Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


diario a cura di Felice Accame

Crimini sorridenti della memoria

 

Esprimerò una tesi sufficientemente pessimistica, ma, non contento del tutto, butterò lì un’ipotesi più pessimistica ancora.
Un amico lettore rimane, diciamo, “perplesso” di fronte ad un manifesto pubblicitario di “Amica”. Tutti ci ricordiamo dei rapiti di turno e della loro fotografia utile a persuadere familiari o autorità – a seconda dei casi – a pagare il riscatto: il disgraziato con in mano un giornale – perché tramite la sua data di pubblicazione si possa dedurre che il disgraziato in questione è vivo –, davanti ad un muro, o a una tenda, su cui, nei casi “politici”, campeggia un simbolo (una stella, per esempio). Sono immagini ideologicamente segnate: rappresentano metodi di lotta, obiettivi ed un quadro ideologico abbastanza caratteristico. Nel repertorio della memoria collettiva, di certo, non hanno nulla a che fare con il movimento libertario. Ma la memoria di “Amica” sembrerebbe funzionare diversamente.
C’è la conferma del fatto – “rapita”, scritta con le lettere di giornale incollate –, c’è la vittima – allegra come al terzo stadio della sindrome di Stoccolma –, c’è il muro e, ahinoi, c’è la A dell’anarchia. La storia e la sua prospettiva, una cultura faticosamente vissuta, le amate differenze, l’orgoglio di una specificità che costa cara – perché quando non ti spara chi è al potere, ti spara l’opposizione –, va tutto a ramengo. Come se l’insegnamento della storia politica fosse affidato ad un trio di professori formato da Gianni, Pinotto e Berlusconi.
Un secondo caso ce lo metto io. La pagina pubblicitaria del “Buscofen”, un analgesico contro i dolori mestruali. La fotografia fa parte della storia del movimento femminile (la ricordo, per esempio, sulla copertina de La soggezione delle donne di John Stuart Mill) e il testo inizia col farvi un riferimento esplicito – “abbiamo lottato per secoli” –, ma finisce nella conclusione di un sillogismo beffardo – “oggi contro i dolori mestruali basta molto meno” –, come se fosse assodato l’implicito che questa lotta non fosse originata da una differenza politica e sociale che il movimento femminile, sentendosene in pieno diritto, avrebbe voluto sanare. Vellica il più becero umorismo maschilista, svilisce pagine e pagine dedicate a sofferenze e soprusi di un libro ancora maledettamente aperto.
Non lo sanno? Proviene da una sottile intelligenza malefica la confusione, da una parte, fra libertarismo ed esaltazione delle “prigioni del popolo” e, dall’altra, fra dolori mestruali e rivendicazioni di parità? Può darsi. Devo confessare che, spesso, una simile spiegazione mi soddisfa. Perché no: al mondo comanda chi da questi crimini della memoria ha tutto da guadagnare. I mezzi li ha – e se ne approfitta.
Tuttavia, a volte, devo anche rendermi conto che, fra i crimini peggiori e fra quelli meglio riusciti, c’è anche quello di cancellare dall’esistente le categorie stesse con il quale categorizzarne la varietà. Ad inventare codesti marchingegni comunicazionali, pertanto, non è detto che, per forza di cose, debbano essere sordidi reazionari o servi zelanti e consapevoli di un ottuso regime autoritario; non mi meraviglierei se fossero benpensanti di sinistra, democratici di ferro, gente che, nel guizzo della boutade e del motto di spirito andasse soddisfatta di sé dicendosi che “sono ben altre le cose che non vanno al mondo” – scaricando così la propria coscienza di ogni responsabilità.
Platone, nella Repubblica, allude al mitologico fiume (il Lete, ovvero l’oblìo) le cui acque avrebbero avuto il dono di far dimenticare tutto a quelle anime dei defunti che, una volta dissetate, potevano permettersi il lusso di rinascere. Avesse avuto nozione dello Stato moderno – e dei suoi mezzi – avrebbe saputo che la memoria, intesa come capacità di ricostruire il proprio mondo e di interpretarne la storia, può essere cancellata anche ai vivi.

Felice Accame