Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


diario a cura di Felice Accame

L’incorreggibilità della storia loro

 

Checché ne abbiano detto filosofi di destra e filosofi di sinistra (si fa per dire), Martin Heidegger era nazista fin nel midollo. Non lo stanno a dimostrare soltanto le tessere che aveva in tasca o la sua carriera universitaria, ma l’intera sua filosofia – scritti “giovanili” inclusi, perché un’adesione al nazismo nascerà ben da qualcosa di precostituito (come si può constatare leggendo il suo delirante saggio dedicato nel 1910 ad Abraham a Sancta Clara). Chi voglia averne certezza può procurarsi una copia del documentatissimo Heidegger e il nazismo di Victor Farias (Bollati Boringhieri, Torino 1988). Tuttavia, ricorrentemente salta fuori qualcuno che, sulla base di questa o quest’altra lettera sparsa, vorrebbe ripulirne un po’ la figura e renderla “presentabile”, smorzandone il peso delle responsabilità e riducendolo a fuscello sballottato dalle correnti. Per raggiungere lo scopo, ovviamente, “dimentica” tutto il resto. Incredibile ma vero, come direbbe “La settimana enigmistica”.
Incredibile ma vera è anche la commovente insistenza con cui gli psicoanalisti, facendo finta di nulla, tirano avanti i propri miti fondatori. È il caso della povera “Anna O.”.
Nel dicembre del 1880, a Vienna, il dr. Josef Breuer viene chiamato al capezzale di Bertha Pappenheim (il vero nome di Anna O.), una giovane che sembra soffrire di qualche assenza, irrigidimenti, poco o nulla appetito e, soprattutto, di accessi di tosse. L’interesse di Breuer è subito premiato da una caterva di nuovi sintomi: dolori al lato destro dell’occipite, strabismo convergente, turbe della vista, paresi dei muscoli anteriori del collo, nuovi irrigidimenti e anestesie varie, allucinazioni (vede “serpenti neri”), paure (che crollino le pareti), afasie e altre turbe del linguaggio nonché – se non ci fosse stata avrebbe dovuto essere inventata – sdoppiamento della personalità. Lo psichiatra viennese si dà da fare intorno alla malata per almeno un anno e mezzo (mille ore di “trattamento”!), poi, dopo che il loro rapporto era diventato palesemente troppo stretto e non poco imbarazzante, la fa internare in una casa di cura svizzera. Con qualche problemino in più – visto che ora soffriva anche di una nevralgia del trigemino e che bisognava disintossicarla per le dosi da cavallo di morfina e altre porcherie che, ideologia psicoterapeutica non solo permettendo ma anzi plaudendo, le rifilava. Ciò non ostante, con fatica e senza Breuer, ne verrà fuori.
Ma la poveretta non potrà esimersi dal figurare come involontaria protagonista di primo piano della narrativa romanzesca della psicoanalisi. Visti i sintomi, Breuer “passa” a Freud un ghiotto caso di “isteria”. Nel 1895, i due pubblicano gli Studi sull’isteria e il caso di Anna O., con qualche ritocco abbellente, diventa uno dei primi miracoli della psicoanalisi: la storia di una poveretta che, grazie alla nuova medicina, può “ritrovare un completo equilibrio psichico” e godere “di ottima salute”.
Già nel 1925, tuttavia, Jung, sulla base di alcune ammissioni di Freud medesimo, scriveva che questo “famoso” caso di Anna O. “è stato descritto come un brillante esempio di successo terapeutico”, ma “in realtà non lo fu affatto”. Mikkel Borch-Jacobsen, che ha svolto un’indagine approfondita sull’intera questione, nel 1995, può perfino affermare che “tutto il mondo, ormai, ‘sa bene’ che la guarigione di Anna O. è un mito”(cfr. Ricordi di Anna O. – La prima bugia della psicoanalisi, Garzanti, Milano 1996); mentre Luciano Mecacci, nel 2000, ne parla esplicitamente come di un caso di “falsificazione storica” (cfr. Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari 2000).
Si può, dunque, rimanere a bocca aperta, nell’agosto del 2002, leggendo sul “Corriere della Sera” un articolo davvero miracoloso di Giuliano Gramigna (La ragazza sensibile che viveva con due coscienze). Con la bacchetta magica di chi ha il potere per farlo, Gramigna cancella (pardon, rimuove) tutta la documentazione contraria – fa letteralmente finta di nulla – e ci riparla di Anna O. come di “una pietra angolare della teoria psicoanalitica”, alla quale, peraltro, “in un modo o nell’altro un poco tutti (…) dobbiamo qualcosa”, perché “simbolo di una donna giovane che si è battuta coraggiosamente contro il suo male”. Si noti che il male era tutto “suo”; che non gli passa neanche un attimo per la testa che il “male” gliel’avessero potuto produrre i suoi presunti guaritori. Come dice Mecacci, “il mito vince sulla storia”.
E gli esempi potrebbero essere moltiplicati all’infinito. Bisogna ammettere che la storia “loro” fa paura. Come fa paura – per la proterva ignoranza e per il disprezzo verso l’esperienza dolorosa dell’umanità – l’intervento televisivo (a Porta a porta, il prontuario delle opinioni legittime nel regime) di una Pivetti che strabordando da Padre Pio straparla di Padre Agostino Gemelli come di un “sant’uomo” che occorrerebbe beatificare quanto prima.
Senza far parola del fatto che il Gemelli in questione è stato uno dei più violenti razzisti antisemiti del periodo fascista (e che, tra l’altro – ci si goda il paradosso –, fu uno dei massimi responsabili della vita grama di Padre Pio medesimo).
Nel 1980, il biologo francese Henri Laborit concludeva un suo romanzo dicendo che “Copernico non ha cambiato gran che”. Non gli si può dar torto, ma, al contempo, sarà bene guardare più in là. Nessuno ha cambiato gran che: a meno che, per una ragione o per l’altra, il cambiamento non sia servito a chi comanda.

Felice Accame

P.s.: Anche le numerose commemorazioni di Marilyn Monroe in occasione del cinquantesimo anniversario della morte (4 agosto 1962) hanno trascurato parecchi fatti appurati dagli storici. Per esempio, guarda caso, i comportamenti perlomeno sospetti del suo psicoanalista Ralph S. Greenson. Lei lo chiamava il suo “Gesù” e lui, ideologia psicoterapeutica permettendo e plaudendo, le somministrava “300 milligrammi di Nembutal per notte”.