Rivista Anarchica Online


costume

Pubblici inviti al voyeurismo
di Carlo Oliva

Se non avete visitato il 1° peep show italiano, leggete qui. E meditate.

Forse non ce ne siamo accorti tutti (io, per esempio, ho dovuto aspettare che me lo segnalasse un amico che certi particolari non se li lascia sfuggire), ma può benissimo darsi che la giornata del 21 febbraio ultimo scorso, giovedì, abbia segnato un passo avanti davvero decisivo per la storia del costume e quella delle comunicazioni nel nostro paese. È in tale data, infatti, che è apparso, a pagina 59 del "Corriere della Sera", cronaca milanese, edizione cittadina, una pubblicità veramente strepitosa: quella che invitava "a visitare il 1° peep show italiano", a Milano, in via tale numero talaltro, specificando che il pubblico vi avrebbe trovato, dal lunedì al sabato a partire dalle due del pomeriggio, "sexy cabine, videocabine multifilms, spettacoli continuati di sexy ballerine", nonché, per buona misura "champagne room e american bar". E se è vero che non si tratta di un'inserzione particolarmente vistosa, stretta com'è tra le ben più visibili offerte di tappeti e kilim in promozione speciale, appartamenti liberi in viale Zara (con ampia disponibilità di box) e pregiati capi di cashmere a prezzo di fabbrica, la sua stessa esistenza è un fatto degno di nota. Diciamo che si tratta di un'apparizione che va annotata con cura a futura memoria, a beneficio dei futuri storici dell'evoluzione del quadro valori nell'Italia berlusconiana.
Naturalmente suppongo che la maggioranza dei lettori di questa rivista, tutte persone di salda moralità, presumibilmente immuni da ogni possibile turba di tipo adolescenziale, non sappiano neanche che cosa siano i peep show. Al massimo ne avranno sentito parlare, o ne avranno intravisti gli esterni, nel corso di qualche occasionale viaggio di studio, in certi quartieri di Londra o di Amburgo, o nelle vie attorno a Times Square a New York (ce ne devono essere, suppongo, anche a Parigi, ma lì il severo nazionalismo linguistico dei francesi probabilmente avrà imposto un nome diverso). Io, personalmente, pur non avendone mai frequentati, qualche informazione in merito l'ho tratta dalle mie letture underground. Si tratta, per dirla in breve, di locali che propongono, letteralmente, degli "spettacoli per guardoni" (to peep, in inglese, significa, più o meno, "sbirciare"), come a dire delle esibizioni porno, dal vivo o su video. Nella versione video, che credo resti la più diffusa, differiscono dalle normali sale cinematografiche a luci rosse, oltre che per un maggiore spessore erotico del materiale esibito, perché vi ci si assiste, in genere, da cabine individuali (quelle, appunto, garantite dalla pubblicità che vi ho citato), per permettere a ogni fruitore di reagire nei modi che più gli sono consoni, e senza alcun imbarazzo, agli stimoli cui è sottoposto. La presenza di luoghi e ambienti di socializzazione, quali le champagne room e gli american bar è, naturalmente, un optional, cui si può aggiungere (ma non a Milano, credo) quella di locali per massaggi e altre forme di gratificazione eterostimolata.
Certo, si potrebbe osservare che in tutto questo non c'è proprio nulla di particolarmente nuovo. Istituzioni del genere esistono, a quanto pare, in tutto il mondo e non ci vuole una particolare competenza sociologica per capirne le motivazioni di fondo: sono il frutto evidente di una tendenza caratteristica del nostro sistema economico sociale: quella di porre in vendita qualsiasi cosa, compresi gli stimoli sessuali per spiriti (e corpi) solitari. La globalizzazione, si sa, avanza a grandi passi e certi locali che potevano sembrare tipici delle grandi e corrotte capitali nordiche, che un tempo ci si poteva aspettare di trovare soltanto a Soho e a Sankt Pauli, a Pigalle o sulla 42ª strada, allignano oggi anche nelle nostre città. Non si vede perché un fenomeno che si è già pienamente attuato per i fast food non si dovrebbe ripetere per i peep show.
È vero, naturalmente. Ma non è questo il punto su cui intendevo richiamare la vostra attenzione. Quello che mi sembra assolutamente nuovo, l'aspetto per il quale la nostra Milano, a quanto pare, ha superato in tromba Parigi, Londra, Amburgo e New York consiste in quell'inserzione pubblicitaria. Ammetto di parlare per supposizioni, di non avere compiuto indagini approfondite, ma sono pronto a scommettere che non troverete delle pubblicità di peep show né sul "Times", né sul "Figaro", per non dire del "Die Welt" o dei principali quotidiani della Grande Mela. I peep show cui penso io, di loro natura, si pubblicizzavano con il passaparola, o grazie ai buoni uffici di procacciatori insinuanti o di buttadentro tentatori. Erano locali un po' anonimi, notturni, vagamente poco per bene, cui si accedeva con lo sguardo chino, il colletto rialzato e il cappello calcato sugli occhi, strisciando lungo i muri e guardandosi attorno con aria furtiva. Appartenevano, insomma, a un sottomondo, o, meglio, a un settore economico commerciale che non ci si aspettava si facesse pubblicità sul principale quotidiano del paese. In un certo senso, quell'inserzione sul "Corriere" ha infranto un tabù, ha scalato un livello, ha cambiato una volta per tutte le carte in tavola. Anche quel tipo di commercio lì è entrato a vele spiegate nel mercato ufficiale.


Le esigenze del mercato

La parola chiave, nell'affermazione di cui sopra, è, naturalmente, "ufficiale". Che si facesse commercio di sesso, in forma diretta o indiretta, anche a mezzo stampa, non era certo una novità per nessuno. Dopo tutto, per vendere bisogna render note in qualche modo le proprie offerte. Di fatto, su quasi tutti i principali quotidiani, compreso quello stesso numero del "Corriere", nel settore degli annunci economici, o "piccola pubblicità" che dir si voglia, si trovano (nel caso specifico a pagina 38) quante offerte in tal senso chiunque possa desiderare. Ma sono, secondo una certa tradizione, opportunamente, sia pur trasparentemente, mascherate: le "bellissime ragazze italiane" che "eseguono massaggi completi" in "ambiente elegante e riservato" o la "accompagnatrice mulatta raffinata giovanissima" che "riceve Milano disponibile serate viaggi" figurano, rispettivamente, nella sezione "Palestre, Saune, Massaggi" e in quella "Clubs e Associazioni", il che permette a chi lo desideri (inclusa, suppongo, la proprietà delle varie testate) di credere che le loro competenze siano di tipo paramedico, sportivo o puramente sociale e mondano. Si tratta di una ormai consolidata forma di ipocrisia, di una sorta di foglia di fico pubblicistica che non ingannava nessuno, ma di cui il sistema editoriale sentiva di avere, in qualche modo, bisogno.
Se, nel caso del peep show milanese questa foglia di fico è stata brutalmente eliminata, ci saranno stati dei motivi. Dei motivi, suppongo, di natura imprenditoriale, nel senso che i promotori di quel locale avranno deciso che i loro investimenti non andavano trattati diversamente da quelli di chiunque altro, né dal punto di vista della rispettabilità né da quello del marketing. Sia come sia, la via è finalmente aperta a ogni successivo sviluppo. E non crediate che questi sviluppi riguarderanno soltanto i cultori del sesso a pagamento o quelli dell'onanismo in cabina.
Se una qualsiasi attività umana viene ridotta a merce, tutto il settore che la riguarda non potrà che essere, presto o tardi, mercificato. Alle superiori esigenze del mercato, d'altronde, bisogna sempre essere disposti a sacrificare qualcosa. E che gli dei ce la mandino buona.

Carlo Oliva