|  Diaz irae 
                    Ci sono date, e luoghi, che restano impressi nella memoria 
                  di una generazione. O di più generazioni, che però hanno in 
                  comune qualcosa. Genova 2001 lascerà forse come Bologna '77, 
                  o Seattle '99, una traccia indelebile nei tanti che hanno manifestato 
                  nel capoluogo ligure, durante il caldo luglio scorso. Non potrà 
                  essere dimenticato facilmente il trauma di migliaia di persone 
                   molti dei quali avevano come "esperienze politiche" più 
                  rilevanti un campeggio scout, o la tessera del Wwf in tasca 
                   padri e madri di famiglia, adolescenti, signori attempati 
                  con i primi acciacchi dell'età, bastonati mentre tengono le 
                  braccia alzate. Ma se di quanto accaduto per le vie e le piazze 
                  genovesi esiste una documentazione sterminata, soprattutto in 
                  video, mancava un tassello importante alle giornate dell'anti 
                  G8: l'incursione notturna alla scuola Diaz. È dunque 
                  una testimonianza preziosa, quella che ricostruisce, con occhio 
                  partecipato ma fedele di cronista, l'assalto delle forze dell'ordine 
                  alla scuola dove dormivano 93 persone, in maggioranza stranieri, 
                  nella notte fra il 21 e il 22 luglio. Lorenzo Guadagnucci, il 
                  giornalista del Resto del Carlino che racconta la sua 
                  esperienza personale, ci è finito per caso, dentro la scuola 
                  dell'orrore, da cui lui e gli altri usciranno con le ossa rotte, 
                  feriti a sangue dalla furia di un gruppo di poliziotti di cui 
                  probabilmente non si saprà mai il nome. Ma soprattutto non si conoscerà probabilmente mai il perché, 
                  quell'angosciosa domanda che l'autore pone fin dalla prima parola 
                  del libro, alla ricerca di una spiegzione per quella gragnuola 
                  di colpi che lo sveglia, nella notte.
 Perché i calci in faccia alle ragazzine, i pestaggi con vari 
                  strumenti di offesa a una persona anziana, già mezza tramortita 
                  a terra? La polizia sostiene di aver avuto notizia che la Diaz 
                  fosse il covo dei black bloc, che hanno "devastato" Genova nei 
                  due giorni precedenti. Questa, almeno è la versione ufficiale. 
                  Ma per comprendere quello che è accaduto a Genova, e come un 
                  giornalista economico può capitare in quella scuola, Guadagnucci 
                  sceglie il metro più adatto: ripercorrere i passi di un movimento 
                  balzato all'evidenza pubblica nel novembre '99 a Seattle, e 
                  che affonda le sue radici ormai in una sperduta città del sud 
                  del Brasile, Porto Alegre, dove l'autore ha partecipato ai lavori 
                  del primo Forum sociale mondiale. Dunque, per tenere fede a 
                  un percorso personale, osservare da vicino le manifestazioni 
                  contro il G8, il giornalista esce di casa alle 4 di mattina, 
                  diretto a Genova, dove seguirà il corteo in compagnia di alcuni 
                  colleghi. Li lascerà solo a sera, alla ricerca di un posto per 
                  dormire. Nel volume Noi della Diaz (ed.Berti, 173 pagine, 
                  8 euro) ci sono le botte di quella tragica nottata, i drammatici 
                  giorni successivi, trascorsi in ospedale con lo spettro di una 
                  carcerazione vissuta come suprema ingiustizia, dopo quanto si 
                  è subito; ma c'è anche lo sfondo, la cornice che avvolge un 
                  quadro dipinto con colori fin troppo accesi nelle giornate genovesi.
 Guadagnucci non tralascia mai l'aspetto umano della tragedia: 
                  è una persona come tante, mite, tranquilla, piovuta in un ingranaggio 
                  che pare stritolarlo. Si chiede persino se in qualche modo se 
                  l'è "cercata", se possa essere stato imprudente; e forse nelle 
                  pagine in cui si racconta ai poliziotti che lo piantonano all'ospedale 
                  Galliera sta il succo profondo del libro. È in quei dialoghi 
                  fra vigilato e guardiano che si intuisce che le ragioni di quanto 
                  accaduto risiedono altrove, non possono essere comprese né dal 
                  giovane in divisa, né dal giornalista finito nel posto sbagliato.
 E' un senso di oppressione, quello che accompagna il lettore 
                  nelle ore che seguono l'incursione notturna; si dirada solo 
                  quando finalmente c'è il colloquio col magistrato, e l'ombra 
                  di Kafka pian piano evapora. Si torna nella legalità, osserva 
                  l'autore. L'interrogativo aperto dal libro, a cui si spera le 
                  inchieste in corso possano dare risposta, è proprio quello: 
                  "Perché a Genova, in alcuni episodi, la legalità, lo stato di 
                  diritto, sono venuti meno? Chi ha dato quegli ordini?" Noi 
                  della Diaz ha il sapore di un documento completo. Perché 
                  racconta una vicenda umana che ha accomunato un gruppo di persone 
                  che non si erano mai viste prima di metter piede in quella palestra 
                  e forse non si incontreranno più; e perché va oltre la cronaca 
                  di quelle giornate per cercare di spiegare come mai 250 mila 
                  persone hanno sfidato il caldo e la sete, incassato le botte, 
                  in un torrido fine settimane d'estate.
 
  Fabio Gavelli
   "A" 
                  come Africa Interessante pubblicazione quella del libro Africa 
                  Ribelle (Sam Mbah, I.E. Igariwey, Africa Ribelle, Zero 
                  in condotta, Milano, 2002).. Per prima cosa perché gli autori 
                  sono africani e non il solito "bianco" che parla dell'Africa, 
                  e poi perché è quanto mai opportuno contribuire a diversificare 
                  i commenti e le riflessioni su questo continente, chiamato spesso 
                  "dimenticato" e lasciato ancora più spesso nel dimenticatoio. 
                  L'Africa è presente nei commenti e nelle analisi della stampa 
                  e della pubblicistica dei paesi ricchi soprattutto per il suo 
                  sempre più forte "ritardo" rispetto al processo di globalizzazione 
                  economica, e per i suoi drammatici problemi sanitari, che hanno 
                  conquistato il primo posto delle emergenze, superando i tradizionali 
                  problemi di diffusa sottoalimentazione. L'idea dominante, questo 
                  sì un vero e proprio "pensiero unico", è racchiusa nella frase 
                  "senza di noi morirebbero di fame". Con il temine "noi" si intendono 
                  i paesi ricchi, e avanzati dal punto di vista tecnologico. Il 
                  libro, invece, ricorda un fatto molto semplice e dimenticato, 
                  e cioè che prima della colonizzazione i gruppi umani africani 
                  hanno avuto una storia di migliaia di anni, ben più lunga della 
                  "nostra" se si considera che gli scienziati genetici (vedi Cavalli 
                  Sforza) identificano la progenitrice di tutti gli esseri umani 
                  esistenti nella famosa "Eva nera" localizzata nella Rift Valley 
                  dell'Africa centro-orientale.
 Ne consegue che le culture e le abitudini di vita tradizionali 
                  africane hanno consentito la sopravvivenza di molti gruppi in 
                  tutto il continente e che non siamo stati "noi" a insegnar loro 
                  come non morire di fame. Anzi, l'analisi storico-economica che 
                  viene sviluppata nel libro è molto ben argomentata e sottolinea 
                  che il fattore di cambiamento in peggio è avvenuto a seguito 
                  della conquista coloniale.
 Quello che è interessante e nuovo rispetto alle usuali analisi 
                  socio-economiche in circolazione è la sottolineatura dei caratteri 
                  "anarchici" e comunitari di molte tradizioni, senza cadere nella 
                  semplicistica accettazione o valutazione positiva di tutto ciò 
                  che ha a che fare con l'Africa del passato, quasi che ci sia 
                  stata una mitica età dell'oro distrutta dai cattivi bianchi. 
                  Le caratteristiche comunitarie, la capacità di autogestione, 
                  la flessibilità dei ruoli e la fondamentale capacità di negoziare 
                  tipica di molte realtà africane di villaggio, vengono sottolineate 
                  nella prospettiva di vie d'uscita per un futuro più equilibrato, 
                  positivo e meno dipendente, piuttosto che per lasciarsi andare 
                  ai rimpianti. Questo è uno dei pregi principali del libro.
 Circa l'analisi della situazione contemporanea fatta nel libro 
                  appare utile ed opportuna la ripetizione del concetto che in 
                  molte realtà africane le strutture burocratiche dello stato, 
                  e la lotta delle fazioni più colte e privilegiate per il suo 
                  controllo, sono le principali cause delle povertà, dell'instabilità 
                  e dell'autoritarismo africano. Appare chiara e semplice anche 
                  l'analisi e la descrizione dei meccanismi di potere diffusi 
                  in Africa: partito unico, militari, burocrazia parassitaria, 
                  classi privilegiate, ecc..
 Qualche piccola critica si può fare alla parte finale del libro 
                  dove appaiono affermazioni poco credibili (tipo "l'insuperabile 
                  crisi del capitalismo africano" oppure "l'inevitabile ritorno" 
                  all'anarchismo del comunalismo africano). Il capitalismo non 
                  sembra propriamente in crisi e certa terminologia somiglia troppo 
                  a molte analisi marxiste già viste in passato.
 Il pregio maggiore del libro è senz'altro il tentativo, direi 
                  riuscito, di riaffermare la credibilità storica e culturale 
                  dell'anarchismo in particolare in terra d'Africa; una credibilità 
                  che è almeno pari a quella di altre impostazioni ideologiche 
                  che hanno seminato sul proprio cammino disastri, fallimenti 
                  e costi sociali altissimi pagati dalla maggioranza delle popolazioni 
                  dei vari stati africani.
 L'auspicio degli autori è quello di un sostegno internazionale 
                  al recupero di alcune tradizioni africane più legate al municipalismo 
                  ed alla soluzione non conflittuale delle divergenze. In questo 
                  senso possono essere significative alcune delle iniziative di 
                  cooperazione in atto, gestite da alcune ONG in stretta collaborazione 
                  con soggetti locali non legati alla burocrazia di stato. Va 
                  però rilevato come ultima notazione che deve aumentare il peso 
                  e la presenza delle donne in questo processo perché la tradizione 
                  africana, pur presentando realtà interessanti, ancora mantiene 
                  una eccessiva separazione tra i ruoli maschili e femminili.
   Fabrizio Eva 
   Finalmente gli 
                  anarchici nel Dizionario del Futurismo Nonostante che i due volumi siano stati stampati 
                  fra ottobre e dicembre 2001, esce solo ora in libreria ed in 
                  distribuzione il Dizionario del Futurismo curato da Ezio 
                  Godoli per le edizioni Vallecchi di Firenze, in collaborazione 
                  col MART (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e 
                  Rovereto). Opera monumentale di oltre 1200 pagine e cinquecento 
                  illustrazioni, ha avuto una lunghissima gestazione. Iniziata 
                  nel 1990, ha visto coinvolti ottantacinque collaboratori che 
                  hanno redatto oltre 1200 fra voci e nomi, con migliaia di informazioni 
                  e notizie organizzate in due volumi (A-J) e ( K-Z) che indagano 
                  e danno conto dell'intera esperienza futurista in area italiana, 
                  in letteratura, politica, arte, architettura, grafica, cinema, 
                  moda, musica, teatro, spettacolo. Una ricchissima bibliografia 
                  ed un agile sistema di rimandi collega i vari argomenti, e indica 
                  i principali archivi e collezioni ove sono raccolti materiali 
                  finalizzati alla ricerca. Come afferma Godoli nella premessa, è stato scelto di operare 
                  all'interno dell'area temporale 1909-1944, lasciando fuori quanto 
                  avvenuto successivamente alla morte di Marinetti. La scelta 
                  ha riguardato, specie dopo gli studi e le ricerche dell'ultimo 
                  quindicennio, artisti, scrittori, intellettuali, che, pur 
                  non avendo ufficialmente aderito al futurismo, sono stati spesso 
                  presentati come "compagni di strada" (...) talvolta anche in 
                  forma di accesa contrapposizione polemica. Questo criterio 
                  ha riguardato anche i periodici: sono state schedate riviste 
                  non allineate (...) o anche giornali che della polemica antifuturista 
                  hanno fatto la propria missione.
 Il curatore ricorda che proprio il fatto che alcune voci 
                  proponessero informazioni e acquisizioni documentarie inedite 
                  o gettassero nuova luce su argomenti, personaggi o gruppi finora 
                  non adeguatamente esplorati, ha indotto a concedere loro uno 
                  spazio che potrebbe apparire eccessivo rispetto a quello riservato 
                  ad argomenti o figure di maggiore rilevanza storiografica.
 È all'interno di questa logica che per la prima volta 
                  ed in modo ampio ed esauriente, il coraggioso Godoli ha introdotto 
                  nomi e voci che a molti appariranno eterodossi rispetto a ciò 
                  che si è pensato "giusto" per lunghi decenni. Chi ha seguito 
                  la storiografia di area anarchica specie da metà degli anni 
                  Ottanta in poi non sarà stupito, ma credo comunque che rimarrà 
                  sorpreso favorevolmente per quantità e qualità delle voci inserite 
                  in questa grandiosa opera che mette un punto fermo alla ricerca, 
                  la quale nonostante ciò proseguirà ed aggiungerà o correggerà, 
                  così come sempre avviene.
 Chi avrà modo di acquistare, o magari solo consultare, dato 
                  il costo, che seppur contenuto, sale comunque a 200 euro, si 
                  accorgerà ad esempio che al pari di voci come "fascismo", scontate 
                  e abbondantemente riconosciute, troverà "anarchismo" assolutamente 
                  paritetico per quantità e visibilità. Insomma si è avverato 
                  un sogno al quale chi scrive teneva molto, si è avuta l'opportunità 
                  di dare visibilità ad una componente del Movimento anarchico 
                  che nel futurismo trovò almeno in parte, una possibile, ancorché 
                  parziale, comunione di idee, e di strada da percorrere, avverso 
                  lo stato borghese, la chiesa, la cultura soffocante e dominante.
 Ricercatori più o meno noti, con grande efficacia hanno lavorato 
                  duramente accanto a Godoli, dividendo con lui l'attesa e l'angoscia 
                  di numerosi rinvii, di fallimento di case editrici, di aggiornamento 
                  di schede, in questi dodici anni. Barillari, Cammarota, Chirico, 
                  Ciampi, Giacomelli, Lista, Manghetti, Piscopo, Quinterio, Sacchetti, 
                  Salaris e tanti altri, hanno coadiuvato il curatore in questa 
                  interminabile fatica.
 Nell'augurare un percorso più rapido e agile al realizzando 
                  Dizionario degli Anarchici di lingua italiana, elenco 
                  sommariamente voci e nomi di interesse immediato per il movimento 
                  anarchico, presenti nel Dizionario del Futurismo, ricordando 
                  che molte altre voci riguardano direttamente o indirettamente 
                  la nostra storia, invitando con la presente succinta scheda, 
                  ad approfondire il contenuto e, se ritenuto necessario e utile 
                  come penso, a realizzare e produrre recensioni o altre azioni 
                  finalizzate alla divulgazione del medesimo.
 Il Dizionario contiene:
 Aglietti Gino,"Anarchismo", Avanguardia, L'Avvenire 
                  Anarchico, La Barricata, Cavalier Cortese, 
                  La Demolizione, Fede, Ferrari Ricieri Abele, Giglioli 
                  Giuseppe, Governato Giovanni Battista, Gozzoli Virgilio, Iconoclasta!, 
                  Monnanni Giuseppe, Nichilismo, Il Novatore Anarchico, 
                  Il Proletario, Il Proletario Anarchico, Provinciali 
                  Renzo, La Questione Sociale, Rafanelli Leda, Rasi Tintino, 
                  La Rivolta sia di Pistoia che di Milano, Roccatagliata 
                  Ceccardi Ceccardo, Gli Scamiciati, Sciarpa Nera, 
                  La Sferza, Stagi Rina, L'Università Popolare, 
                  Vertice, Vir, Vita Libertaria, ma anche 
                  La Blouse, La Tempra, Ugo Tommei, Carlo Carrà, 
                  Gian Pietro Lucini e tantissime altre piacevoli scoperte.
  Alberto 
                  Ciampi
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