Rivista Anarchica Online


lettere

 

Lettera spedita e mai pubblicata

Egregio Paolo Mieli,
innanzitutto vorrei esprimerle la mia solidarietà per le infami scritte di cui è stato fatto oggetto. Scritte che riportano al nostro passato, “recente” ma anche molto meno recente, impregnato della più brutale intolleranza oggi indegna di un mondo che ama definirsi civile.
Ma non le scrivo tanto per offrirle la mia solidarietà, non richiesta tra l’altro, ma per il fatto che oggi (14/3/03) ho letto, sul “Corriere della sera”, il lungo articolo di Oriana Fallaci. Articolo che, debbo essere sincero, mi ha fatto provare un senso di torsione alle viscere.
Quello che mi ha colpito, di quanto la Fallaci scrive, non sono tanto le opinioni espresse, perché quelle sono legittime e nessuno può impedire, né contestare, ad altri di pensarla in maniera personale e autonoma. È però curioso che ella, sentendosi di fatto arruolata nell’esercito di Bush, pretenda di spiegare con motivazioni che, a mio avviso, rasentano il delirio, il comportamento di chi non vuole in alcun modo fare parte di nessun esercito. Né di quello di Bush, né di quello di Saddam e nemmeno trovarsi mischiato con “pacifisti” di comodo come Chirac.
Io fui uno dei tanti che scesero in piazza contro la Prima Guerra del Golfo e mi collocai sempre tra coloro che erano contro la GUERRA e non tra coloro che erano contro la guerra di Bush padre solamente. Quindi contro Bush e contro Saddam perché in quel momento erano loro che facevano la guerra.
Quanto poi a creare fittizi spartiacque tra chi è portatore di libertà e democrazia e chi è solo un satrapo sanguinario ci andrei cauto. Molte dittature ottennero l’appoggio dell’amministrazione americana, tra cui quella del satrapo Saddam che poté, durante la guerra Iran-Iraq contare sull’appoggio statunitense. Lo stesso Saddam che in quell’occasione si rese responsabile del massacro di 100.000 curdi senza che i sensibili paladini della “libertà” e della “democrazia” facessero nulla per punire il responsabile di quell’orribile genocidio.
Oggi sono ancora contro la GUERRA, quella in Iraq come tutte le altre guerre. Ne esiste ancora una in Cecenia o sbaglio? E come è finita la vicenda del popolo Saharawi? E il Tibet, l’Irlanda, Euzkadi, la Palestina, il Kurdistan e le altre piccole e grandi guerre ad alta o bassa intensità? Sono contro tutte le dittature, quella di Saddam come quella di Castro, quella cinese come quella che c’era fino a poco tempo fa (sostenuta dalla Francia) in Madagascar. E lo sono perché sono convinto che da che mondo è mondo le guerre non si facciano per vendicare la morte di qualche migliaio di innocenti né tantomeno per eliminare un dittatore che in altri tempi ha fatto comodo a chi ora lo vuole scalzare.
La guerra la si pianifica a tavolino e la si mette in atto per precisi obiettivi economici, strategici o di riassetto geopolitico.
Mi riconosco nel “movimento” contro la guerra, per quanto contraddittorio esso possa essere e ho esposto la bandiera arcobaleno anche se non mi giudico propriamente un pacifista. Ma oggi bisogna esprimere la propria avversione a ciò che si ritiene antitetico alla propria coscienza e lo si può fare anche esponendo la bandiera iridata.
Non trovo in questo nessun gesto di viltà né un tentativo di ingraziarsi sceicchi, mullah, ayatollah, l’Islam, vattelappesca e quant’altro.
Nessuno con un po’ di materia grigia nel cervello vorrebbe vedere le nostre donne a spasso con il chador o con il burqa e quindi si tranquillizzi la Fallaci che la sua beneamata cultura occidentale non è in pericolo o almeno non lo sarà per la complicità di noi “pacifisti”.
Se ella si sente investita del ruolo che un tempo ricopriva lo “zio Sam” almeno che in questa sua opera non si inventi strane ipotesi sul perché molta gente è contro la guerra. Se ci si lascia andare a generalizzazioni superficiali la cosa potrebbe ritorcersi contro chi queste generalizzazioni fa.
Se il massacro in Iraq, di civili intendo, dovesse assumere ampie proporzioni qualcuno potrebbe, generalizzando, ritorcerne la responsabilità sulla Fallaci ed equipararla a tutti i carnefici responsabili di genocidio.
Ma visto che siamo ancora un paese civile penso che nessuno, equilibrato che sia, arriverebbe a cotanto contorsionismo cerebrale. Come penso che la Fallaci dovrebbe in qualche modo recuperare una parte dell’equilibrio che ultimamente sembra averla abbandonata.

Patrizio Biagi
(Milano)

 

Giustizia? Cosa loro

Per l’ennesima volta si parla di riforma della giustizia. Tra poco potremo dire quello che si è sempre detto in tema di riforme del sistema giudiziario: “tanto rumore per nulla”.
L’organizzazione della giustizia in Italia risale al 1848 quando si fa dire allo Statuto che “la giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai Giudici che egli istituisce”
1890: per risolvere pressioni interne alla magistratura che vuole più autonomia nei confronti dell’esecutivo, si decide il reclutamento dei magistrati con concorso pubblico.
Arriva il Duce che si trova così un sistema già pronto, non deve aggiungere niente tranne raccomandarsi, tramite il ministro Rocco, che “la Magistratura non deve far politica di nessun genere… non vogliamo faccia politica governativa o fascista, ma esigiamo fermamente che non faccia politica antigovernativa o antifascista. E questo nell’immensa maggioranza dei casi avviene”. Abbiamo perso il parlare chiaro di quei tempi!
Non c’era bisogno di queste parole, perché nella realtà politica delle aule giudiziarie, i giudici si dimostrarono in linea con il regime a tal punto che, caduto il fascio, continuarono a sentenziare come se nulla fosse accaduto, e comunque, facendo in modo che la riforma democratica trovasse ostacoli che solo gli equilibrismi giurisprudenziali possono creare (cfr. Rinaldo Boggiani, “La disgrazia di saper leggere” – Antistoria della libertà di stampa in Italia, Roma, Edizioni Associate, 2002; cap. “Giudici professionisti? No grazie”). E questo nell’immensa maggioranza dei casi.
Caduto il regime, la Costituente ha l’opportunità di cancellare quanto fatto dal Re, da Zanardelli nel 1890, da Grandi nel 1941, dai fascisti. E invece niente. Tutti d’accordo (da Leone a Calamandrei) sulla non elettività del giudice. Nessuno si oppone, neanche a sinistra (…)
Sono quasi d’accordo con l’ordine del giorno votato dalla loro Associazione nel Congresso di Gardone del 1965 secondo cui i magistrati dichiarano che “il giudice deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della subordinazione alla legge, un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione”. Certo che da qui alla creatività giurisprudenziale di norme il passo è breve, direte voi. Bene! dico io. Perché “discrezionalità non vuol mica dire arbitrio” dicono loro. Quindi ben venga l’interpretazione creativa da parte dei magistrati a tal punto che potremmo augurarci la fumosità delle previsioni di legge, la vaghezza del testo normativo, forse addirittura l’assenza di leggi prese in aule parlamentari rumorose; leggi sempre espressione di disegni politici demagogici, populisti; espressione di maggioranze (e minoranze) parlamentari che oggi ci sono e domani? Chissà?!
Mentre loro oggi ci sono e domani anche. Finalmente una certezza. La magistratura potrebbe diventare così una camera di compensazione della norma; il magistrato nella sua totale irresponsabilità politica, nella sua esclusiva soggezione alla legge potrebbe diventare l’elemento evolutivo del sistema giuridico.
Teniamoci quindi la nostra unicità nel panorama storico mondiale delle democrazie (anche se, in punta di diritto costituzionale, non siamo una democrazia).
Unici per quanto riguarda il reclutamento (nessuno come noi, nemmeno i francesi, ammettono un unico concorso. In Francia, dopo il primo esame, un periodo di addestramento di oltre due anni prepara i selezionati a una seconda valutazione) (…)
A questo punto, accettata l’unicità del nostro sistema, e appurato che non si può inquadrare nel costituzionalismo moderno, rimane da fare un ultima cosa: trovare, una volta per tutte, una giustificazione, una, come dire?, definizione del nostro impianto costituzionale, accettabile dalla dottrina.
E chi meglio di un magistrato, poi ordinario di diritto costituzionale, già membro del Consiglio superiore della Magistratura può aiutarci in questa ricerca?
Sistema razionalizzato” la definizione che ci toglie dai guai, di Alessandro Pizzorusso (L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1990, p. 63).
Ecco la magia dottrinale: “Se… è indubbio che anche l’attività degli organi giudiziari deve essere considerata come una forma di esercizio della sovranità popolare nella quale la costituzione indica la fondamentale fonte di legittimazione dei pubblici poteri, è chiaro altresì che le caratteristiche tecniche dell’attività giudiziaria e la necessità di garantire l’indipendenza dei giudici consentono e in certa misura impongono il ricorso a strumenti diversi da quelli impiegati per assicurare il vincolo fra Corpo elettorale e Parlamento, fra Parlamento e Governo, ecc. “.
Capito? Io non molto; ma è la fonte più autorevole che ho trovato. Se avete qualcosa di meglio mandatemela a rinaldo.boggiani@libero.it. Grazie fin d’ora.

Rinaldo Boggiani
(Rovigo)

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Mario Perego (Carnate) 50,00; Giuseppe D’Agostino (Novara) 20,00; Giordana Garavini (Castelbolognese) “ricordando Emma Neri e Giorgio Gaber”, 25,00; uno (Lamezia Terme) “ringraziandovi per la vostra presenza on-line”, 5,15; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla, 500,00; Gianpaolo Verdecchia (Firenze) 20,00; Vittorio Golinelli (Bussero) 10,00; a/m redazione, raccolti durante la serata De André il 29 marzo a Osnago, 8,50; a/m Maurizio Guastini, Circolo culturale anarchico “Gogliardo Fiaschi” (Carrara) 50,00; Saverio Nicassio (Bologna) 10,00; Massimo Ortalli (Imola) 20,00; Duilio Rosini (Monsano) 5,00; Rinaldo Boggiani (Rovigo) 20,00; Ivana Avoni (Bologna) 10,00; Maurizio Barsella (Firenze) 5,00; Mirco Baratto (Bigolino) 20,00; Medardo Accomando (Manocalzati) 20,00; Claudio Topputi (Milano) 50,00; Marco Moschetti (Reggio Emilia) 3,00.
Totale euro 851,65.

Abbonamenti sostenitori.
Marco Breschi (Pistoia) 100,00; Fabrizia Golinelli (Carpi), 150,00; Zelinda Carloni e Adriano Paolella (Roma) 100,00; a/m Alfredo Gagliardi, Ida Gagliardi (Ferrara) 100,00.
Totale euro 450,00.