Forse non ce ne siamo accorti tutti
(io, per esempio, ho dovuto aspettare che me lo segnalasse un
amico che certi particolari non se li lascia sfuggire), ma può
benissimo darsi che la giornata del 21 febbraio ultimo scorso,
giovedì, abbia segnato un passo avanti davvero decisivo per
la storia del costume e quella delle comunicazioni nel nostro
paese. È in tale data, infatti, che è apparso, a pagina 59 del
"Corriere della Sera", cronaca milanese, edizione cittadina,
una pubblicità veramente strepitosa: quella che invitava "a
visitare il 1° peep show italiano", a Milano, in via tale numero
talaltro, specificando che il pubblico vi avrebbe trovato, dal
lunedì al sabato a partire dalle due del pomeriggio, "sexy cabine,
videocabine multifilms, spettacoli continuati di sexy ballerine",
nonché, per buona misura "champagne room e american bar". E
se è vero che non si tratta di un'inserzione particolarmente
vistosa, stretta com'è tra le ben più visibili offerte di tappeti
e kilim in promozione speciale, appartamenti liberi in viale
Zara (con ampia disponibilità di box) e pregiati capi di cashmere
a prezzo di fabbrica, la sua stessa esistenza è un fatto degno
di nota. Diciamo che si tratta di un'apparizione che va annotata
con cura a futura memoria, a beneficio dei futuri storici dell'evoluzione
del quadro valori nell'Italia berlusconiana.
Naturalmente suppongo che la maggioranza dei lettori di questa
rivista, tutte persone di salda moralità, presumibilmente immuni
da ogni possibile turba di tipo adolescenziale, non sappiano
neanche che cosa siano i peep show. Al massimo ne avranno
sentito parlare, o ne avranno intravisti gli esterni, nel corso
di qualche occasionale viaggio di studio, in certi quartieri
di Londra o di Amburgo, o nelle vie attorno a Times Square a
New York (ce ne devono essere, suppongo, anche a Parigi, ma
lì il severo nazionalismo linguistico dei francesi probabilmente
avrà imposto un nome diverso). Io, personalmente, pur non avendone
mai frequentati, qualche informazione in merito l'ho tratta
dalle mie letture underground. Si tratta, per dirla in
breve, di locali che propongono, letteralmente, degli "spettacoli
per guardoni" (to peep, in inglese, significa, più o
meno, "sbirciare"), come a dire delle esibizioni porno, dal
vivo o su video. Nella versione video, che credo resti la più
diffusa, differiscono dalle normali sale cinematografiche a
luci rosse, oltre che per un maggiore spessore erotico del materiale
esibito, perché vi ci si assiste, in genere, da cabine individuali
(quelle, appunto, garantite dalla pubblicità che vi ho citato),
per permettere a ogni fruitore di reagire nei modi che più gli
sono consoni, e senza alcun imbarazzo, agli stimoli cui è sottoposto.
La presenza di luoghi e ambienti di socializzazione, quali le
champagne room e gli american bar è, naturalmente, un optional,
cui si può aggiungere (ma non a Milano, credo) quella di locali
per massaggi e altre forme di gratificazione eterostimolata.
Certo, si potrebbe osservare che in tutto questo non c'è proprio
nulla di particolarmente nuovo. Istituzioni del genere esistono,
a quanto pare, in tutto il mondo e non ci vuole una particolare
competenza sociologica per capirne le motivazioni di fondo:
sono il frutto evidente di una tendenza caratteristica del nostro
sistema economico sociale: quella di porre in vendita qualsiasi
cosa, compresi gli stimoli sessuali per spiriti (e corpi) solitari.
La globalizzazione, si sa, avanza a grandi passi e certi locali
che potevano sembrare tipici delle grandi e corrotte capitali
nordiche, che un tempo ci si poteva aspettare di trovare soltanto
a Soho e a Sankt Pauli, a Pigalle o sulla 42ª strada, allignano
oggi anche nelle nostre città. Non si vede perché un fenomeno
che si è già pienamente attuato per i fast food non si
dovrebbe ripetere per i peep show.
È vero, naturalmente. Ma non è questo il punto su cui intendevo
richiamare la vostra attenzione. Quello che mi sembra assolutamente
nuovo, l'aspetto per il quale la nostra Milano, a quanto pare,
ha superato in tromba Parigi, Londra, Amburgo e New York consiste
in quell'inserzione pubblicitaria. Ammetto di parlare per supposizioni,
di non avere compiuto indagini approfondite, ma sono pronto
a scommettere che non troverete delle pubblicità di peep
show né sul "Times", né sul "Figaro", per non dire del "Die
Welt" o dei principali quotidiani della Grande Mela. I peep
show cui penso io, di loro natura, si pubblicizzavano con
il passaparola, o grazie ai buoni uffici di procacciatori insinuanti
o di buttadentro tentatori. Erano locali un po' anonimi, notturni,
vagamente poco per bene, cui si accedeva con lo sguardo chino,
il colletto rialzato e il cappello calcato sugli occhi, strisciando
lungo i muri e guardandosi attorno con aria furtiva. Appartenevano,
insomma, a un sottomondo, o, meglio, a un settore economico
commerciale che non ci si aspettava si facesse pubblicità sul
principale quotidiano del paese. In un certo senso, quell'inserzione
sul "Corriere" ha infranto un tabù, ha scalato un livello, ha
cambiato una volta per tutte le carte in tavola. Anche quel
tipo di commercio lì è entrato a vele spiegate nel mercato ufficiale.
Le esigenze del mercato
La parola chiave, nell'affermazione di cui sopra, è, naturalmente,
"ufficiale". Che si facesse commercio di sesso, in forma diretta
o indiretta, anche a mezzo stampa, non era certo una novità
per nessuno. Dopo tutto, per vendere bisogna render note in
qualche modo le proprie offerte. Di fatto, su quasi tutti i
principali quotidiani, compreso quello stesso numero del "Corriere",
nel settore degli annunci economici, o "piccola pubblicità"
che dir si voglia, si trovano (nel caso specifico a pagina 38)
quante offerte in tal senso chiunque possa desiderare. Ma sono,
secondo una certa tradizione, opportunamente, sia pur trasparentemente,
mascherate: le "bellissime ragazze italiane" che "eseguono massaggi
completi" in "ambiente elegante e riservato" o la "accompagnatrice
mulatta raffinata giovanissima" che "riceve Milano disponibile
serate viaggi" figurano, rispettivamente, nella sezione "Palestre,
Saune, Massaggi" e in quella "Clubs e Associazioni", il che
permette a chi lo desideri (inclusa, suppongo, la proprietà
delle varie testate) di credere che le loro competenze siano
di tipo paramedico, sportivo o puramente sociale e mondano.
Si tratta di una ormai consolidata forma di ipocrisia, di una
sorta di foglia di fico pubblicistica che non ingannava nessuno,
ma di cui il sistema editoriale sentiva di avere, in qualche
modo, bisogno.
Se, nel caso del peep show milanese questa foglia di
fico è stata brutalmente eliminata, ci saranno stati dei motivi.
Dei motivi, suppongo, di natura imprenditoriale, nel senso che
i promotori di quel locale avranno deciso che i loro investimenti
non andavano trattati diversamente da quelli di chiunque altro,
né dal punto di vista della rispettabilità né da quello del
marketing. Sia come sia, la via è finalmente aperta a
ogni successivo sviluppo. E non crediate che questi sviluppi
riguarderanno soltanto i cultori del sesso a pagamento o quelli
dell'onanismo in cabina.
Se una qualsiasi attività umana viene ridotta a merce, tutto
il settore che la riguarda non potrà che essere, presto o tardi,
mercificato. Alle superiori esigenze del mercato, d'altronde,
bisogna sempre essere disposti a sacrificare qualcosa. E che
gli dei ce la mandino buona.
Carlo Oliva
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