Rivista Anarchica Online


società

La comunicazione scomparsa
di Francesco Codello

 

Viviamo nell’era della comunicazione globale e immediata, tra telefonini, palmari, GPRS, Internet, ecc. Eppure non sappiamo (quasi) più comunicare. Peccato, perché in una società davvero libera...

Nella società in cui trionfa la comunicazione gli uomini non comunicano più tra di loro. Le relazioni tra gli esseri umani non sono mai state così continue e facili eppure la comunicazione tra di loro non è mai stata così povera e difficile. Le distanze geografiche non sono mai state così ridotte, i tempi di spostamento mai così rapidi, le abitudini e gli ambienti mai così simili in gran parte del mondo, i media mai così potenti, eppure la comunicazione vera e profonda mai così inesistente, superficiale e formale, quando non completamente assente.
Tutto comincia nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, negli spazi ricreativi, insomma in ogni momento comune della nostra vita quotidiana. Questo apparente paradosso sembra impossibile ad ogni osservatore superficiale, in realtà se scaviamo un po’ più a fondo con le nostre analisi qualche spiegazione la troviamo.
La rapidissima accelerazione dello sviluppo tecnologico ha prodotto dapprima il trasferimento dallo scritto alla parola (dalla lettera al telefono, ad esempio), adesso è la parola che viene soppiantata dall’immagine in tempo reale. L’illetteralismo conseguente, e una sorta di analfabetismo derivato da questo fenomeno, rivela una profonda mancanza di socialità, perlomeno di una socialità sensata e spontanea che non va confusa con una imposta e massificata.
Scrive giustamente Paul Virilio: “Dopo la cancellazione brutale della moltitudine dei dialetti delle tribù e della famiglie, a vantaggio del linguaggio accademico di nazioni in piena espansione, ora disimparato a beneficio del vocabolario globale dell’e-mail, si può ormai immaginare una vita planetaria che diventa progressivamente una storia senza parole, un film muto, un romanzo senza autore, dei comics senza fumetto” (Paul Virilio, La bomba informatica, Milano, Raffaello Cortina, 2000).
Sempre più non vi è comunicazione diretta tra gli esseri umani ma mediata da tecnologie che stanno progressivamente prendendo il sopravvento sull’uomo trasformando il mezzo in fine a tutto vantaggio dell’incomunicabilità. In fin dei conti anche le e-mail, che hanno cancellato la corrispondenza epistolare, hanno consumato quella possibilità di calore che accompagnava la scrittura della penna.
Ma l’incomunicabilità tra gli uomini è ancora più profonda perché i tempi, le modalità, le ritualità della nuova comunicazione si riflettono immancabilmente anche nel modo e nella sostanza della comunicazione diretta tra due o più persone.
Uomini e donne, bambini e anziani, sempre più “connessi” ma sempre più soli. Certamente questa solitudine diffusa, propria di una società massificata, omologata, standardizzata qual è la nostra, rivela la natura esclusiva e alienante dell’attuale comunicazione tra gli esseri umani.
Quante volte capita, nel nostro quotidiano procedere, di saltare ed eludere compiutamente ogni comunicazione, nel senso di non cogliere appieno ciò che l’altro ci vuole esplicitamente, ma anche implicitamente, far sapere. Troppo presi come siamo dal nostro egocentrismo esasperato, o dai nostri interessi manifesti, oppure dalla paura di essere toccati nelle nostre insicurezze o nelle nostre ansie, ascoltiamo solo con l’udito e mutiliamo tutte le altre forme di relazione. In fin dei conti comunicare vuol dire “svelare”, aprire le tante porte chiuse a doppio o triplo mandato, che proteggono le nostre verità.

Uscire dalla cultura del sospetto

Le corazze e i paletti, che spesso un’educazione autoritaria e repressiva ha allestito per conto di un’ideologia di dominio, funzionano da schermi e da protezioni contro la rivelazione del proprio essere che non siamo mai stati preparati ad accettare serenamente fino in fondo. Il prototipo di uomo o di donna che dobbiamo essere per poter convivere con l’attuale gerarchia di valori sociali, ci impedisce realmente di cercare noi stessi attraverso la vera comunicazione con gli altri. Non vi può essere vero incontro senza comunicazione, non vi può essere vera comunicazione senza incontro.
Per poter rivelare se stessi ad altri è però necessario uscire dalla cultura del sospetto, dalla paura del giudizio, saper ascoltare con empatia e con disponibilità, saper accettare fino in fondo e compiutamente non solo le rassicuranti parole ma anche le più difficili caratteristiche dell’altro, soprattutto quelle che riescono a destabilizzare le nostre certezze.
Capita spesso, credo a molti di noi, di avere degli a-priori, dei pre-giudizi, che indubbiamente ostacolano una possibile comunicazione. Questi sono purtroppo inevitabili ma non sono impossibili da analizzare ed anche da sradicare (a meno che non siano voluti e deliberatamente accettati).
In fin dei conti ogni forma di dominio si nutre di forza e violenza ma anche di rassegnazione e di solitudine forzata. Se l’individuo rompe lo schema ideologico del Potere, della gerarchia, del ruolo, può, pur riconoscendo ed accettando la diversità, cercare l’eguaglianza.
Vi è una comunicazione che pretende di essere a senso unico (l’adulto e il bambino, il capo e il subalterno, ecc.) perché riconosce come ineluttabile la gerarchia e la superiorità di qualcuno nei confronti di qualcun altro.
Ma ve ne può essere anche una che riconosce nel rapporto egualitario la vera natura e la condizione indispensabile perché avvenga l’incontro, che è lo scopo più autentico della comunicazione stessa. Naturalmente i tratti e i ritmi del potere (la velocità, la discriminazione, la gerarchia, ecc.) non possono permettere questi incontri di empatie comuni, ma necessitano di dipendenza, di subalternità, di obbedienza.
Ecco che praticare questa profonda e vera comunicazione, allargare gli spazi e i tempi in cui essa possa essere vissuta, di fatto significa sovvertire le forme prevalenti attraverso le quali la logica del dominio si incunea nella psiche e nel comportamento degli uomini e delle donne.
Ma vi è anche una prevalenza della comunicazione propria della razionalità del neo-scientismo, vale a dire la forma verbale e quella iconica, che soffoca e impedisce altre forme di comunicazione che mettono in gioco linguaggi non verbali liberati però da forme occulte (ma non troppo) di condizionamento.

Relazione autentica e pienamente libera

Non vi può essere una forma privilegiata di rivelazione del proprio essere nella relazione d’incontro, perché la diversità naturale, bene sempre più prezioso da tutelare, non può contemplare gerarchie predefinite. Linguaggi verbali, corporei, emozionali, prassici, immaginativi, non possono essere gerarchizzati né, tantomeno, usati sempre consapevolmente. Sta infatti a chi diventa l’interlocutore saperli cogliere e decifrare. Non vi può essere vera comunicazione se non vi è vero ascolto.
Il valore sociale e le implicazioni concrete che una diversa e più autentica forma di comunicazione porta con sé, non sono mai abbastanza prese in considerazione. Rompere lo schema gerarchico delle relazioni umane a vantaggio di un rapporto egualitario è infatti indispensabile per poter costruire fin da subito un’alternativa concreta e visibile nei comportamenti umani.
Imparare a comunicare profondamente con le persone con le quali entriamo in relazione le distoglie da stereotipi imposti e le disorienta offrendo spazi e tempi di profonda empatia e libertà.
È importante nel comunicare svelare fino in fondo se stessi, scoprire le proprie debolezze, rappresentarsi per quello che si è, ma soprattutto creare le condizioni perché l’altro possa trovare liberamente i tempi del suo rivelarsi.
I modi del nostro comunicare rappresentano il simbolico del nostro essere e l’immaginario collettivo si nutre anche di forme codificate e imposte di relazione e comunicazione.
Nell’inevitabile processo di liberazione del nostro immaginario dominante intraprendere forme e modi diversi, perché liberi e autonomi, di comunicare, diventa una condizione essenziale per sovvertire l’ordine e la forma del dominio e del potere. Ma soprattutto diventa una necessità per riappropriarsi di una relazione autentica e pienamente libera e vera di cui abbiamo necessità per fondare un mondo diverso.

Francesco Codello