| Dicono che il crac della Enron abbia 
                  scosso fortemente Wall Street e dintorni: finanzieri, esperti 
                  delle società di certificazione, ministri della più potente 
                  democrazia liberista del mondo si sono sentiti improvvisamente 
                  allo scoperto, come se qualcuno avesse detto a tutti gli altri: 
                  guardate, sono nudi. In Argentina stavolta non è fallita un'azienda, 
                  magari grandissima, ma un intero paese: non era mai successo 
                  prima. E soprattutto nessuno sa come risollevare questo paese 
                  dalla recessione: tutte le 'ricette' considerate vincenti sono 
                  già state applicate, coi risultati che si sono visti. Gli 8 
                  Grandi dicono di avvertire l'impellenza di fare qualcosa per 
                  ridurre le disparità sociali del pianeta, ma intanto Fao e Nazioni 
                  Unite ammettono serenamente di avere sbagliato tutte le previsioni 
                  circa la lotta alla fame nel mondo: dovevano dimezzarla entro 
                  il 2015, si sono accorti che la denutrizione, con gli interventi 
                  di questi anni, è stata appena scalfita. Sono fatti recenti (potremmo citarne molti altri), che vanno 
                  nella stessa direzione: il sistema perde colpi e i 'globalizzatori' 
                  sono in difficoltà. Il Clarin, giornale di Buenos Aires, 
                  ha scritto che durante il World Economic Forum, all'inizio di 
                  febbraio, la domanda più comune fra i leader politici e gli 
                  imprenditori riuniti al Waldorf Astoria di New York fosse questa: 
                  "A chi tocca dopo l'Argentina?". Perciò potrebbe non avere torto 
                  chi ha sostenuto che il Wef di Davos/New York, in questo delicato 
                  2002, fosse il 'controvertice' rispetto al World social forum 
                  di Porto Alegre, e non viceversa.
  
  Crogiolo di identità, lingue e culture 
 L'anno scorso, alla prima edizione del Forum sociale, fece 
                  colpo il ministro francese del commercio estero, Francois Houwert, 
                  piombato improvvisamente in Brasile mentre i suoi colleghi dell'Europa 
                  dei quindici erano diligentemente saliti nella cittadina svizzera 
                  di Davos: "Dopo Seattle" disse Houwert "non è più possibile 
                  ignorare l'opinione pubblica. Sono qui perché qui è riunita 
                  la società civile mondiale". È passato un anno che sembrano 
                  cento. In mezzo ci sono state le sconvolgenti giornate di Genova, 
                  l'attacco alle Due Torri e la 'guerra al terrorismo' lanciata 
                  dalla 'coalizione liberista del Nord'. È passato un 'secolo' 
                  e Porto Alegre anziché perire (o deperire) ha richiamato non 
                  più 15 ma 70 mila persone; il numero di movimenti, sindacati, 
                  associazioni è almeno triplicato; gli workshop sono raddoppiati 
                  (da 400 a oltre 800). Porto Alegre è diventato un laboratorio 
                  politico e culturale che si propone il più ambizioso dei progetti: 
                  immaginare un altro mondo, cominciando a costruire un sistema 
                  economico e sociale che prescinda dal liberismo. Il Forum è un crogiolo di identità, di lingue, di culture. Ammette 
                  ogni ideologia, senza farne propria alcuna: è come una piazza, 
                  un luogo d'incontro aperto a chi voglia mettere in rete le proprie 
                  esperienze, unire le proprie forze con quelle di soggetti affini 
                  che magari lavorano dall'altra parte del globo. È la 
                  più grande palestra dei 'globalizzatori dal basso'.
 Ma che cosa propongono, in concreto, quelli di Porto Alegre? 
                  Che cosa hanno concluso nei sei giorni di discussioni a cavallo 
                  fra gennaio e febbraio? E che ci facevano tutti quei parlamentari, 
                  ministri, sindaci, candidati presidenziali? Il Forum si è chiuso 
                  anche quest'anno senza un documento politico finale: 'Questo 
                  non è un congresso di partito', spiegano gli organizzatori. 
                  C'è però un testo di riferimento, il documento conclusivo dei 
                  movimenti sociali. È in sedici punti, ma fissa due principi 
                  fondamentali: il ripudio della guerra e del terrorismo; la lotta 
                  al neoliberismo. Sono le pregiudiziali del 'movimento dei movimenti'. 
                  Ma la forza di Porto Alegre, la sua ricchezza più vera, non 
                  è scritta in quel documento e va ricercata altrove: negli 800 
                  workshop, nelle pieghe delle iniziative ufficiali, negli incontri 
                  che hanno messo a fuoco idee e progetti, contenuti su cui mobilitarsi 
                  nei mesi a venire. C'è la proposta della Tobin Tax, per la quale 
                  in Italia è appena partita la raccolta di firme per una legge 
                  d'iniziativa popolare. C'è il progetto di un contratto internazionale 
                  per l'accesso all'acqua, perché intorno alle risorse idriche 
                  si giocheranno i futuri rapporti di potere fra Stati e fra aree 
                  geografiche del pianeta. Ci sono le campagne per la sovranità 
                  alimentare rilanciate da Via Campesina (la rete mondiale di 
                  associazioni contadine), che sostiene il no agli ogm e rigetta 
                  i propositi di liberalizzazione commerciale in agricoltura, 
                  destinati a privare i paesi asiatici e africani della facoltà 
                  di indirizzare le proprie economie verso l'obiettivo minimo 
                  della sussistenza.
 C'è la campagna contro i brevetti sulla proprietà intellettuale, 
                  sull'onda dei successi ottenuti in Sudafrica contro le multinazionali 
                  che producono farmaci anti Aids. C'è la spinta a democratizzare 
                  l'informazione, sempre più allineata e organica al 'pensiero 
                  unico neoliberista': Ignacio Ramonet (Le Monde Diplomatique) 
                  ha proposto la creazione di comitati di controllo sui media; 
                  Jeff Cohen (dell'agenzia statunitense Fairness) l'introduzione 
                  di una tassa per finanziare i media indipendenti.
  
  Gente allegra e motivata 
 Porto Alegre 2 è stata una kermesse forse caotica, sicuramente 
                  creativa. Potevi entrare in un'aula della Pontificia università 
                  cattolica e ascoltare Martin Khor, malaysiano direttore del 
                  Third World Network, che spiegava i devastanti e poco 
                  noti effetti sull'Africa dei progetti definiti dalla Wto al 
                  vertice di Doha; o magari scoprire che la rete Lilliput 
                  italiana ha messo a punto un 'misuratore del benessere' alternativo 
                  al Pil, uno strumento di lavoro a suo modo rivoluzionario; o 
                  ancora potevi seguire l'intervento accorato di Wolfgang Sachs 
                  sul consumo dei beni comuni non riproducibili. Da Porto Alegre è tornata gente allegra, motivata, che porta 
                  con sé nuove conoscenze, nuovi progetti, un mucchio di indirizzi 
                  nell'agenda. Il Forum è cresciuto, ha messo in piedi una propria 
                  agenda con un calendario d'incontri continentali destinati a 
                  rafforzare i movimenti e la loro capacità di mobilitazione. 
                  Forse il Forum non ha convinto fino in fondo proprio sul 'caso 
                  Argentina', che poteva diventare il tema chiave di questa edizione 
                  e invece è stato trattato alla pari di altri.
 Resta aperta anche la questione del radicamento geografico: 
                  il numero di delegati asiatici e africani è molto cresciuto 
                  rispetto alla prima edizione, ma resta la sensazione di un evento 
                  guidato da un asse franco-italo-brasiliano.Indubbiamente Porto 
                  Alegre non ha definito, neanche stavolta, un progetto definito 
                  di società, ma almeno ha indicato un metodo, fatto di condivisione, 
                  messa in rete dei progetti, sperimentazione. Il Forum vuole 
                  evitare il rischio di creare un "pensiero unico antiliberista", 
                  perciò l'onere dell'iniziativa ora passa ai Forum locali, ai 
                  movimenti sociali, alle reti d'economia informale. Tocca a loro 
                  indicare le strade che possono portare all'altro mondo possibile, 
                  nel pluralismo delle idee e soprattutto dei progetti. Porto 
                  Alegre, intesa come città, in questo senso ha qualcosa da insegnare, 
                  in virtù dei suoi esperimenti, ormai consolidati, sul bilancio 
                  partecipativo. Nel Rio Grande do Sul, al Forum delle amministrazioni 
                  locali, sono arrivati centinaia di assessori, sindaci e consiglieri 
                  del Nord del mondo, con gli italiani in prima fila. Segno, quanto 
                  meno, di una forte curiosità, che ora attende espressioni concrete. 
                  Il modello Porto Alegre, che pure ha i suoi difetti, ha dimostrato 
                  di funzionare, ma non è qualcosa d'esportabile: la democrazia 
                  partecipata si costruisce dal basso, sotto la spinta dei movimenti 
                  sociali più che per volontà degli amministratori. I quali, però, 
                  possono assecondare i progetti che germogliano nella società 
                  civile.
 A Porto Alegre è stato firmato un patto per il "nuovo municipio". 
                  Lo hanno sottoscritto anche sindaci e assessori italiani. E' 
                  stato solo un gesto per catturare simpatie o alle firme seguiranno 
                  i fatti? I movimenti, dopo avere contestato e 'smontato' l'inutile 
                  Forum dei parlamentari, hanno promesso di tenere sotto controllo 
                  gli amministratori che si sono impegnati a Porto Alegre. I più 
                  ottimisti sperano in una nuova stagione di partecipazione popolare, 
                  contano di costruire nuove reti associative e d'indebolire piano 
                  piano il consenso attorno alle traballanti 'leggi' dell'economia 
                  neoliberista.
  
  Percorso accidentato 
 I Forum sociali sono considerati la migliore palestra per questi 
                  esperimenti. I segnali che arrivano dai Forum locali italiani 
                  sono però contraddittori. Alcuni convincono per capacità di 
                  coinvolgimento, apertura ideale, progettualità; altri stentano 
                  a decollare e si arenano di fronte alle troppe diversità. La 
                  strategia d'azione non dovrebbe cambiare: piccoli passi, attenzione 
                  alle cose concrete, comunicazione diretta. Qualcuno chiede uno 
                  sforzo più esplicito nell'indicare le rinunce che il Nord del 
                  mondo deve compiere per incamminarsi lungo la strada che allontana 
                  dal neoliberismo. La costruzione di un 'nuovo mondo' ha un prezzo 
                  anche a livello di scelte personali, di qualità e quantità dei 
                  consumi, di 'impronta ecologica', come dicono gli ambientalisti. 
                  Il percorso è sicuramente accidentato, ma 'quelli di Porto Alegre' 
                  sono tornati dal Brasile con una carica d'entusiasmo a prima 
                  vista contagiosa. È un entusiasmo forse rischioso, perché 
                  la disillusione è dietro l'angolo, ma rispetto alle esperienze 
                  del passato e alle parabole di altri movimenti, c'è un elemento 
                  in più: la sensazione diffusa che qualcosa stia davvero cambiando 
                  nelle nostre società. Sta crescendo l'attenzione al nuovo, si 
                  sta formando una credibile cultura antiliberista. Come ha scritto 
                  il giornale spagnolo El Pais alla fine di un editoriale 
                  dedicato alla prevalenza di Porto Alegre su Davos/New York: 
                  "La cosa più positiva è questa: si sta diffondendo la convinzione 
                  generalizzata che un mondo più sicuro dev'essere anche un mondo 
                  più giusto".
  Lorenzo Guadagnucci
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