| C'è solo una cosa su cui concordo con 
                  Tobia Imperato, forse. Probabilmente, è sbagliato scrivere che 
                  tra i rivoltosi che componevano  o che sono stati identificati 
                  con  il "blocco nero" non vi fossero anche anarchici. 
                  Non esiste un unico modo, "politicamente corretto", di essere 
                  anarchici, né esiste un "decalogo", come lo chiama Imperato, 
                  del comportamento del buon anarchico. L'anarchismo è pluralista, 
                  e ci sono diversi modi di pensarsi e di essere anarchici. Tuttavia, 
                  il fatto che il discrimine non sia dato da un decalogo non significa 
                  che non ci sia. Se, per esempio, un giorno esco di casa e stupro 
                  una bambina, rivendicando questa azione come anarchica, è chiaro 
                  che questo mio comportamento e questa mia rivendicazione di 
                  appartenenza non fanno di me un anarchico. Non tutti i comportamenti 
                  e non tutte le posizioni sono dunque anarchiche: occorre che 
                  rientrino in quel "codice" non scritto come tale, certo flessibile, 
                  ma fino ad un certo punto, che fa parte della cultura e della 
                  tradizione dell'anarchismo. Nel suo articolo, Tobia si sforza di dimostrare che le azioni 
                  del "blocco nero" o di come lo si voglia chiamare rientrano 
                  pienamente proprio in ciò: nella cultura, nella tradizione, 
                  nella pratica anarchica, o, come sarebbe più corretto dire, 
                  di un certo anarchismo. Può darsi che abbia ragione. A me, comunque, 
                  è una questione che interessa fino ad un certo punto. Il punto 
                  vero, infatti, per me è stabilire se quel tipo di azioni siano 
                  giuste e utili, non se siano anarchiche.
 Può darsi che mettere bombe in un caffè "borghese", come fecero 
                  alcuni anarchici "individualisti" in Francia alla fine dell'Ottocento, 
                  sia un tipo di "pratica" perfettamente giustificabile dal un 
                  punto di vista di un certo anarchismo: resta il fatto che per 
                  la mia etica è una azione aberrante, e ho tutto il diritto di 
                  non riconoscermi in questo modo di intendere l'anarchismo e 
                  la lotta politica. Così, del resto, ho tutto il diritto di cercare 
                  di persuadere gli anarchici della inutilità e della ingiustizia 
                  anche di altri tipi azioni, certo molto differenti, come ho 
                  pieno diritto di invitare gli altri anarchici ad isolare questo 
                  tipo di comportamenti e le teorizzazioni ideologiche che li 
                  motivano. Questo era il senso di quel comunicato: "noi" ci riconosciamo 
                  in un tipo di anarchismo che non ha nulla a che spartire con 
                  certe azioni, "noi" non vogliamo avere nulla a che fare con 
                  gli individui che giustificano e praticano un certo tipo di 
                  azioni. È questo il senso della frase "fare piazza pulita" che 
                  Imperato contesta: quello di invitare ad approfondire una divisione 
                  che di fatto esiste già da molti anni, e a rimarcare con forza 
                  questa divisione, in modo che non ci siano spazi di ambiguità.
 Vorrei ora brevemente analizzare alcune frasi dell'articolo 
                  di Imperato: non per dimostrare che lui non è un anarchico, 
                  ma per rimarcare che, sicuramente, c'è un abisso ormai incolmabile 
                  tra un certo modo di intendere l'anarchismo, nel quale mi riconosco, 
                  come penso si riconoscano Francesco Codello e tutti quelli criticati 
                  da Tobia, e un altro, nel quale invece si identifica Imperato. 
                  Una distanza così netta che mi fa ritenere che questi due modi 
                  di intendere l'anarchismo abbiano in comune solo il nome.
  
 
  Agnoletto, Casirini e... 
 Anzitutto, contesto l'idea che il "lanciare sassi agli sbirri", 
                  come scrive Imperato, sia un semplice gesto di autodifesa, di 
                  per sé. Se ciò accade in seguito ad una carica della polizia, 
                  posso ammettere che rientri nel concetto di autodifesa; se ciò 
                  accade perché inizio io a tirare i sassi, mi sembra che questo 
                  comportamento rientri nel concetto di offesa, più che di autodifesa: 
                  almeno se le parole hanno un senso, e non vengono usate per 
                  coprire la verità. Quanto al fatto di andare alle manifestazioni incappucciati, 
                  esprimo la mia totale perplessità rispetto a queste pratiche. 
                  Gaetano Bresci, e come lui molti attentatori anarchici, agivano 
                  da individui, assumendosi la responsabilità delle loro azioni. 
                  Partecipare alle manifestazioni col cappuccio mi pare invece 
                  sia l'esatto opposto: non volersi prendere nessuna responsabilità. 
                  Capisco bene che nessuno vuole essere denunciato, ma bisogna 
                  essere consapevoli del fatto che l'andare in giro incappucciati 
                  e armati di spranghe fa pensare ad una formazione paramilitare 
                  piuttosto che ad un gruppo di persone che, se anarchiche, dovrebbero 
                  riconoscersi in valori antimilitaristi.
 Ancora: Imperato scrive che "il paventato Black Bloc non è stato 
                  altro che un'invenzione mediatica". Può darsi. Resta il fatto 
                  che alcune centinaia di individui hanno compiuto quelle azioni 
                  che sono state attribuite, per comodità, per ipocrisia o altro, 
                  a tale agglomerato di persone. Oppure anche queste azioni sono 
                  un'invenzione mediatica? Non nascondiamoci dietro i nomi, per 
                  piacere. Io non penso che quelle centinaia o migliaia di persone 
                  fossero infiltrate o provocatrici. Penso che abbiano fatto cose 
                  sbagliate e dannose: che è un altro discorso.
 Quanto al fatto che il movimento non appartenga ai vari Agnoletto 
                  e Casarini, anche questo mi sembra un concetto non corretto. 
                  Certo, la loro volontà di egemonizzare il movimento va ostacolata: 
                  in fondo, sono i soliti vecchi leninisti, e personalmente, quando 
                  sento parlare Luca Casarini provo un senso di pena per la sua 
                  pochezza intellettuale e di estremo fastidio per la sua marpioneria 
                  militante. Ma credo che il movimento appartenga anche a loro: 
                  mi pare che il social forum abbia mobilitato decine di 
                  migliaia di persone, o sbaglio? Infinitamente molto di più di 
                  altri.
 Un altro punto. Imperato invita "bakuninianamente" a comprendere 
                  le dinamiche della rivolta: "Quel momento magico in cui anche 
                  quelli che sino al giorno prima non si interessavano alle idee 
                  rivoluzionarie prendono improvvisamente coscienza e si mettono 
                  in gioco, sino a lasciarci la pelle". Non so se Bakunin abbia 
                  scritto una frase simile a questa. A me comunque fa paura e 
                  disgusto insieme, perché mi sembra il pensiero di un talebano. 
                  Si tratta di una manifestazione di puro fanatismo, e io, da 
                  libertario, osteggio tutti i fanatismi, compreso quello "anarchico". 
                  Non ci trovo niente di "magico" nel fatto che un individuo si 
                  immoli per la causa sino a lasciarci la pelle. Mi pare una cosa 
                  tragica, molto tragica. Dubito poi che una persona, come per 
                  illuminazione divina, diventi anarchica, prenda "improvvisamente 
                  coscienza", partecipando ad una manifestazione, o lanciando 
                  un sasso agli "sbirri". Imperato mi sembra identificare, qui 
                  e in tutto l'articolo, il ribellismo con l'anarchismo.
 
  
  Ma quale "popolo insorto"? 
 Quanto al concetto di rivolta, io mi ritrovo molto in quello 
                  espresso da Albert Camus, che mi sembra ben più profondo e più 
                  problematico che non la rivolta che coincide con lo spaccare 
                  le vetrine delle banche oppure con il dare alle fiamme le macchine. 
                  Ognuno, evidentemente, sceglie il concetto di rivolta, e di 
                  pratica di rivolta, che più gli si addice. Per quanto mi riguarda, 
                  la necrofilia mistica ed estetizzante della frase succitata 
                  mi fa ribrezzo, perché contiene un disprezzo, che giudico vergognoso, 
                  della vita umana. Mi fa paura, perché per me il "prendere coscienza" 
                  significa il divenire critici, critici di tutto, anche  
                  anzi: in primo luogo  delle proprie idee. Prendere coscienza 
                  per me significa acquistare una coscienza, farsi una coscienza: 
                  non vedo come si possa prendere coscienza nel momento in cui 
                  si perde il lume della ragione ed, anima e corpo, ci si consacra 
                  ad una causa  pardon, rivolta  perdendo ogni spirito 
                  di critica, autocritica ed indipendenza intellettuale; prima 
                  di perdere anche la vita. Da ascrivere a questa visione mistica è anche una espressione 
                  contenuta in una delle ultime frasi. "A Genova hanno parlato 
                  i fatti. Gli anarchici (non tutti, purtroppo) sono stati 
                  presenti in piazza, col popolo insorto, con i giovani in azione". 
                  Come si fa ad identificare qualche migliaio di "insorti" giunti 
                  da tutta Europa con il popolo? Di quale popolo parla Imperato? 
                  Dei "no global" non può essere, perché la maggioranza dei partecipanti 
                  non si riconosceva nelle azioni degli "insorti". Lo hanno detto 
                  a chiare lettere. Del popolo italiano o di quello europeo nemmeno. 
                  Ma dove vivi, e, soprattutto, quando e in che periodo vivi, 
                  caro Tobia?
 Infine, veniamo all'ultimo punto, il più importante. Imperato 
                  si commuove nel vedere "una banca devastata, con le A cerchiata 
                  tracciate sul muro". Il suo cuore, di fronte a tali immagini, 
                  si scalda e tutto ciò lo convince. Che sensibilità delicata! 
                  Chissà cosa ne pensa il popolo di tutto ciò: quello vero, che 
                  non coincide affatto con l'infima minoranza "insorta". Andate 
                  a parlare di anarchia alla gente comune - perché è quella che 
                  bisogna convincere se si vuole cambiare questa società - dopo 
                  la guerriglia di Genova. Constatate con mano quanta credibilità 
                  hanno acquisito gli anarchici dopo quei fatti. Io ho l'impressione 
                  che il popolo vero, per la maggior parte, di fronte a tali immagini 
                  di devastazione, non si sia affatto convinto, e che il cuore 
                  di milioni di persone non si sia affatto scaldato. Ma forse 
                  il vero rivoluzionario se ne frega di quello che pensa la gente 
                  comune, forse queste sono solo "menate".
 Il popolo è insorto...mandando al governo Berlusconi, Fini e 
                  Casini. Ancora: ma dove vivi, Tobia Imperato?
 Egli infine, rimprovera al movimento anarchico di essersi "ammosciato". 
                  Di fronte a questo "ammosciamento generale" si compiace che 
                  lo spirito di rivolta continui "a serpeggiare fra le giovani 
                  generazioni, e, diversamente dai decenni passati, si tinge di 
                  un nero libertario e liberatorio". Per me quel nero del "blocco 
                  nero" comunicava solo disperazione, e per ciò mi ha messo una 
                  infinità tristezza, mentre a milioni di persone ha fatto venire 
                  una grande rabbia. Dunque, sarebbero queste giovani generazioni 
                  a tenere alto l'Ideale: siamo messi bene! Prevedo un grande 
                  sviluppo per il movimento anarchico nei prossimi decenni...
 Il fatto è che io penso esattamente il contrario: penso che 
                  se il movimento anarchico è così poco incisivo, è proprio perché, 
                  tra le altre cause, nella sua maggioranza non si è "ammosciato"; 
                  perché, di fronte al venir meno, negli ultimi cinquant'anni, 
                  delle tensioni rivoluzionarie, di fronte alle disfatte subite, 
                  di fronte alle smentite che la storia ha dato ad alcune sue 
                  pretese "verità", di fronte infine a una società completamente 
                  diversa da quella nella quale era nato e si era sviluppato, 
                  non si è saputo "adattare": mantenendo saldi i princìpi di fondo 
                  e mutando strategia e tattica, adattandola ai tempi nuovi, cercando 
                  e proponendo poi di conseguenza un programma di cambiamenti 
                  graduali, concreti e attuabili nel breve periodo, alternativi 
                  a quello della rivoluzione violenta e insurrezionale. Invece 
                  ha continuato a predicare "o tutto o niente", e i risultati 
                  sono sotto gli occhi di tutti.
 Dubito che buona parte degli anarchici attuali voglia davvero 
                  fare i conti con la propria storia e con i propri errori; dubito 
                  fortemente che, a breve termine, si sappia e si voglia fare 
                  quella revisione necessaria a restituire linfa vitale all'anarchismo. 
                  Ci vorranno probabilmente altre generazioni, perché si tratta, 
                  dal mio punto di vista, di un cambiamento molto forte, nel pensiero 
                  e nell'approccio stesso con la vita, oltre che con la politica.
 In mezzo a tutti questi dubbi, una delle poche certezze è proprio 
                  questa: che la rivitalizzazione del pensiero anarchico e delle 
                  pratiche libertarie non avverrà certamente per opera di gruppuscoli 
                  di guerriglieri metropolitani. Oggi si firmano con la A cerchiata, 
                  ieri con la sigla autonomia operaia, domani con un'altra sigla. 
                  È una moda, come tante: del resto, siamo nella società dello 
                  spettacolo, e la cosa più triste è che questi contestatori globali 
                  dello spettacolo mondiale non si rendono conto di recitare una 
                  parte, al pari di altri. Che essi si autodefiniscano anarchici 
                  non vedo cosa cambi nella sostanza, se non il fatto di allontanarci 
                  e di estraniarci ancor più dal popolo; sempre, naturalmente, 
                  che ne esista ancora uno degno di questo nome. Della qual cosa 
                  ho molti dubbi.
  Francesco Berti
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