Rivista Anarchica Online


(dis)ordine pubblico

Modelli ministeriali
di Carlo Oliva

 

Il ministro della difesa si esprime per la liberalizzazione del porto d’armi. Peccato che...

Il ministro Martino, titolare nell’attuale governo del dicastero della Difesa, sembra, a vederlo, l’uomo più pacifico di questa terra. Il suo sorriso non sarà forse tra i più accattivanti, ma i suoi modi cortesi, la sobria eleganza del suo vestire e la pacatezza con cui è solito esprimersi rivelano in lui uno di quei liberali di antico stampo cresciuti, come si usava, alla scuola dei gentlemen. Non per niente è figlio d’arte: suo padre era il capo della nostra diplomazia ai bei tempi di De Gasperi e Scelba, e, se ricordo bene, rassomigliava un poco a sir Anthony Eden. Il rampollo è forse meno affilato nei lineamenti, un po’ più cicciotello e tracagnotto, ma un non so che di britannico, in un modo o nell’altro, se lo porta dietro. È facile immaginarselo nella sala da fumo di un esclusivo club londinese, magari intento a parlare di viaggi, con Phileas Fogg o ospite per un week end di caccia alla Gosford Park in qualche dimora patrizia del Kent o del Sussex.
Apparenza: tutta apparenza. Questa immagine, abbiamo scoperto non senza malinconia, è tristemente ingannevole. Come ben si addice a un ministro italiano della Difesa, i suoi modelli l’onorevole Antonio Martino preferisce cercarseli oltre Atlantico. La stoffa di cui vorrebbe essere fatto è quella del rude pioniere, del marine tutto di un pezzo, dell’uomo capace di sopravvivere in una realtà urbana aggressiva e pericolosa, come potrebbero interpretarlo un Clint Eastwood o un Charlton Heston. E il riferimento all’indimenticabile interprete della prima versione del Pianeta delle scimmie è particolarmente calzante, perché anche Martino, come fa spesso l’attore statunitense, ha voluto spezzare una lancia a pro del diritto di tutti noi a girare armati fino ai denti.

È poco ma sicuro

“Sfidando il senso comune dei benpensanti” ha dichiarato lunedì 22 aprile il ministro della Difesa a Radio Radicale “difendo il secondo emendamento della Costituzione americana, che garantisce ai cittadini la possibilità di portare armi. La nostra legislazione, che invece è restrittiva, ha disarmato quanti obbediscono alle leggi, ma non ha disarmato i delinquenti … Quando sono state introdotte le restrizioni, io non ho visto alle questure file di mafiosi che consegnavano la lupara o di terroristi che consegnavano il kalashnikov”.
Impeccabile, ma, forse, un poco schematico. Infatti gliene hanno dette praticamente di tutte. Gli hanno ricordato, persino dall’interno della maggioranza, che la liberalità americana in tema di armamento individuale è considerata dagli esperti una grave fonte di pericolo per l’ordine pubblico. I vari sindacati di polizia, che non avevano ancora riunito le forze per difendere i colleghi incriminati a Napoli, hanno accantonato per un momento le molte beghe reciproche per auspicare che alla proposta del ministro non si desse proprio seguito. Qualcuno ha osservato persino che se il tasso di omicidi rilevato a Chicago supera di cento a uno quello delle vicine metropoli canadesi, dipende in gran parte dal fatto che in Canada comperarsi una pistola e portarsela in giro è più difficile che nello Stato dell’Illinois. Insomma, il poveraccio ha dovuto affrettarsi a buttar lì una mezza smentita, dichiarando che a lui interessava solo sottolineare la saggezza della Costituzione degli Stati Uniti. Che è quanto tutti si attendono da un ministro italiano, ma è anche, diciamolo pure, una sciocchezza mica male, perché si sa che tra tutte le cose di cui quel paese può menar vanto la Costituzione è forse l’ultima, non foss’altro perché risale a una fase storica in cui i problemi sociali e politici che affliggono oggi gli americani erano tutti di là da venire.
Così, il secondo emendamento in questione afferma “il diritto del popolo a detenere e portare armi” in base al principio per cui “un esercito ben organizzato è necessario per la sicurezza di uno stato libero”. Si può pensare quel che si vuole di questo postulato, ma è poco ma sicuro che il suo collegamento con il diritto ad armarsi individualmente poteva avere un senso ai tempi in cui l’emendamento fu votato, nel 1791, quando gli USA erano un aggregato di comunità in cui si rispondeva alla chiamata alle armi presentandosi con il proprio schioppo ad armacollo, e che la norma crea più problemi di quanti ne risolva da quando l’esercito è un’organizzazione permanente su base professionale, che le armi ce le mette di suo. E se qualcuno si chiede come mai nessuno sia riuscito ad abrogare quell’articolo arcaico e controproducente, vuol dire che ignora non solo che le norme positive si caratterizzano per una certa qual viscosità, una certa tendenza all’autoperpetuazione, ma anche che quella tendenza si mescola spesso con gli interessi materiali, come quelli, nel caso, di chi le armi le produce e le vende. In America quegli interessi sono ingenti e ingente è la pressione che esercitano. Il Charlton Heston di cui sopra, da quando non si esibisce più nei ruoli del virilone, ha trovato una seconda, proficua carriera come portavoce della lobby dei mercanti di fucili e pistole. Il loro motto, per cui “non sono le armi a uccidere, ma gli uomini” fa venire i brividi ai poliziotti di tutti i cinquanta stati, ma finora hanno vinto loro. E infatti in America ci si spara che è una bellezza, e basta fare quattro passi in Times Square, a New York, dove un apposito tabellone luminoso dà ragione del numero quotidiano dei morti ammazzati, per rendersene conto.
Ora, nessuno ha sentito il bisogno di ricordare come anche in Italia, nel nostro piccolo, fabbrichiamo fucili e pistole. Si tratta, anzi, di un settore importante della nostra industria di precisione. E mentre nessuno contesta a chi lo guida il diritto di affidare la propria causa, se se la sente, a un qualche abile portavoce, il fatto che questo ruolo se lo assuma non un attore sfiatato qualsiasi, ma il ministro della Difesa in persona fa, lo ammetterete, una certa impressione. Il fatto di essere ministro non garantisce nessuno dal rischio di dire delle sciocchezze, specie in tema di ordine pubblico, ma dovrebbe consigliare, se non altro, una certa cautela prima di aprire la bocca. Il polo ha vinto le elezioni, figuriamoci, ma ci sono ancora dei cittadini vecchio stile che preferirebbero che tra un ministro e un “lobbista” si notasse qualche sensibile differenza.

Partendo dalla coda

Macché. Gli uomini di Berlusconi non badano alle distinzioni troppo sottili. Forti della loro maggioranza, non hanno nessun bisogno di spaccare i capelli in quattro. Quando si è liberali, per loro, non si può che liberalizzare, anche perché i divieti, come ha fatto acutamente notare Martino, ostacolano soltanto i cittadini per bene. Come se non fosse ovvio che chi non rispetta le leggi non lo fa per diletto, ma perché pensa di trarne vantaggio, e che il compito di qualsiasi governo è appunto quello di rendere l’operazione un po’ meno vantaggiosa.
Invece no. I nostri sagaci statisti hanno deciso di risolvere il problema partendo, per comodità, dalla coda. Se non è possibile far rispettare una certa norma, basterà abolirla e si aboliranno automaticamente in blocco i reati relativi. Qualcosa di simile, per intenderci, a quanto si è già fatto in tema di falso in bilancio. Per eliminare il porto d’armi abusivo, così, basterà autorizzare la gente ad armarsi. In seguito, nella medesima logica, si potrà combattere la criminalità organizzata eliminando ogni remora legale alla possibilità dei criminali di organizzarsi tra loro e si avvierà la soluzione del problema dell’evasione fiscale decidendo che chi non paga le tasse, almeno da una certa cifra in su, non evade proprio nulla. Anzi, forse questo l’hanno già deciso e si sono soltanto dimenticati di dircelo. O magari siamo noi che non l’abbiamo capito.

Carlo Oliva