| Anni fa, era estate, mi è capitato di 
                  dormire una notte in una stazione di servizio sull'autostrada. 
                  Poco lontano era parcheggiato un camion pieno di vitelli. Per 
                  tutta la notte ne ho sentito i lamenti, lo scalpitio degli zoccoli, 
                  la frenetica ricerca di un po' d'aria, di spazio. Quella notte, 
                  per la prima volta cominciai a capire le ragioni dei vegetariani. 
                  Quelle bestie, allevate per il macello, subivano nelle loro 
                  ultime ore una vera e propria tortura. Intorno regnava la più 
                  totale indifferenza. La sofferenza altrui, senza compassione, 
                  non è che un rumore di fondo. Gli animalisti libertari ci invitano 
                  spesso a riflettere sui limiti del nostro umanesimo che limita 
                  il "comune sentire", la com-passione appunto, alla specie umana. 
                  Non sono diventata vegetariana ma, da allora, ho cominciato 
                  ad interrogarmi. All'inizio di marzo si è consumata nel mare di Sicilia l'ennesima 
                  tragedia. Un guscio di noce carico di 40, 50 forse 60 disperati 
                  è colato a picco. I pochi superstiti devono la vita agli uomini 
                  del peschereccio "Elide" che per tre ore hanno trainato la barca 
                  in avaria e, dopo il ribaltamento, si sono prodigati per salvare 
                  quante più persone possibile. L'unità della Marina militare 
                  Cassiopea, dopo essersi rifiutata di trainare la carretta dei 
                  migranti, ha di fatto assistito senza intervenire alla morte 
                  di uomini, donne e bambini.
 Ne è seguito il consueto balletto di accuse e controaccuse: 
                  i militari, ovviamente hanno difeso la loro condotta asserendo 
                  che le condizioni del mare non consentivano un intervento diverso 
                  da quello effettuato. La magistratura ha aperto la rituale inchiesta, 
                  i giornali hanno recitato il coccodrillo altrettanto rituale 
                  in questi casi. È probabile che tante persone perbene si siano 
                  commosse per la fine di queste persone morte come bestie durante 
                  un trasporto finito male. Ma in pochi, pochissimi hanno cominciato 
                  ad interrogarsi.
  
 
  Senza documenti, senza identità 
 La com-passione, il "comune sentire" in questi casi si ferma 
                  all'emozione del momento, quella che ci fa sentire umanamente 
                  solidali di fronte alle altrui disgrazie. Gli stessi uomini, 
                  le stesse donne, gli stessi bambini smettono di essere "umani" 
                  quando sbarcano, cercano una casa, un lavoro, un ambulatorio, 
                  una scuola. Di colpo si trasformano in un problema di "ordine 
                  pubblico" e le loro sofferenze divengono solo un fastidioso 
                  rumore di sottofondo, come quello degli zoccoli di vitelli imprigionati 
                  su un camion. Carne da sfruttare nei cantieri, nei campi, nelle 
                  produzioni nocive, da internare nei centri di detenzione, da 
                  cacciare quando non serve più. Così di fronte alla morte in mare di qualche decina di sudanesi, 
                  palestinesi, namibiani si continua a parlare di "incidente", 
                  "fatalità". Al più ci si interroga sull'efficienza dei soccorsi, 
                  ci si commuove per qualche minuto.
 Le responsabilità, quelle vere, restano sullo sfondo, sottaciute 
                  se non ignorate. Sono le responsabilità di chi ritiene che le 
                  merci possano circolare liberamente ma non le persone. Le responsabilità 
                  di uno Stato che nega ai migranti, ai profughi la possibilità 
                  di entrare nel proprio territorio. Le responsabilità di chi 
                  erige muri per difendere i propri privilegi, di chi in questi 
                  anni ha costruito un apparato legislativo che di fatto legalizza 
                  la schiavitù. Gli uomini annegati al largo di Lampedusa, come 
                  quelli che muoiono soffocati nei container dei camion o schiacciati 
                  nelle gallerie ferroviarie non sono vittime di "incidenti" ma 
                  vengono quotidianamente assassinati dai governi degli Stati 
                  della civile Europa, culla della democrazia, del diritto, della 
                  tolleranza e della libertà. Principi validi solo per coloro 
                  che hanno avuto la ventura di nascere nella parte "buona" del 
                  pianeta. Gli altri devono restarne fuori. Non sono soggetti 
                  di diritto, sono clandestini, senza documenti, senza identità. 
                  Pagano cifre altissime per fare viaggi rischiosi, su navi strapiene, 
                  gestite da delinquenti senza scrupoli.
 Ma i famigerati scafisti, non diversamente dai trafficanti che 
                  in passato gestivano la tratta degli schiavi verso le americhe, 
                  non sono che l'ultimo anello di una catena al cui capo stanno 
                  i padroni e padroncini di casa nostra cui una manodopera a poco 
                  prezzo, ricattabile e licenziabile senza fatica è assai gradita. 
                  A quelli che non servono, che perdono il lavoro e non lo ritrovano 
                  la legge riserva un soggiorno in quelle galere per immigrati 
                  chiamate "Centri di permanenza temporanea" ed un rapido viaggio 
                  di ritorno nei paesi d'origine. Paesi poveri, spesso in guerra 
                  da cui sono partiti per sfuggire la fame o le persecuzioni.
  
 
  Legalizzazione della schiavitù 
 Di questo devono ringraziare il governo di centro-sinistra, 
                  quello dei girotondi per la legalità, che con la legge 40/'98, 
                  la cosiddetta Turco-Napolitano, ha istituito i CPT. Gli attuali 
                  governanti, saliti al potere con una campagna elettorale giocata 
                  sui temi della xenofobia e del razzismo più bieco, non potevano 
                  essere da meno dei loro predecessori. La legge 795/'02, la Bossi-Fini, 
                  in via di approvazione in Parlamento, trasforma il permesso 
                  di soggiorno in contratto di soggiorno: potranno entrare legalmente 
                  in Italia solo coloro che, tramite apposite agenzie, siano stati 
                  ingaggiati per un lavoro, perso il quale, nel giro di sei mesi 
                  piomberanno nella clandestinità. Gli imprenditori nostrani divengono 
                  di fatto i padroni della vita degli immigrati alle loro dipendenze. 
                  I lavoratori stranieri che non accetteranno i ritmi, gli orari 
                  di lavoro e le retribuzioni loro imposte rischieranno il rimpatrio. 
                  Siamo di fronte alla legalizzazione della schiavitù. Chi infatti 
                  oserà ribellarsi ad un sopruso, lottare contro turni massacranti, 
                  denunciare la carenza di misure di sicurezza o la nocività dell'ambiente? 
                  Chi sciopererà per ottenere una migliore retribuzione o semplicemente 
                  la parità salariale? In compenso la legge impegna il datore 
                  di lavoro a garantire un alloggio agli immigrati che assume. 
                  Niente più problema della casa, niente persone sulle panchine 
                  o nei sottoscala... grazie alla legge Bossi-Fini potranno dormire 
                  direttamente in fabbrica!
 La durata massima della permanenza nei CPT viene estesa a due 
                  mesi. Nuove galere verranno costruite per i richiedenti asilo 
                  politico, che vi verranno rinchiusi, magari per mesi ed anni, 
                  finché la loro richiesta non verrà esaminata e quindi accettata 
                  o respinta. La destra nostrana mostra di saper efficacemente 
                  coniugare efficienza e razzismo e, per non gravare sulle spalle 
                  dei contribuenti nostrani, stabilisce che le spese per le prigioni 
                  per i clandestini verranno sostenute utilizzando i soldi versati 
                  in contributi dai lavoratori stranieri.
 La Marina militare, la stessa che il venerdì di Pasqua del '97, 
                  speronò ed affondò la nave albanese Kater I Rades facendo trecento 
                  morti, la stessa che ha assistito senza intervenire al naufragio 
                  al largo di Lampedusa, avrà il compito di pattugliare i mari 
                  e respingere o catturare i migranti.
 Già sappiamo che le cronache dei prossimi mesi ed anni ci riserveranno 
                  altri "incidenti", altre "disgrazie", altre carrette affondate 
                  con il loro carico umano.
 A noi l'impegno che le urla disperate di chi affoga, di chi 
                  muore perché nato nel posto sbagliato, di chi viene imprigionato 
                  e cacciato perché clandestino, non siano un mero rumore di fondo.
  Maria Matteo
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