| Lunedì 2 dicembre, Ivan Illich 
                  (Vienna, 1926) a prolongé sa sieste au point de 
                  rejoindre léternitè. Così, 
                  dolcemente, quasi come fosse la cosa più naturale del 
                  mondo, scrive Thierry Paquot, amico e editore di Ivan Illich 
                  (Le Monde Diplomatique, Paris, gennaio 2003). Muore 
                  alletà di settantasei anni a Brema, città 
                  dove insegnava allUniversità. Da molti anni egli 
                  divideva il suo tempo tra la Germania, luniversità 
                  della Pennsylvania e il suo domicilio a Cuernavaca (Messico). 
                  Altrettanto dolcemente mi parlò di Paul Goodman quando, 
                  nel lontano 1980, a Rimini, in occasione di un convegno sulle 
                  Tecnologie conviviali (autocostruzioni e architettura 
                  alternativa), riuscii ad intervistarlo per questa stessa rivista 
                  (a. X n. 3, aprile 1980).
 Ricordo anche con quanto entusiasmo parlai di lui, forse per 
                  primo in una rivista anarchica italiana, in un articolo su Volontà 
                  (a. XXXI n. 4, luglio-agosto 1977). Certo allora non capivo 
                  quanto la mancanza di una prospettiva politica non fosse una 
                  lacuna ma una forza straordinaria del suo pensiero.
 Di un pensiero originale, difficile da classificare, ad immagine 
                  del suo autore che non si trova mai là dove ti aspetteresti 
                  di incontrarlo. Un argomentare erudito e profondo, frutto di 
                  una formazione cosmopolita (parlava oltre dieci lingue) e di 
                  radici mitteleuropee meticcizzatesi con pensieri e suggestioni 
                  latino-americane, lo hanno portato ad esplorare diverse e varie 
                  questioni relative alluomo e alle istituzioni da esso 
                  create.
 Un pensatore che ha profondamente segnato la mia generazione 
                  e che spero continui a sconvolgere anche quella 
                  attuale e le future con il suo ragionare straordinariamente 
                  eclettico e aperto.
 Fin dai primi lavori a noi giunti, Descolarizzare la società 
                  (1972), Distruggere la scuola (s.d.), Rovesciare le 
                  istituzioni (1973), La convivialità (1974) 
                  Nemesi medica (1977), questo strano intellettuale, prete 
                  cattolico e vice-rettore dellUniversità di Porto 
                  Rico nel 1956, alletà di trentanni, poi spretato 
                  in opposizione alle gerarchie ecclesiastiche, riesce a turbare 
                  a fondo la cultura dominante ma anche quella progressista con 
                  le sue tesi e le sue convinzioni.
 Dopo aver percorso a piedi e in bus lintera America Latina 
                  (nei primi anni sessanta) e aver contestato duramente il modello 
                  di sviluppo nordamericano e capitalista, si insedia a Cuernavaca 
                  dove fonda, nel 1966, il CIDOC (Centro Internazionale di Documentazione 
                  Culturale, che durerà dieci anni) attorno al quale passano 
                  numerosi intellettuali e ricercatori di varie parti del mondo.
 Questo Centro diventa una fucina di studi ed elaborazioni alternative 
                  che scaturiscono da riflessioni e ricerche in vari campi, come 
                  nella scuola e nelleducazione, nelle istituzioni e sul 
                  modello di sviluppo dominante.
 Le sue tesi ruotano attorno alla convinzione che gli utensili, 
                  o meglio le istituzioni, dopo un certo tempo diventano improduttive 
                  e dannose per la libertà delluomo e per gli stessi 
                  scopi per i quali erano state create. Così Chiesa, Scuola, 
                  Ospedale, Trasporti, ecc., diventano paradossalmente un ostacolo 
                  per le funzioni che avevano determinato la loro fondazione. 
                  Più un sistema tecnico progredisce, più la parte 
                  di autonomia in ogni individuo diminuisce, lasciandolo sempre 
                  più dipendente nei confronti di ciò che non può 
                  più dominare e controllare.
 Senza semplificare, come talvolta è stato fatto, in slogan 
                  del tipo la scuola descolarizza, lospedale 
                  rende malati, la macchina intralcia la circolazione, 
                  troviamo nel pensiero di Illich una complessa ma chiara critica 
                  allidea di progresso e soprattutto a ciò che lo 
                  legittima: la necessità di soddisfare dei presunti bisogni. 
                  In unopera molto suggestiva e puntuale (Per una storia 
                  dei bisogni, 1981) egli sostiene che letà contemporanea 
                  crea falsi bisogni e trascura in realtà i veri problemi 
                  che ci affliggono, producendo una élite di nuovi professionisti 
                  la cui funzione consiste proprio nellinculcare alla gente 
                  bisogni fasulli.
 Ciò determina la convinzione che la crescita industriale, 
                  lo sviluppo, non aumenta la ricchezza ma, di fatto, si limita 
                  a modernizzare la povertà.
 Ivan Illich contesta dunque lapproccio che al problema 
                  dello sviluppo conferisce il Club di Roma, che nel 1972 invitava 
                  i governanti del mondo a ridurre la crescita al fine di ritardare 
                  la penuria di materie prime. Egli denuncia piuttosto lo spiegamento 
                  inconsiderato delle tecniche così come lintera 
                  economia politica dello sviluppo, che autori come Serge Latouche 
                  hanno poi ripreso e approfondito.
  Sterminata produzione 
 Tutti questi libri di Illich sono da leggere come un insieme 
                  unico tanto che hanno come scopo comune quello di liberare luomo 
                  nella sua singolarità, quale siano la sua cultura, i 
                  suoi sogni, ecc. Il suo approccio critico alla tecnologia lo manifesterà 
                  lungo tutta la sua vita rifiutando di parlare in Tv o alla Radio, 
                  o anche semplicemente davanti ad un registratore o ad un microfono, 
                  considerando indispensabile per una comunicazione vera la sua 
                  forma diretta, vis à vis, senza mediazioni, 
                  così come ricordo fece in quel convegno riminese del 
                  quale sono stato testimone.
 La liberazione del soggetto dipende dunque dalla padronanza 
                  che luomo ha del suo corpo e dei suoi bisogni indipendentemente 
                  dalle tecniche disponibili in modo che questi non siano determinati, 
                  confiscati, calcolati da qualcun altro, chiunque o qualunque 
                  cosa sia.
 Questa ricerca sullinvenzione dei bisogni lo occupa alcuni 
                  anni e lo spinge ad indagare sullorigine e sullo sviluppo 
                  di altri concetti e sulla loro origine storica nella cultura 
                  occidentale. Eccolo allora interrogarsi, ad esempio, su parole 
                  come genere, sesso (Il genere e il 
                  sesso, 1984) e attirarsi critiche da lettori troppo superficiali 
                  o volenterosi di piegare alle proprie convinzioni di parte un 
                  autore troppo originale e inclassificabile.
 Sarebbe per me impossibile rendere conto adesso della sterminata 
                  produzione di questo intellettuale paragonato, a mio avviso 
                  efficacemente, da Jacques Dufresne a una sorta di Socrate 
                  del villaggio globale (Mort dIvan Illich, 
                  LEncyclopédie de lAgora, 2002). Ma ritengo 
                  sia giusto dare conto a chi non lo conosce che egli si è 
                  occupato di capire in quali circostanze e per quali conseguenze 
                  il lavoro sia diventato il principale tempo vissuto dellesistenza 
                  individuale e collettiva (Le Chomage créateur, 
                  1977; Le travail fantôme, 1981). Il linguaggio 
                  viene interpretato come una sorta di principale radicamento 
                  di ciascuno, così come la sessualizzazione della società 
                  come discriminazione tra i generi e la credenza errata dellhomo 
                  aeconomicus come modello di comportamento (Thierry 
                  Paquot, cit.).
 Le strade aperte dalle ricerche di Illich nei vari spazi dello 
                  scibile umano e della conoscenza sono state intraprese e saranno 
                  sicuramente ampliate, ma egli resta un pensatore unico ed eccezionale. 
                  Gli ultimi anni della sua vita li ha dedicati allo studio della 
                  storia medioevale, scrutando ed esplorando i modi di immaginare, 
                  percepire, pensare e fantasticare tipici della metà del 
                  XII secolo, scavando alle radici dei luoghi comuni della modernità 
                  per riesaminarli in una prospettiva storica perché solo 
                  nello specchio del passato risulta possibile riconoscere la 
                  radicale alterità della topologia mentale del ventesimo 
                  secolo e divenire consapevoli dei suoi assiomi generativi, che 
                  normalmente rimangono oltre lorizzonte dellattenzione 
                  dei contemporanei (Nello specchio del passato, 
                  1992).
 Altri lavori si sono succeduti e hanno animato curiosità 
                  e ricerche di più persone, altre provocazioni Ivan Illich 
                  ha spalmato sul grigiore e sul provincialismo delle culture 
                  occidentali dominanti e talvolta anche su quelle sedicenti progressiste. 
                  La sua anormalità, il suo essere fuori dagli schemi interpretativi 
                  lo hanno però sempre messo ai margini dei media e della 
                  cultura ufficiale. La sua stessa morte è passata pressoché 
                  inosservata e pochissimi se ne sono accorti.
 Molto intelligentemente le nostre edizioni Elèuthera 
                  hanno editato nel 1994 un pregevole lavoro che resta forse la 
                  sua ultima testimonianza completa (David Cayley, Conversazioni 
                  con Ivan Illich) e recentemente la rivista Libertaria 
                  ha pubblicato un dossier a cura di Franco La Cecla e Mauro Suttora 
                  (a. 3 n. 4, ottobre-dicembre 2001).
 Confesso che da poco avevo trovato il suo indirizzo e contavo 
                  di contattarlo per chiedergli la disponibilità ad una 
                  serie di colloqui da promuovere qui in Italia.
 Non ce nè stato il tempo perché la sua morte 
                  me lo ha impedito. Ivan Illich, un profeta contro la modernità 
                  ci lascia comunque molto su cui riflettere in tempi in cui forse 
                  non è più di moda.
  Francesco Codello
 
                   
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 elèuthera
 David 
                        Cayley Conversazioni con Ivan Illich
 un archeologo della modernità
 220 
                        pp. / € 14,00
 
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