| Che la manifestazione che si è svolta 
                  a Roma il 15 febbraio sarebbe stata numerosa e vivace era prevedibile. 
                  L'indizione da parte dell'assieme dei sindacati alternativi, 
                  la revoca dello sciopero da parte di CGIL-CISL-UIL e lo scontento 
                  di vasta parte della loro stessa base oltre che di consistenti 
                  settori dei militanti e dei dirigenti, soprattutto della CGIL, 
                  l'andamento delle assemblee, la buona riuscita di precedenti 
                  mobilitazioni come quella contro la legge Bossi-Fini, inducevano 
                  ad un ragionevole ottimismo. Il fatto che si fossero organizzati treni da diverse province 
                  e che il numero di persone disponibili a venire fosse ampiamente 
                  superiore alla media era un segnale di vivacità sociale.
 Ritengo, però, che la riuscita della manifestazione sia andata 
                  oltre le valutazioni più ottimistiche: due ore abbondanti di 
                  corteo, l'occupazione della storica Piazza San Giovanni, il 
                  fatto che, sebbene vi fosse una rilevante presenza di studenti 
                  e di militanti di diverse aree politiche e sociali, la grande 
                  maggioranza dei partecipanti al corteo fosse costituita da lavoratori 
                  in sciopero è un segnale sociale da considerare in tutta la 
                  sua rilevanza.
 Se a questo dato aggiungiamo la vivacità del corteo, le ricadute 
                  che avrà certamente sui posti di lavoro, l'effetto di rilancio 
                  dal punto di vista del conflitto sociale e della militanza che 
                  possiamo ragionevolmente aspettarci, si può affermare che l'opposizione 
                  sociale ha vinto una battaglia e non una battaglia di poco conto.
  
  Sulla composizione e sulla natura del corteo 
 La manifestazione ha visto una presenza massiccia di lavoratori 
                  della scuola e del pubblico impiego. Consistenti erano, inoltre, 
                  i gruppi di lavoratori del settore privato sia la tradizionale 
                  working class che, ed è un dato da non sottovalutare, 
                  giovani, precari, lavoratori "anomali". Lo sciopero del 15 febbraio ha, con ogni evidenza, ripreso la 
                  spinta delle mobilitazioni del settore privato contro l'abolizione 
                  dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che vi sono state 
                  a gennaio e, soprattutto, posto all'ordine del giorno il rifiuto 
                  dell'accordo del 4 febbraio fra governo e CGIL-CISL-UIL.
 Su questo aspetto della mobilitazione è necessaria la massima 
                  chiarezza. Vi è, da più parti, la tendenza a presentare lo sciopero 
                  del 15 febbraio come l'espressione di una pressione della base 
                  dei sindacati istituzionali sulle proprie organizzazioni di 
                  appartenenza affinché si pongano in maniera più combattiva nei 
                  confronti del governo.
 Basta, a questo proposito, leggere una dichiarazione, fra le 
                  tante:
 
 Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom nazionale
 "(...) e sono molto contento della riuscita dello sciopero 
                  e della manifestazione. Molti dei contenuti di questa lotta 
                  sono i contenuti delle lotte sociali, dai metalmeccanici a quelle 
                  dei movimenti, di questi mesi. Ma soprattutto questa lotta dà 
                  una chiarissima indicazione che lo sciopero generale di tutti, 
                  dalla scuola all'industria, non solo è necessario ma è anche 
                  maturo nella coscienza dei lavoratori. Per questo credo che 
                  il prossimo direttivo della Cgil dovrà coerentemente giungere 
                  a questa decisione di lotta (...)".
 
 È, con ogni evidenza, legittimo da parte di settori della CGIL, 
                  pensare che lo sciopero del 15 febbraio possa essere funzionale 
                  ad una battaglia interna alla CGIL stessa ma va chiarito che 
                  quello del 15 febbraio non è stato uno sciopero volto a imporne 
                  un altro ad una dirigenza sindacale riottosa ma uno sciopero 
                  costruito e assunto da ampi settori di lavoratori su contenuti 
                  precisi.
 Il rifiuto dell'accordo del 4 febbraio, infatti, è già l'espressione 
                  di quella "piattaforma anticoncertativa" che caratterizza 
                  il movimento non dal 15 febbraio ma dagli scioperi contro gli 
                  accordi del luglio '92 e del luglio '93 che resero visibile 
                  l'esistenza su scala nazionale ed intercategoriale del sindacalismo 
                  di base.
 Per ribadirlo in maniera schematica, l'assieme del sindacalismo 
                  di base, al di là delle differenti posizioni e delle singole 
                  scelte organizzative ha ragione di esistere proprio perché esprime 
                  il rifiuto del corporativismo democratico che costituisce il 
                  quadro dell'azione e della cultura di CGIL-CISL-UIL e del tradizionale 
                  sindacalismo autonomo.
 Si tratta ora, oltre che di preparare e sviluppare le prossime 
                  mobilitazioni. Una rottura su di una questione contingente può 
                  diventare l'occasione per liberare forze ed energie dalla defatigante 
                  battaglia interna al sindacalismo di stato e per ricollocarle 
                  sul terreno dello scontro su contenuti chiari con il governo 
                  ed il padronato.
  
  L'unità del sindacalismo alternativo 
 Lo sciopero del 15 febbraio segue alcuni mesi di rapporti complicati 
                  nel campo del sindacalismo alternativo. Nel corso dell'autunno 
                  passato, infatti, non si è riusciti ad indire iniziative unitarie 
                  contro al guerra, la legge finanziaria, il riordino dei cicli 
                  scolastici. Le divisioni del sindacalismo di base hanno, contemporaneamente, 
                  depotenziato la sua azione e ridato spazio all'illusione di 
                  riconquistare settori dell'apparato del sindacalismo istituzionale 
                  a posizioni conflittuali. Settori consistenti del sindacalismo 
                  di base hanno, da questo punto di vista, mostrato preoccupanti 
                  oscillazioni sia per dinamiche interne che per pressioni esterne.
 Sarebbe sbagliato nascondersi che il successo della giornata 
                  del 15 febbraio è stata favorita anche dalla scelta del sindacalismo 
                  istituzionale di revocare lo sciopero. Non è, naturalmente, 
                  possibile fare una valutazione precisa dell'effetto di questa 
                  scelta e di quanti di coloro che venerdì erano in piazza con 
                  noi sarebbero stati al corteo di CGIL-CISL-UIL ma certo alcuni 
                  settori del corteo erano costituiti da lavoratori e militanti 
                  che, in presenza di due cortei, sarebbero stati, in funzione 
                  critica, per carità, all'altro.
 Se, però, è chiaro, a chiunque abbia un'idea ragionevole della 
                  natura sociale dei diversi sindacati, che la revoca dello sciopero 
                  da parte dei sindacati istituzionali non è stato un "tradimento" 
                  ma l'unica conseguenza possibile di una linea sindacale che 
                  fa della concertazione il suo principale obiettivo, questa chiarezza 
                  deve diventare un patrimonio di settori sempre più larghi del 
                  movimento dei lavoratori.
 Non si tratta, di conseguenza, di chiudersi nella falsa opposizione 
                  fra l'accettazione del ruolo gruppo di pressione sui sindacati 
                  istituzionali e la chiusura rispetto ai lavoratori combattivi 
                  che non fanno riferimento al sindacalismo alternativo ma di 
                  distinguere in maniera chiara fra l'unità fra lavoratori, che 
                  va perseguita e un'unità burocratica e subalterna che vuol solo 
                  dire che ci si illude che il sindacato istituzionale possa giocare 
                  un ruolo diverso da quello che gli impone la sua natura.
 Di un'unità dal basso reale la manifestazione del 15 è stata 
                  un esempio importante:
 1) perché ha visto assieme lavoratori di categorie diverse, 
                  giovani ed anziani, normati e precari, dipendenti pubblici e 
                  privati, su di una piattaforma comune e generale capace di tenere 
                  assieme obiettivi di categoria ed aziendali;
 2) perché ha coinvolto settori del movimento degli studenti, 
                  di quello degli immigrati, di coloro che si oppongono alla guerra 
                  legando l'iniziativa sul terreno di classe alle questioni generali 
                  che caratterizzano l'opposizione sociale;
 3) perché diversi sindacati alternativi sono riusciti a scegliere 
                  assieme una data, un percorso, una piattaforma al di là delle 
                  differenze che li caratterizzano. Soprattutto dalle "periferie" 
                  delle diverse organizzazioni questo dato è stato colto con grande 
                  soddisfazione. I lavoratori ed i militanti che stanno quotidianamente 
                  in trincea nelle singole aziende e che spesso faticano a comprendere 
                  le ragioni di scelte diverse per quanto riguarda le mobilitazioni 
                  hanno oggi un argomento ed una ragione in più per premere per 
                  una maggior unità nelle lotte, in primo luogo, e, perché escluderlo?, 
                  organizzativa dove se ne diano le condizioni.
 Non si tratta, ovviamente, di fare forzature in questa direzione 
                  né di dimenticare che permangono importanti differenze fra i 
                  diversi sindacati alternativi ma di valorizzare quanto unisce 
                  e di discutere serenamente su ciò che divide.
 Come sovente accade, insomma, una vittoria ci pone di fronte 
                  a nuove prospettive ed a nuove responsabilità. Sta a noi il 
                  coglierle nella maniera migliore.
  
  Nuovo movimento vecchi giochi d'apparato 
 Non ritengo sia arrogante pensare che la scelta della CGIL 
                  di lanciare da sola una manifestazione il 23 marzo ed uno sciopero 
                  il 5 aprile, lacerando le relazioni con CISL e UIL appena dopo 
                  aver "conquistato" assieme l'accordo del 4 febbraio, risenta 
                  anche dell'esigenza di recuperare le aree di dissidenza che 
                  si sono rese visibili il 15 febbraio. Le ragioni e le dinamiche che caratterizzano l'attuale scontro 
                  fra CGIL e CISL meriterebbero una riflessione a parte.
 Va, a mio avviso, tenuta ben presente la complessità della situazione 
                  ma vanno colte le possibilità che si determinano. Il conflitto 
                  sociale trova nella tensione interna all'apparato sindacale 
                  uno spazio per svilupparsi. Se consideriamo, per un verso, gli 
                  effetti possibili la recente mobilitazione borghese contro la 
                  cleptocrazia e, per l'altro, lo sviluppo di un nuovo movimento 
                  giovanile, abbiamo una schematica comprensione del fatto che 
                  si aprono prospettive interessanti se sapremo cogliere l'occasione.
  Cosimo Scarinzi
 
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