazia 
                  delegata in profonda crisi» (3). Cè qui evidente 
                  la consapevolezza che la democrazia rappresentativa ha sempre 
                  più il fiato corto, che sia appunto «
 in 
                  profonda crisi», che da sola a lungo andare non può 
                  farcela. Allora, da buoni riformisti, invece di porsi il problema 
                  di come dare il colpo di grazia delegittimandola, come invece 
                  per esempio avrebbe fatto un rivoluzionario, si sono posti quello 
                  di come salvarla ed hanno messo in piedi le stampelle per tentare 
                  di non farla crollare.  
                  Ma quale relazione sussiste tra le due componenti? Nessuna formalizzazione. 
                  Nessuna di tipo strutturale, se non il riconoscimento ufficiale 
                  che esistono luoghi e momenti di deliberazione diretta, senza 
                  nessun potere decisionale, che però hanno la possibilità, 
                  volendo, di incidere sulle decisioni degli organismi istituzionali. 
                  Lo sguardo di Paolo Cacciari, assessore al comune di Venezia 
                  che ha potuto assistere in prima persona al loro funzionamento 
                  a Porto Alegre, trae queste considerazioni: «Partire dallidea 
                  dellassoluta autonomia (anche formale) della rappresentanza 
                  popolare da quella istituzionale, ma anche della sua volontà 
                  e possibilità dincidenza sulle decisioni amministrative
 
                  emersione di una società civile che sappia autonomamente 
                  autorappresentarsi
 e imporsi di fatto e di diritto, allinterno 
                  dei processi di decisione
 del governo locale che, volendo 
                  o subendo, cede sovranità ad istanze di autoespressione 
                  popolare» (4). Come appare evidente, il significato e 
                  limpatto sono soprattutto simbolici, dal momento che l«autorappresentazione» 
                  popolare nella realtà dei fatti svolge, quando ci riesce 
                  e per «bontà loro», unicamente il ruolo di 
                  pressione e di incidenza nei confronti dei poteri costituiti. 
                 
                  
                  Lesperienza brasiliana  
                 
                Il presupposto su cui si fonda lesperienza brasiliana 
                  è quello dellascolto degli organismi popolari (cè 
                  da chiedersi quanto spontanei) da parte dei poteri costituiti. 
                  La partecipazione è soprattutto concepita come un modo 
                  di gestire lo stato tentando di relazionarsi continuamente con 
                  gli abitanti, un «esercizio continuo di tolleranza» 
                  per i rappresentanti istituzionali, come sostiene Iria Charão, 
                  assessore dello stato di Rio Grande do Sul. Interessante in 
                  proposito lesperienza del bilancio partecipativo. 
                  Questi altro non è che una specie di verifica popolare 
                  del bilancio di spesa pubblica. Gli organismi istituzionali, 
                  come in qualsiasi altra parte del mondo, fanno il loro bravo 
                  bilancio e, prima di approvarlo definitivamente, sottopongono 
                  le scelte dei grandi investimenti alla consultazione degli organismi 
                  di partecipazione. In base alla loro sensibilità e disponibilità 
                  decideranno poi se tener conto dei suggerimenti che ne potrebbero 
                  scaturire. È uno spazio di dialogo per discutere, non 
                  per decidere, insieme agli abitanti sulle trasformazioni importanti 
                  del territorio che riguardano tutti.  
                  Sempre Iria Charão, che vive in pieno questesperienza, 
                  fa una considerazione illuminante: «Lesistenza di 
                  una partecipazione deliberativa è un progetto 
                  politico, visto che, formalmente, questi istituti partecipativi 
                  non potrebbero avere che un potere consultivo: sta al patto 
                  donore tra istituzioni e cittadini renderli realmente 
                  dei «centri di deliberazione», le cui decisioni 
                  abbiano valore vincolante
» (5). Ci rivela il nesso 
                  fondamentale e verace che definisce il senso politico della 
                  relazione istituita tra democrazia rappresentativa e democrazia 
                  diretta. Nessun nesso strutturale, perché formalmente 
                  inesistente e, forse, impossibile, bensì al suo posto 
                  un patto donore, tacito e vincolante solo moralmente, 
                  non definito giuridicamente allinterno di una cultura 
                  politica dove tutto deve passare attraverso la formalizzazione 
                  dei rapporti e degli istituti. Ciò vuol dire che il vero 
                  ed unico potere decisionale, consapevolmente, continua a risiedere 
                  esclusivamente nella struttura istituzionale di sempre e che, 
                  di conseguenza, la tanto sbandierata partecipazione non può 
                  che risolversi in un supporto delle decisioni istituzionali. 
                  Mi sembra a tutti gli effetti che il piatto della bilancia sia 
                  decisamente spostato tutto dalla parte del potere di sempre 
                  e che la partecipazione, in realtà mera consultazione, 
                  sia solo una finzione, nei fatti funzionale non agli organismi 
                  popolari ma alle strutture del potere della rappresentatività 
                  democratica, unica vera legittima.  
                  Non abbiamo dunque la costruzione di organismi e strutture che 
                  si pongano decisamente in modo altro, finalizzate a tentare 
                  di mettere in piedi il governo alternativo della città 
                  gestito dai cittadini stessi. Le strutture e gli organismi decisionali, 
                  invece, sono sempre quelli vigenti, eletti con le stesse identiche 
                  procedure partitocratiche e clientelari. La differenza risiede 
                  nellipotesi di riuscire a mettere in piedi organismi collaterali, 
                  con la capacità e la possibilità di affiancare 
                  il normale lavoro dei tradizionali enti locali, in modo da venir 
                  loro in aiuto per non esser sganciati dallumore e dalla 
                  volontà dei cittadini che dovrebbero rappresentare. In 
                  altre parole, è la messa in opera di una cogestione politica 
                  tra gli organismi dirigenti ed i diretti, in modo tale che gli 
                  elettori vengano coinvolti direttamente nella responsabilità 
                  decisionale.  
                    
                  
                  I pochi dominanti  
                 
                Il trucco sta nel fatto che mentre il potere decisionale continua 
                  ad esser conservato nelle stesse mani, a differenza di prima 
                  linsieme della collettività, senza poter decidere 
                  veramente nulla, si trova invece direttamente coinvolta nelle 
                  responsabilità decisionali. Questa impostazione, in tutta 
                  evidenza incoerente dal punto di vista libertario, è 
                  però perfettamente coerente con lassunzione dellassioma 
                  di partenza sulla centralità delleconomico rispetto 
                  al politico. Dal momento, infatti, che lobbiettivo fondamentale 
                  consiste nel «
 decidere il futuro socioeconomico 
                  dei luoghi», che appartiene chiaramente allambito 
                  economico, il momento della decisione, che invece appartiene 
                  allambito politico considerato sovrastrutturale, non ha 
                  la stessa rilevanza strutturale. Ne consegue che, essendo ritenuto 
                  strumentalmente funzionalizzabile, lambito politico viene 
                  consapevolmente asservito allo scopo strutturale di fondo, cioè 
                  leconomico. Tutto ciò è conseguente alla 
                  logica scelta, in quanto in essa non cè la minima 
                  intenzione di modificare in modo alternativo lambito del 
                  politico, ma di usarlo. Per costoro lalternativa vera 
                  non può che essere collocata solo nella struttura che 
                  ritengono unica: la lotta è condotta esclusivamente per 
                  la conquista e la modificazione strutturale del sistema economico. 
                   
                  Eppure non mi sembra difficile comprendere ed assumere che lambito 
                  del politico, al pari di quello economico, ha una valenza strutturale. 
                  Il sistema politico, comprendente le gerarchie, gli apparati 
                  dimposizione e le forme, i metodi e le procedure per decidere, 
                  è perfettamente in grado di condizionare linsieme 
                  societario e di sottometterlo alloligarchia dei gestori 
                  del potere, che hanno le leve del comando. Sia sul piano economico 
                  che su quello politico simpone lo stesso identico diktat: 
                  la gestione e la conservazione del dominio dei pochi sulle moltitudini 
                  e sul mondo. In modo tale che i pochi dominanti possano continuare 
                  ad esercitare il privilegio di decidere per tutti gli altri, 
                  per usufruire dei benefici che ne conseguono. Continuare ad 
                  illudersi, anche se in modi e forme rinnovate ed aggiornate, 
                  comè successo per le vecchie socialdemocrazie, 
                  le quali avevano teorizzato luso del possesso della gestione 
                  politica per la modificazione strutturale del sistema di sfruttamento 
                  economico, vuol dire non aver capito linsegnamento delle 
                  esperienze storiche. Indistintamente, tutte le socialdemocrazie 
                  che si sono sperimentate, invece di diventare, come avevano 
                  dichiarato, dei fattori del cambiamento per lalternativa 
                  sociale, sono diventate dei fattori di conservazione del sistema 
                  capitalista.  
                  La modificazione radicale in senso libertario dei sistemi decisionali 
                  è fondamentale per la realizzazione della nuova società 
                  possibile. Il potere di decidere devessere trasferito 
                  senza trucchi e fraintendimenti dallalto delle oligarchie 
                  parlamentari al basso delle collettività. Ogni compromesso 
                  tra la democrazia diretta, gestita dalla società, e quella 
                  parlamentare, gestita dagli eletti che hanno il mandato decisionale, 
                  è destinata a diventare esclusivamente uno strumento 
                  in mano alla seconda.  
                  
                  Andrea Papi 
                Tutte le citazioni sono prese da: La democrazia 
                  possibile, AA.VV., Cantieri Carta edizioni Intra Moenia, 
                  Napoli, 2002; (1) pag. 36; (2) pag. 41; (3) pag. 32; (4) pag. 
                  97; (5) pag. 88. 
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