Rivista Anarchica Online


storiografia

Il ruolo di Gianni Bosio
di Cesare Bermani

 

Una figura centrale nella ricerca musicale e sociale del dopoguerra.

I tre argomenti – Carlo Cafiero, Luigi Musini, l’occupazione della fabbriche – trattati da Gianni Bosio ne I conti con i fatti, sono una testimonianza della sua battaglia per l’autonomia della storia del movimento operaio da ideologie di partito.
Gianni Bosio è stato anzitutto un organizzatore di cultura. Dalla fondazione di “Movimento operaio” (1949) a quella delle “Edizioni Avanti!” (1953), dalla creazione della rubrica “Questioni del socialismo” nell’“Avanti!” (1957) alla fondazione dell’Istituto Ernesto De Martino (1965), egli ha apprestato strutture e strumenti basilari alla storia del movimento operaio, nel contempo lottando per sottrarre “agli eccessi delle requisitorie politiche staliniane la necessaria fase d’incubazione, d’orientamento preliminare degli studi di storia del socialismo” (1).
Ha voluto essere “costruttore” più che saggista e la sua immagine è anzitutto quella tracciata da Gaetano Arfé, che a “Movimento operaio” lo ricorda così: “...c’era tutto un lavoro da fare, un lavoro di scavo, un lavoro di censimento delle fonti, un lavoro di raccolta del materiale, un lavoro anche di elaborazione dei metodi attraverso i quali portare avanti questi studi e i metodi erano innanzitutto quelli classici della storiografia: il filologismo, la ricerca seria, accurata, che per Gianni Bosio diventava addirittura oggetto di culto. Non ho conosciuto nella mia attività di studioso un filologo altrettanto coscienzioso e scrupoloso quanto lo è stato Gianni Bosio. La ricerca di ogni minimo particolare, il controllo di ogni dato di fatto, una scuola di alta filologia. [...] L’altra caratteristica era quella che il lavoro della rivista fosse un lavoro collettivo. La firma di Bosio non compare spesso sulla rivista. Però dietro a ogni articolo pubblicato, anche dietro alla scheda bibliografica, anche dietro la descrizione di una fonte archivistica, c’è la sua ispirazione, c’è la sua mano, c’è il suo controllo. [...] I collaboratori di “Movimento operaio” si estendevano da un capo all’altro di Italia. Bosio era attentissimo a leggere tutte le pubblicazioni, anche le più remote, anche le più modeste, a scoprire dei giovani, a mettersi in contatto con loro, a stabilire dei rapporti personali, a inserirli in questo giro.” (2)

Politica culturale togliattiana

“Corporativismo” e “filologismo” – poi divenuti i bersagli della politica culturale togliattiana nell’ambito degli studi storici – erano dei titoli di merito di “Movimento operaio” perché, dopo le distruzioni della guerra e del ventennio fascista, costringevano ad approntare ex novo i mezzi e gli strumenti per riprendere gli studi sulla storia del movimento operaio italiano. In una situazione dove c’era pressoché tutto da fare si era trattato “di determinare una tecnica di ricerca e di creare una corrente di studi per superare le difficoltà che sembravano insuperabili, per arrivare a un impianto di studi preparatori che consentissero di costruire storia. [...]
L’ambito ristretto solo alla storia del movimento operaio era un elemento essenziale del piano tecnico della costruzione, il filologismo la garanzia della sua solidità”. (3)
Nel 1953 però Bosio viene estromesso dalla direzione della rivista che aveva fondato e se ne cambia l’indirizzo e gli interessi storiografici.
Delio Cantimori, ricordando due anni dopo quella vicenda, commentava:
“Quanto alla rivista, nell’estate 1953 sono cominciate le prime energiche critiche [...]; era il momento ‘zhdanoviano’, e si cominciò a voler trasformare la rivista da quello che era e che stava diventando in una rivista di storia ‘totale’”. (4) Questo aveva voluto dire “mettere il carro avanti ai buoi, [...] sovrapporre uno schema, [...] al lavoro specifico, imporre un manto retorico [...] alla semplice, modesta, faticosa produzione reale”. (5)
Quell’ampliamento poteva avere “solo l’effetto di distruggere o frantumare l’organismo ‘Movimento operaio’ già esistente e funzionante per sostituire al modesto ma serio riccio che sa adoperare bene i suoi mezzi una esopica ranocchia” (6); venuta meno la specializzazione di “Movimento operaio” – conclude Cantimori – “la storia del movimento operaio dove finirebbe? Ma c’è stata e c’è, ed è una storia da fare, e sul piano nazionale e su quello internazionale: e gli operai ci sono, ci sono i contadini, ci sono davvero, e non mi par giusto cacciarli via dalla rivista come corporativi in nome della filosofia della storia e dell’arte del dirigere”. (7)
Nondimeno erano proprio la solidità con cui veniva giorno dopo giorno costruito “Movimento operaio” e il rigoroso metodo di ricerca che lo improntava a rappresentare il problema politico di fondo per quell’“arte di dirigere”.
I saggi ripubblicati ne I conti con i fatti, proprio per il modo come Bosio intendeva la saggistica, restano tuttora delle pietre miliari rispetto agli argomenti affrontati e sono rappresentativi dei suoi vasti interessi storiografici e della sua sottaciuta ma ben operativa polemica costante con la politica di unità nazionale dei comunisti durante e dopo la Resistenza, per la quale le vicende della classe nel presente e nel passato diventavano meno importanti della sua collocazione internazionale. Dato che si voleva affermare la continuità storica, nazionale, risorgimentale del Partito Comunista Italiano, per la storiografia di quel partito e dell’allora suo alleato Partito Socialista Italiano, l’interesse preminente diventava la sinistra risorgimentale, a scapito delle vicende ideologiche o reali dell’anarchismo e del socialismo.

Fare “i conti con i fatti”

In questi scritti il filologismo rendeva invece meno facile la critica indiscriminata al vecchio movimento socialista e anarchico e imponeva alla storiografia comunista di fare “i conti con i fatti”. (8)
Non solo, ma Bosio era convinto che “i fatti” avrebbero finito per imporsi anche per quel che riguardava la storia stessa del PCI e operava attivamente perché ciò si verificasse.
Per cui, negli anni 1965-67, nella collana “strumenti di lavoro/archivi del movimento operaio” da lui diretta, pubblicò – a fianco di materiali sulla storia dell’anarchismo e del Partito Socialista Italiano – molti materiali riguardanti il 1920 e la storia dei primi dieci anni di vita del Partito Comunista d’Italia che Alfonso Leonetti e Renzo De Felice, allora direttore dell’Archivio di Stato, gli fornivano via via per la pubblicazione (9). E della sua intenzione di cominciare anche a “scavare nel campo della storia reale del movimento comunista” (10) è viva e matura testimonianza anche l’ultimo saggio ripubblicato ne I conti con i fatti, dedicato all’atteggiamento assunto dai gruppi dirigenti e di pressione del movimento operaio di fronte all’occupazione delle fabbriche.

Cesare Bermani

note:

1. Leo Valiani, Introduzione a Questioni di storia del socialismo, Nuova edizione accresciuta e aumentata, Torino, Einaudi, 1975, p. XIII.
2. Gaetano Arfé, L’esperienza di “Movimento operaio” in Bosio oggi: rilettura di un’esperienza, a cura di Cesare Bermani, Mantova, Provincia di Mantova – Biblioteca archivio – Casa del Mantegna – Istituto Ernesto de Martino, s.d. [ma 1985], p. 127.
3. Gianni Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura (27 giugno 1955-27 dicembre 1955), Milano, Edizioni Avanti!, 1962, p. 95. Scritto datato: Milano, 5 ottobre 1955.
4. Si veda la lettera di Delio Cantimori pubblicata nella rubrica “Pro e Contra” in “Movimento operaio”, Milano, a. VIII, n. 1, gennaio-giugno, p. 327.
5. Ivi, p. 329.
6. Ivi, p. 332.
7. Ivi, p. 335.
8. Gianni Bosio, Giornale di un organizzatore di cultura ecc., cit.2, p. 92.
9. Il fascismo in Italia. Leningrado 1926 Studio inedito per i quadri dell’Internazionale comunista. A cura di R. De Felice, ottobre 1965; Per una storia della Confederazione Generale del lavoro clandestina. Documenti dell’anno 1927. Guido Saraceno: La confederazione del lavoro vive e combatte in Italia. Con una nota introduttiva di A. Leonetti, febbraio 1966; Per una storia della Confederazione Generale del lavoro clandestina. Documenti degli anni 1927-1928. La polemica con l’Ufficio di Parigi e con l’internazionale dei sindacati di Amsterdam. A cura di A. Leonetti, febbraio 1966; Il Primo anno di vita del Partito Comunista d’Italia, con una nota di R. De Felice, settembre 1966; L’opposizione del P.C. d’I alla svolta del 1930; Gli interventi degli oppositori nel Comitato Centrale del marzo 1930. Documenti inediti con una introduzione di M. Salerno, novembre 1966; Il Consiglio Nazionale Socialista. Sessione tenutasi a Milano dal 18 al 22 aprile 1920. Testo stenografico inedito, 3 vol., settembre 1967, maggio 1968, ottobre 1968; I comunisti di fronte al plebiscito fascista (del 1929). Guido Saraceno: “No”. Come si è votato il 24 marzo in Italia (fatti e documenti sul plebiscito fascista) e altri documenti. A cura di A. Leonetti, giugno 1967.
10. Si veda Gianni Bosio, Giornale ecc., cit., p. 92: “Il filologismo sarebbe arrivato a scavare nel campo della storia reale del movimento comunista. Ai miti avrebbe sostituito la realtà: di qui il fastidio per il filologismo”.