Rivista Anarchica Online


anarchismo

Sovvertire l’immaginario
di Francesco Codello

 

Alcune riflessioni sul possibile ruolo del pensiero e dell’azione degli anarchici.

È finita la guerra fredda: così i media hanno commentato l’ingresso della Russia nella Nato. Certamente con questo ennesimo atto si compie in modo definitivo una svolta nella situazione politica mondiale che peraltro non fa che confermare una evoluzione già ampiamente realizzata. La divisione che ha caratterizzato il secolo scorso tra comunismo e capitalismo si è risolta in una uniformità desolante che ha permeato i futuri equilibri internazionali.
Ancora una volta i vecchi schemi interpretativi dimostrano tutta la loro caducità e non possono essere più utilizzati per spiegare e rivelare le forme vere del dominio e dell’oppressione. Tutto questo viene salutato da diverse parti, a destra e a sinistra, come un fatto sostanzialmente positivo e qualcuno arriva persino a ipotizzare futuri radiosi per il nostro pianeta.
A me non pare proprio che il futuro che ci aspetta sia proprio così roseo (non mi dilungo qui sulle tragiche situazioni che possono verificarsi per esempio dal punto di vista ambientale, ecc. ecc.). L’unificazione dentro l’economia capitalista dei paesi sviluppati si è compiuta grazie all’emergere di poteri sovranazionali che determinano in modo inequivocabile la situazione attuale e ipotecano quella futura. E anche quando i singoli Stati hanno introdotto forme di decentramento e di delega a poteri locali di funzioni tradizionalmente proprie di poteri centralizzati, hanno riprodotto in scala minore modelli e immaginari gerarchici e autoritari.
Detto tutto ciò vale la pena di osservare e commentare con più attenzione quanto avviene nel mondo rispetto a costi e benefici di tutto ciò. Naturalmente facendo questo non si può che assumere un punto di vista particolare che per quanto mi riguarda non può che essere quello dell’alternativa al dominio e del livello di libertà degli esseri umani.
Questo trionfo del capitalismo ha come conseguenza preponderante tutto ciò che di negativo porta con sé il processo di globalizzazione che non ha significato, che in minima parte, una apertura e un confronto fra popoli diversi.
Ma se questa uniformità, non ancora completamente compiuta, rappresenta, agli occhi di molti, un tangibile progresso dell’umanità, non può occultare, peraltro, neanche ai più ottimisti, i guasti e i pericoli che porta con sé in termini di disuguaglianze e di distribuzione della ricchezza, di opportunità di vita e di salute umana e ambientale. Così come credo che non si possa più pensare in termini assoluti all’ideologia dello sviluppo propria della cultura borghese, né, tantomeno, considerare le risorse del pianeta come illimitate.
Al di là di ogni catastrofismo e di ogni forma di improponibile primitivismo, credo ragionevole dunque riflettere su alcune questioni che possono specificare l’azione libertaria oggi.
Innanzitutto mi pare essenziale specificare che la cultura dello sviluppo, che nell’immaginario sociale dominante, è cultura dello sviluppo economico, non può essere svincolata da un progresso pari, ma forse anche superiore, di un ampliamento delle sfere e degli ambiti concreti della libertà e dell’uguaglianza, non solo tra le popolazioni dell’occidente e del nord del mondo, ma dell’intera umanità.
Inoltre mi pare altrettanto evidente affermare che lo stesso concetto di sviluppo dominante vada rifiutato, anche per ragioni più propriamente etiche, nel senso che questo mutamento positivo non può compiersi se le premesse ideali e morali che lo sostengono non sono mutate.
La scelta che si pone di fronte ad ogni individuo prima, poi ad ogni popolo, riguarda la volontà prima e la capacità poi di ognuno di sovvertire l’immaginario individuale e sociale dominante a favore di altri valori e altre opzioni etiche. Senza questo passaggio non vi può essere rottura rivoluzionaria ma solo ed unicamente adattamento progressivo e adeguamento costante.

La contaminazione necessaria

Ma la nuova geografia del dominio internazionale non si sostanzia esclusivamente in nuove forme sovranazionali del potere stesso ma anche nei modi e nei tempi attraverso i quali queste forme di dominio si perpetuano e si riproducono fin dalla nascita di ogni essere umano compiendo così un’opera totale di trasformazione e di oppressione di ogni individuo e di ogni gruppo di uomini e donne. Si compie così la trasposizione di una cultura del potere dall’istituzione al singolo soggetto che a sua volta, con un circolo vizioso, la riproduce e la trasforma in altra istituzione.
Ecco perché ogni possibile cambiamento non può prescindere da una mutazione individuale e sociale dell’immaginario poiché ciò che ognuno di noi, individualmente o collettivamente si rappresenta, diviene nei fatti la sua realtà. Tutta la cultura occidentale da Hegel in poi, tranne ovviamente gran parte di quella libertaria e anarchica, sta li a ribadire che razionalità e realtà coincidono e che pertanto ogni tentativo di uscita da questa soffocante e totalitaria “verità” non è che “utopia”.
Attenzione però che questa tragica cultura non è propria solo dell’occidente capitalista ma sostiene anche, seppure in forme diverse e filtrata da altre culture e altre religioni, ideologie e forme di dominio che caratterizzano paesi e popoli diversi da quelli occidentali. Questa convinzione ci dovrebbe consentire di non sostenere, perché contrapposte a quella nostra, culture e/o ragioni che di fatto riproducono forme diverse, spesso di gran lunga più brutali e peggiori, di dominio e di repressione. Non credo sia utile contrapporre ad una civiltà, che consideriamo giustamente nei suoi tratti negativi, altri modelli che hanno solo il presunto merito di opporsi a questa nostra società e che rivelano però forme ancor più brutali di oppressione e di violenza.
La grande risorsa dell’anarchismo, rispetto a tutte le altre forme di pensiero politico e sociale, sta proprio nel fatto che esso contempla sempre come possibili terze, quarte, quinte, ecc. vie e non si fa schiacciare dentro la logica del dualismo storico. Esistono insomma le sfumature e diversi colori possibili oltre al bianco e al nero, perlomeno finché la fantasia e la libertà degli esseri umani non verrà (mai) definitivamente compromessa. Questa opzione di possibilità plurali è un tratto caratteristico di un’idea aperta di società attorno alla quale costruire le speranze e adeguare coerentemente le proprie lotte.
È l’idea della necessità per gli esseri umani, e di conseguenza del pensiero anarchico, di “meticizzarsi” e di mescolarsi con altre culture e istanze che possano nutrire la tensione libertaria verso espressioni più ampie di libertà e uguaglianza.
Anche per questo processo è necessaria una rottura radicale con l’immaginario dominante senza peraltro scadere in vacui terzo-mondismi, sindromi da colpe o pietismo cattolicheggiante.
Questa consapevolezza, rispetto alla necessità che l’anarchismo ha di lasciarsi contaminare da aspetti, forme, tensioni, segni, linguaggi di altre culture, è uno dei punti di forza del nostro pensiero, anzi ne costituisce la necessaria linfa vitale che implementa le radici classiche della negatività (rifiuto del dominio) e della positività (costruzione di rapporti egualitari e libertari) dell’utopia anarchica.
Come giustamente e acutamente ha sostenuto Colin Ward, possiamo stare tranquilli e sereni che un giorno quello che noi chiamiamo anarchismo, ad altre latitudini e in altri contesti, riaffiorerà magari con altri nomi e simboli, ma garantirà la necessaria e indelebile tensione dell’essere umano ad una sempre più completa e ampia libertà.

Francesco Codello