Rivista Anarchica Online


sindacalismo di base

Azione diretta e sindacato
di Cosimo Scarinzi

 

È essenziale valorizzare l’azione diretta, l’autonomia, il rifiuto del corporativismo, e riprendere una riflessione sul rapporto fra sindacato e lotta, fra organizzazione e spontaneità…

Roma, 1 giugno

Circa mille steward e hostess dell’Alitalia si danno malati e, visto che si tratta di circa un quarto del personale, la loro assenza blocca il traffico aereo. Altrettanto è avvenuto, in misura minore ma consistente, il giorno prima.
L’Alitalia aveva stabilito di tagliare una parte del personale, un classico caso di ristrutturazione aziendale. Di fronte all’evidente sabotaggio, dichiara che intende rivedere le sue decisioni e accetta di trattare con i sindacati.
Non mancheranno i moralisti che denunceranno il carattere poco limpido di una forma di lotta del genere. Sono, di regola, gli stessi che hanno imposto una normativa antisciopero tale da rendere impossibile condurre una lotta sindacale contemporaneamente legale ed efficace.
La mobilitazione è animata dal SULTA, il sindacato unitario dei lavoratori del trasporto aereo, un sindacato di base nato sulla base della mobilitazione autorganizzata del personale del settore degli anni ‘70. Un sindacato dal radicamento robusto nel settore e dalle posizioni politiche non eccessivamente radicali ma sicuramente combattivo e capace d’iniziativa.

Torino, maggio - giugno

La mobilitazione di un particolare segmento di precari della scuola colpiti da decisioni particolarmente vessatorie dell’amministrazione induce circa 200 insegnanti precari a realizzare, nell’arco di pochi giorni all’inizio di maggio, due blocchi stradali. Non si tratta di una pratica «normale» da parte degli insegnanti anche se precari e segnala una tensione particolarmente forte oltre che l’istintiva consapevolezza che solo una capacità d’azioni visibili di dissenso può dare loro un potere contrattuale che la tradizionale pratica sindacale non è in grado di garantire. La lotta è sostenuta dalla Federazione Torinese della CUB Scuola. Grazie alla mobilitazione una contrattazione è aperta con risultati non esaltanti ma concreti.
Durante il salone del libro, l’onorevole Valentina Aprea sottosegretario all’Istruzione è vivacemente contestata dal pubblico nel corso di un convegno internazionale. Quando esce dal convegno, viene seguita fra gli stand da un piccolo corteo che grida «Vergogna!». La mobilitazione nasce dal taglio degli organici che colpisce la scuola pubblica.
Nelle ultime settimane del mese alcune decine di scuole superiori e qualche scuola media ed elementare praticano il blocco dell’adozione dei libri di testo per contestare il decreto che stabilisce di sfasciare le classi pur di portare l’orario d’insegnamento in classe alle 18 ore. Gli insegnanti sono colpiti dal fatto che, pur di realizzare quest’obiettivo, l’amministrazione non si cura della continuità didattica, dell’organizzazione del lavoro, della mancanza di ore a disposizione per le sperimentazioni, della perdita di centinaia di posti di lavoro per i precari. La mobilitazione è, ancora una volta, sostenuta dalla CUB Scuola e vede la sostanziale indifferenza dei sindacati istituzionali che si precipiteranno a lodare il movimento solo quando si sarà esteso alla gran maggioranza delle scuole superiori della provincia.
La mobilitazione vede la partecipazione di migliaia di insegnanti iscritti o meno a un sindacato, vengono stilate decine di mozioni di scuola, organizzate assemblee con i genitori e gli studenti e arriva ad una manifestazione dinanzi alla Direzione Scolastica Regionale che vede il terzo blocco stradale. In ben otto scuole, gli insegnanti decidono, per la prima settimana di giugno l’occupazione dell’istituto per dare forza alla mobilitazione nonostante l’amministrazione, d’accordo con i sindacati istituzionali, si sia affrettata, dopo il presidio, a promettere un parziale recupero dei posti di lavoro tagliati.

Pratica sociale

Ho brevemente ricordato queste due vicende, e molte altre se ne potrebbero citare, al fine di dare un’idea non della struttura, delle intenzioni, dei programmi del sindacalismo di base ma della pratica sociale che, a volte e, a mio avviso, nei momenti migliori, lo caratterizza. Si tratta, in altri termini, di un sindacalismo combattivo che utilizza sovente forme d’azione non tradizionali, che trae la sua forza non, o non principalmente, dal numero degli iscritti ma dalla capacità d’iniziativa, di spiazzamento rispetto alle controparti, d’elaborazione di linee d’azione innovative.
Si tratta, inoltre, se escludiamo l’esperienza dei centri sociali e dei luoghi occupati che raccolgono generazioni ed esigenze diverse, del più consistente luogo di addensamento di un’opposizione sociale capace di prendere la parola anche su temi generali come l’opposizione alla guerra.
Questa situazione spiega un dato che un paio di anni addietro non appariva scontato, vale a dire la tenuta e la crescita del sindacalismo alternativo di fronte alla ripresa di combattività della CGIL ai tempi del governo della destra. È, infatti, innegabile che oggi la CGIL ha conquistato sui media una visibilità che non aveva da anni, è oggetto di attacchi velenosi da parte della destra e del padronato, vede una crescita consistente di iscritti e di militanti. Sarebbe stato ragionevole attendere che il sindacalismo alternativo o almeno parte della sua base di riferimento sentisse il richiamo di una forza molto più robusta, strutturata, radicata.
Se nulla del genere è avvenuto e se, al contrario, gruppi di militanti e di iscritti alla CGIL non numerosissimi ma nemmeno irrilevanti sono passati ai sindacati alternativi la ragione è abbastanza semplice. La pratica sindacale reale e quotidiana della CGIL non è cambiata più che tanto, il suo orizzonte programmatico resta la concertazione e la concertazione è pienamente operante in molte aziende ed amministrazioni pubbliche.
Avviene, di conseguenza, che lavoratori combattivi, delusi dalla contraddizione fra discorsi e pratica della CGIL ne escano alla ricerca di proposte più radicali.
Naturalmente non è per nulla detto che la situazione non cambi in peggio e che i molti limiti del sindacalismo di base non lo portino a situazioni di crisi ma è innegabile che, per ora, non è andata in questo senso.

Mancanza di identità

Tutto bene, dunque? Tutt’altro. Il sindacalismo alternativo manca, a mio avviso, di un’identità forte e chiara. Gran parte dei lavoratori che vi militano non vanno oltre un serio programma di difesa del reddito e dei diritti dei lavoratori, vi sono forti difficoltà ad andare oltre la dimensione categoriale e, spesso aziendale, il livello di elaborazione generale soffre di gravi carenze.
Mi è, a volte, capitato di partecipare o tenere con altri corsi di formazione per i delegati e ho avuto modo di notare che vi è, in primo luogo, una fortissima domanda di preparazione dal punto di vista della tecnica sindacale, quell’assieme di competenze che garantiscono il predominio degli apparati del sindacalismo di stato.
La visibilità generale del sindacalismo di base è ancora inadeguata e spesso i militanti conoscono male l’attività dei loro stessi compagni di sindacato.
La riflessione generale è curata poco e male. Vi sono evidenti rischi di derive burocratiche ed opportuniste e l’influenza della sinistra parlamentare è tutt’altro che irrilevante.
Ritengo, però, che l’accento vada posto sulla ricchezza e vivacità di esperienze, sulla tensione forte a costruire un sindacato indipendente dai padroni, dal governo e dai partiti, sulla capacità di attrarre lavoratori lontani dalla sinistra parlamentare che trovano nel sindacato una pratica di azione e di organizzazione che sentono adeguata.
Da un punto di vista libertario, è essenziale, in questa fase, valorizzare l’azione diretta, l’autonomia, il rifiuto del corporativismo e, nello stesso tempo, riprendere una riflessione sul rapporto fra sindacato e lotta, fra organizzazione e spontaneità, fra progettualità generale ed autonomia sociale. In particolare, credo vada ripresa ed attualizzata la proposta libertaria di un federalismo sindacale praticato e teorizzato nei termini adeguati all’ordine dei problemi che stiamo affrontando.

Cosimo Scarinzi