| È capitato allo 
                  scrittore americano Gore Vidal  uno che nei confronti 
                  del proprio Paese non è mai stato tenero  di ripercorrere 
                  la propria adolescenza in cerca dei film visti e del loro ben 
                  nascosto significato. In un libro del 1992, tradotto in italiano 
                  come Remotamente sui nostri schermi (Anabasi, Milano 
                  1993), Vidal  forte della tesi che, "tramite l'ascolto 
                  e la visione", noi tutti "siamo definiti e manipolati da narrazioni 
                  di una tale potenza da riuscire a sostituirsi alla nostra stessa 
                  esperienza", narrazioni che spesso diventerebbero "l'unica esperienza 
                  di una certa realtà" a nostra disposizione  scruta fra 
                  le pieghe della produzione degli anni Trenta e vi individua 
                  i chiari sintomi di una funzione ideologica svolta in stretto 
                  accordo fra Stati Uniti e Inghilterra. The Private Life of 
                  Henry VIII (1933, Le sei mogli di Enrico VIII nella 
                  versione antialbionica italiana), Fire Over England (1937, 
                  Elisabetta d'Inghilterra, più freddamente per noi), Il 
                  prigioniero di Zenda (1937, poi remakizzato nel 1952 e nel 
                  1979) e That Hamilton Woman (1941, uscito in Inghilterra 
                  come Lady Hamilton e, trattando di Nelson, in Italia 
                  come Il grande ammiraglio)  film che Vidal dice 
                  di aver visto "forse venti volte"  costituiscono la gamma 
                  privilegiata delle sue analisi. Chi in un modo, chi nell'altro, 
                  secondo Vidal, tutti questi film miravano allo scopo di far 
                  battere il cuore americano per le sorti del loro prossimo alleato. 
                  "Sembrava quasi che l'unico paese sulla terra fosse l'Inghilterra 
                  e che vi fossero stati grandi personaggi solo fra gli inglesi 
                  o solo se impersonati da attori inglesi". Fra questi Laurence 
                  Olivier e quel Ronald Colman del quale, anni dopo, si venne 
                  effettivamente a sapere che era al soldo del controspionaggio 
                  britannico  una sorta di quinta colonna ad Hollywood. 
                  Tutto ciò non può stupirci più di tanto: che Il sergente 
                  York (1941) sia servito alla formazione di uno spirito bellico 
                  per i giovani americani che partivano per la guerra, o che Luciano 
                  Serra pilota (1938) servisse a glorificare l'aggressione 
                  italiana in Africa, è palese. Meno palese, tuttavia, è il compito 
                  affidato a narrazioni più accorte, meno platealmente orientate. 
                  Ma ciò non deve significare che un compito - più o meno visibile, 
                  più o meno consapevolizzato dal narratore medesimo  sia 
                  dato e venga eseguito. Il che, quanto meno, dovrebbe indurci 
                  ad una severità maggiore nei confronti delle narrazioni del 
                  presente, quelle riservate a noi  che, come il Gore Vidal 
                  dell'epoca - siamo ben lontani nel momento in cui le subiamo 
                  dallo scorgerne la funzione. Mi viene in mente, in proposito, 
                  la scorpacciata di esoterismo  da Harry Potter 
                  al Signore degli anelli, ma senza dimenticare Matrix 
                  e tutta la poetica della virtualità  che ci vien fatta 
                  sorbire in questi anni come se fosse tutta roba neutra ed asettica.
 Fra il tanto d'altro, poi, Vidal, a ulteriore prova di quanto 
                  afferma, fornisce una notizia curiosa circa i "mandanti". Dice 
                  che ser Winston Churchill stesso, lo statista inglese, ha contribuito 
                  direttamente ad alcuni di questi film  a quelli diretti 
                  o prodotti dall'ungherese anglicizzato Alexander Korda , 
                  in qualità di soggettista e di sceneggiatore. La cosa non è 
                  del tutto inverosimile.
 Se setacciamo accuratamente la bibliografia dello statista inglese, 
                  prima o poi, ci imbattiamo in Savriola, un romanzo storico 
                   pubblicato da Churchill nel 1900 , dove si racconta 
                  della lotta, nel fantasioso paese di Laurania, di un ardente 
                  democratico (che dà il nome al romanzo medesimo) sia contro 
                  il subdolo dittatore Molara che contro il demoniaco Kreutz, 
                  capo di una società segreta. Se consideriamo, poi, che, come 
                  qualcuno ha calcolato, fra il 1930 e il 1939, il grafomane Churchill 
                  ha prodotto qualcosa come un milione di parole l'anno, possiamo 
                  anche ammettere che, nel mucchio, ci sia stato anche posto per 
                  qualche "consiglio" autorevole, o per qualche aiutino più diretto, 
                  ai solerti cinematografari di regime. Non si sarebbe trattato 
                  né del primo né dell'ultimo statista che, lungimirante, abbia 
                  voluto imprimere direttamente un orientamento al modo di pensare 
                  dei propri sudditi.
 
  Felice Accame
 P.s.: I morfemi che compongono il nome di Savriola, 
                  l'eroe positivo, rivelano nell'italianità e nel Savonarola il 
                  calco culturale cui il giovane Churchill amava riferirsi. P.s.s.: All'epoca in cui furoreggiava il grande attore Colman, 
                  spia inglese, venne prepotentemente alla ribalta (Capitan 
                  Blood è del 1935) Errol Flynn, che, più tardi, qualcuno 
                  accuserà di essere stato una spia tedesca. Nessuno fa mai soltanto 
                  il proprio mestiere.
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