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                 I razzisti, gli xenofobi, i fascisti 
                  della nazione e quelli del campanile, quelli in doppio petto 
                  e quelli dal cranio rasato descrivono lEuropa come una 
                  fortezza assediata, mal difesa da governanti troppo malati di 
                  universalismo per affrontare con il dovuto rigore le orde di 
                  barbari che ogni giorno ed ogni notte tentano di varcarne i 
                  confini. La costruzione dellimmagine del nemico, che le 
                  varie destre europee identificano con limmigrato povero, 
                  con il profugo straccione, diverso, alieno, potenzialmente criminale 
                  è il grande collante che spiega i successi dei patroni 
                  delle piccole patrie, dei Bossi e degli Haider, e dei nazional-popolari 
                  alla Le Pen.  
                  Questimmagine orrenda ma potente è lo scenario 
                  in cui si alimenta e sedimenta il consenso raccolto in ogni 
                  angolo dEuropa dalla destra più estrema. Una destra 
                  feroce la cui irruzione sulla scena sociale e politica europea 
                  non può più essere descritta come un episodio 
                  marginale, transitorio, segnale di malesseri passeggeri. A Berlino, 
                  nei quartieri di quella che fu la zona Est, un immigrato rischia 
                  la pelle ad attraversarne le strade; in ogni angolo dEuropa 
                  crescono gli episodi di intolleranza, le aggressioni anche mortali. 
                  I roghi dei centri di accoglienza per immigrati fanno da contrappunto 
                  agli attentati alle sinagoghe. Luci sinistre nella notte che 
                  ci sta avvolgendo.  
                  Viviamo in un panorama sociale il cui segno distintivo è 
                  linsicurezza, la crescente eteronomia, la sempre più 
                  marcata erosione del sistema di garanzie per chi lavora, invecchia, 
                  si ammala, studia. Tutte le energie, le tensioni finiscono con 
                  lo scaricarsi in una grande, incontrollata paura, che è 
                  facile scaricare sui più deboli, sugli immigrati, sui 
                  «famigerati» clandestini.  
                  
                  Livida primavera  
                 
                La paura genera mostri. È un vento impetuoso che soffia 
                  e spazza via ogni cosa sul suo cammino, frantuma i legami sociali, 
                  trasforma altri esseri umani in nemici da imprigionare, cacciare, 
                  combattere.  
                  In questa livida primavera il Mediterraneo, sempre più 
                  tristemente inteso come «mare nostrum» è 
                  solcato da carrette cariche di disperati alla ricerca di unopportunità 
                  di vita. Quelli che ce la fanno, e non sono certo tutti, trovano 
                  polizia, centri di detenzione sovraffollati e miserabili, espulsioni 
                  di massa. Poco conta che persino le convenzioni internazionali 
                  le vietino, poco conta che chi subisce un trattamento tanto 
                  inumano e degradante sono esseri umani la cui sola «colpa» 
                  è lessere nati nel posto sbagliato. Poco conta 
                  che il provvedimento di espulsione per molti, provenienti da 
                  paesi in guerra o appartenenti a gruppi perseguitati, significa 
                  la morte quasi certa. Persino unistituzione come lACNUR 
                  (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha 
                  espresso malessere e disappunto per la legge sullimmigrazione 
                  in corso di approvazione nel parlamento italiano. E certo lONU 
                  non può essere sospettata di attitudini libertarie o 
                  banalmente di sinistra. A Lampedusa gli immigrati sono ospitati 
                  per settimane sotto misere tende: il lager dellisola è 
                  ormai troppo affollato.  
                  Nelle «nostre» città e nei nostri paesi le 
                  voci di protesta sono ancora una minoranza: gli altri, i più, 
                  applaudono. Anzi per taluni queste bestialità non sono 
                  ancora sufficienti... chi ha lo stomaco passi qualche ora ad 
                  ascoltare Radio Padania ed avrà occasione di sentire 
                  opinioni e suggerimenti degni della peggior marmaglia nazista. 
                   
                  Una sempre più forte richiesta dordine emerge da 
                  vasti strati sociali che hanno subito la rottura di equilibri 
                  apparentemente consolidati. Ne sono coinvolti sia i ceti medi 
                  che quelli popolari che in questi anni hanno visto infrangersi 
                  un modello di relazioni sociali che aveva retto dal dopoguerra. 
                  Lerosione del welfare e la profonda trasformazione dellambito 
                  lavorativo ne sono i segni più evidenti. Tutti oggi si 
                  trovano ad agire sulla scena sociale praticamente senza rete: 
                  sempre meno si può confidare nella possibilità 
                  di godere di un certo grado di assistenza sanitaria o daccedere 
                  ad un buon livello distruzione, sulla sicurezza della 
                  pensione o del posto di lavoro. Termini quali lavoro interinale, 
                  in affitto, contratti di formazione sono divenuti ormai usuali 
                  nel nostro vocabolario e segnano una condizione che ha nella 
                  precarietà il proprio carattere distintivo.  
                  Ciascuno è forzato alla disponibilità, disponibilità 
                  ad adattarsi a situazioni sempre mutevoli, ad assumere ruoli 
                  e mansioni diversificate, a modificare rapidamente il proprio 
                  orizzonte esistenziale. In una situazione in cui non vi sono 
                  più punti di riferimento stabili cresce la sensazione 
                  di insicurezza al punto che ogni forma di diversità pare 
                  una minaccia allordine sociale per il solo fatto di esistere. 
                   
                  Un assieme sociale che non riesce (più) a trovare elementi 
                  coesivi ed identitari realmente pervasivi si ricompatta attraverso 
                  lindividuazione di un nemico comune, ritrovando un volto, 
                  spazi aggregativi, protagonismo politico. Riemerge da un passato 
                  che speravamo sepolto il sogno perverso del recupero di una 
                  purezza originaria, lincubo in cui facilmente si radicano 
                  i miti della razza e della nazione, miti potenti capaci di innescare 
                  conflitti devastanti. Assistiamo ad un paradosso: lindividuo, 
                  privo di identità personale, la cui dignità si 
                  celebra nel rito dello shopping, ritrova unidentificazione 
                  comunitaria nel rifiuto dello straniero, dellimmigrato 
                  che è la vivente testimonianza delle immense masse di 
                  diseredati che premono alle porte delloccidente ricco 
                  e sviluppato.  
                  Terre dEuropa, che erano state a lungo terre dasilo 
                  per i profughi ed i perseguitati si sono trasformate in luoghi 
                  di frontiera. Una frontiera lungo la quale uomini armati affrontano 
                  esseri umani che la miseria, le persecuzioni, le guerre sospingono 
                  lontano dai loro paesi.  
                  Il montare della marea scura del fascismo è altresì 
                  sintomo inequivocabile del fallimento delle sinistre moderate 
                  che in Francia, come in Italia ed in Austria, più realiste 
                  del re, hanno ovunque perseguito programmi politici e sociali 
                  che le rendevano indistinguibili dalle destre liberali.  
                  
                  Scatole vuote  
                 
                Il desiderio di recupero di identità e appartenenze 
                  di stampo nazionalista ed intrinsecamente razzista è 
                  strettamente connesso al fallimento del progetto dautonomia 
                  dellindividuo che è stato il senso profondo degli 
                  ultimi due secoli di storia occidentale. Nelle nostre società 
                  il progetto di autonomia dellindividuo si è tradotto 
                  nella creazione del cittadino, entità astratta che di 
                  volta in volta è elettore, contribuente, acquirente, 
                  spettatore, produttore ed in quanto tale formalmente identico 
                  ed intercambiabile. Lindividuo quale soggetto cosciente 
                  e creativo non è che una promessa costantemente disattesa, 
                  poiché il singolo è concepito e voluto come segmento 
                  tra altri segmenti, non come persona reale. Lincapacità 
                  di mirare ad individui concreti ha il suo contraltare in una 
                  società impotente nel farsi luogo in cui le differenze, 
                  riconosciute ed accettate come tali, possano interagire positivamente. 
                   
                  Gli ideali di uguaglianza, solidarietà, libertà 
                  si sono ridotti a scatole vuote, prive di contenuto, di capacità 
                  di definire un assieme sociale, di costituire un senso di appartenenza 
                  che sappia unire gli sfruttati contro gli sfruttatori, gli oppressi 
                  contro gli oppressori.  
                  La sinistra moderata e anche, non di rado, quella meno moderata 
                  appaiono incerte, balbuzienti, incapaci di fornire risposte 
                  vere alle questioni di natura sociale ma anche culturale che 
                  ci troviamo di fronte. Quelli che non tentano pateticamente 
                  di imitare le destre, rincorrendone le tematiche sicuritarie 
                  e le politiche liberali, si gettano confusamente a percorrere 
                  un terzomondismo indecente, che finisce con il valorizzare acriticamente 
                  qualsiasi rivolta antioccidentale, poco importa se del tutto 
                  impresentabile. Dopo l11 settembre abbiamo assistito al 
                  conio di categorie quale quella di «proletariato islamico» 
                  che la dice lunga sulla mancanza di prospettive di certe aree 
                  ormai orfane di tutto. Mi è capitato di presenziare ad 
                  uniniziativa femminista in cui cerano donne che 
                  distribuivano volantini contro le ingerenze clericali nella 
                  loro vita e insieme un proclama a favore del «proletariato 
                  islamico»! Evidentemente lesotismo, che a ben vedere 
                  è una forma blanda di razzismo, rende i preti meno antipatici 
                  se risiedono in luoghi lontani. O, forse, vale la vecchia massima 
                  per cui i nemici dei miei nemici sono miei amici?  
                  Laccesso di un figuro come Le Pen al secondo turno delle 
                  presidenziali francesi ha certo dato uno scossone positivo al 
                  di là delle Alpi: per settimane centinaia di migliaia 
                  di persone sono scese in piazza, hanno animato sit-in, assemblee, 
                  liste di discussione. Ma la reazione ad uno choc, pur positiva, 
                  non è ancora la cura del male.  
                  Per fermare londata limacciosa e bruna che sta investendo 
                  le nostre vite non basterà in Francia, come non è 
                  bastato in Italia, il richiamo generico allunità 
                  antifascista. Solo liniziativa diretta, la capacità 
                  di autorganizzazione dal basso possono ridisegnare un assetto 
                  sociale capace di trovare la coesione politica e culturale per 
                  affrontare i veri nemici, quelli che ogni giorno ci sottraggono 
                  libertà, possibilità di vita, di costruzione di 
                  un futuro dignitoso per tutti. Sono i nemici di sempre: la gerarchia, 
                  la sopraffazione, lingiustizia degli organismi statuali 
                  e capitalisti.  
                  Occorre riappropriarci delle radici di un umanesimo concreto, 
                  capace di costruire la libertà di tutti e di ciascuno, 
                  ridefinendo, giorno per giorno per le strade e per le piazze 
                  dei luoghi che abitiamo, il senso di un universalismo che sappia 
                  valorizzare le differenze come elemento di crescita dellautonomia 
                  di milioni di individui solidalmente diversi.                    
                  Maria Matteo 
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