| Come è vero! Nulla in questo mondo è 
                  perfetto, anzi, più si pensa che un sistema sia perfetto, che 
                  non esistano falle nella concezione e nella prassi della struttura 
                  creata, ecco che, col tempo, si verificano crepe, si evidenziano 
                  pericolosi segni di cedimento. A volte sono gli uomini a sovvertire 
                  il virtuoso svolgersi degli eventi; a volte è la logica stessa 
                  imposta alla costruzione che mostra il fiato corto, l'incapacità 
                  di fondo di gestire le dinamiche, tutte le dinamiche che regolano 
                  o dovrebbero regolare il sistema. La stampa nazionale  per non parlare dell'informazione 
                  televisiva  è stata prudente, quasi omertosa, nel trattare 
                  la losca vicenda della Enron. Non diciamo che non ne abbia parlato, 
                  questo no, ma ne ha accennato come se si trattasse di un incidente 
                  di percorso, di una devianza tutto sommato recuperabile con 
                  qualche accorgimento in più. Insomma, di un evento che non intacca 
                  il tessuto sostanzialmente sano del capitalismo americano, che 
                  è poi il capitalismo che regola i fatti economici del mondo 
                  intero.
 E, invece, si tratta di un cedimento del sistema, di un coperchio 
                  sollevato su una pentola nella quale bollono, sollevando vapori 
                  mefitici, tutti gli ingredienti di una pietanza indigeribile 
                  e, alla fine, venefica.
  
 
  Il capitalismo globale 
 Perché la vicenda della Enron è esemplare per individuare le 
                  logiche interne di processi che il capitalismo oggi innesca 
                  e i guasti che procura nei tesuti sociali direttamente o indirettamente 
                  investiti dalle sue dinamiche. Prima il sistema si reggeva sull'equilibrio 
                  tra la macchina che produceva la ricchezza e lo Stato, nella 
                  sua versione di democrazia rappresentativa, che presiedeva alla 
                  più o meno equa ripartizione delle risorse e fissava, sulla 
                  base di questo rapporto, le norme della convivenza sociale. 
                  La distinzione tra il potere economico e quello politico era 
                  regolata e ci si sforzava di contemperare, almeno in via teorica. 
                  le esigenze del mercato e quelle dei cittadini amministrati. 
                  Si trattava naturalmente di equilibri instabili; l'essere conservatori 
                  o socialdemocratici predisponeva a privilegiare le ragioni del 
                  mercato rispetto a quelle del lavoro e viceversa, senza però 
                  che tra il politico e l'economico vi fosse coincidenza organica 
                  di interessi e, se qualche volta si tentava di stabilirla (col 
                  voto di scambio, per esempio), si trattava di casi sporadici 
                  universalmente deprecati. Certo i politici di tutti i tempi 
                  non sono mai stati indifferenti alle pressioni dei potentati 
                  economici, ma avevano ritegno ad appiattirsi pedissequamente 
                  sui modelli di sviluppo del capitale. Anche se questi modelli, 
                  dalla rivoluzione industriale sino alle soglie del secondo conflitto 
                  mondiale, non pretendevano di esprimere una compiuta e complessiva 
                  visione del mondo, ma a razionalizzare la produzione, a moltiplicare, 
                  e, quindi, in un certo modo, a socializzare la produzione e 
                  la distribuzione di beni e servizi.
 Probabilmente  ma questa è una questione che va approfondita 
                  in sede storiografica  è con la progettazione e l'attuazione 
                  del Piano Marshall, concepito certo per dare una mano consistente 
                  alla ricostruzione dell'Europa del dopoguerra, ma anche per 
                  fronteggiare il pericolo sovietico, che il capitalismo percepisce 
                  la possibilità di globalizzare le sue strategie. La forza militare 
                  derivante dalle potenzialità di un'economia forte assurta così 
                  a insostituibile baluardo del Bene  l'occidente industrializzato 
                   contro il Male  personificato nella contingenza, 
                  dall'Unione Sovietica e dai suoi satelliti  porta ad un 
                  mutamento qualitativo della funzione economica rispetto a quella 
                  politico-sociale. Da qui a concepire un mondo nel quale le ragioni 
                  del profitto fossero prevalenti rispetto a tutte le altre, il 
                  passo è breve. È così che noi, oggi, ci troviamo immersi 
                  in un contesto che precarizza sempre di più la sorte degli uomini 
                  a vantaggio di processi di accumulazione della ricchezza che 
                  non servono ad altro che a supportare logiche di dominio assurde 
                  e distruttive. In via conseguenziale, così, sbaglierebbe chi 
                  giudicasse atto di pura arroganza individuale l'esordio di Bush 
                  che, senza mezzi termini, identificava lui e l'America con la 
                  Verità e il Bene, e tutto il resto  cioè uomini e sistemi 
                  che non condividono il modello capitalistico  con l'Apocalisse. 
                  Ciò che di insopportabile e di patologico ha questo immenso 
                  regime, che tenta di inglobare l'intero universo, è l'autoreferenzialità, 
                  nel senso, soprattutto, che produce o tenta di produrre legislazione, 
                  normative (e, quindi, Stato) per legittimare se stesso.
  
  Meccanismi perversi 
 Ecco perché il caso Enron non è il cancro che colpisce un organismo 
                  sostanzialmente sano, ma "il manifesto" delle logiche che presiedono 
                  al sistema di produzione capitalistica I fatti sono sufficientemente noti ed io qui li sintetizzo al 
                  massimo.
 La Enron nasce nel 1985 dalla fusione della Huston Gas con la 
                  Inter Nort e si avvia a diventare, in pochi anni, la settima 
                  azienda del settore nel mondo, risultato raggiunto anche con 
                  operazioni poco chiare per non dire di rapina (basti ricordare 
                  il black out elettrico dello scorso anno in California, che 
                  molti ritengono provocato dalla stessa Enron per speculare sulle 
                  tariffe ed esercitare pressioni sui promotori di leggi antinquinamento). 
                  Ma il successo ottenuto non soddisfa il management dell'azienda, 
                  il quale decide di diversificare gli investimenti, soprattutto 
                  nella direzione dell'intermediazione finanziaria dei prodotti 
                  energetici (elettricità e gas) e, nel 1999, dei servizi informatici 
                  (accordo con la Blackbuster, destinato a durare poco).
 Inutile disperderci nel seguire nei dettagli tutte le operazioni 
                  progettate e portate a compimento dalla Enron, con l'appoggio 
                  sostanziale degli ambienti politici e finanziari degli Stati 
                  Uniti.
 Ciò che conta in questa sede è spiegare i meccanismi perversi 
                   ma perfettamente legali  messi in moto per creare 
                  un colosso dai piedi d'argilla, che sarebbe clamorosamente crollato 
                  sulla testa di migliaia di dipendenti e di risparmiatori che, 
                  sull'onda dell'euforia di un decollo di borsa pilotato e degli 
                  entusiastici servizi di pubblicazioni specializzate, avevano 
                  investito i propri risparmi sulle azioni della società.
 Il meccanismo della truffa era assai complicato nelle modalità 
                  di attuazione, ma semplicissimo e quasi del tutto legale nella 
                  impostazione concettuale. Il percorso, nelle grandi linee, è 
                  il seguente. La Enron crea "a latere" una moltitudine ("Il Sole 
                  24 Ore" ne ha contate oltre tremila, una ogni sette dipendenti) 
                  di partnership (aziende collegate ma autonome) alle quali commissiona 
                  lavori e servizi che vengono fatturati a prezzi stratosferici. 
                  La Enron paga le fatture con i proventi delle proprie attività 
                  e con la liquidità che le banche le accordano, allettate dai 
                  faraonici progetti di espansione dell'azienda e garantite dagli 
                  appoggi politici di cui mostra di godere.
 A questo punto il flusso monetario che si trasferisce alle aziende 
                  collaterali a fronte di adempimenti mai o solo in minima parte 
                  compiuti, finisce nei paradisi fiscali delle Mauritius, delle 
                  Bermude o delle Cayman oppure costituiscono fondi neri. Questo, 
                  molto semplificato, il meccanismo che consentiva di distrarre 
                  somme ingenti dal bilancio della Enron. Ma perché questo meccanismo 
                  continuasse a funzionare, occorreva naturalmente che le cifre 
                  da distrarre ci fossero ed ecco allora che si mise in moto un 
                  gigantesco sistema di corruzione politica che consentì di superare 
                  agevolmente inghippi burocratici, di ottenere contratti di forniture 
                  privilegiati (come il contratto di 200 milioni di dollari per 
                  la fornitura di energia elettrica alle città del Texas e della 
                  California), sgravi fiscali e addirittura una borsa mondiale 
                  dell'energia e delle materie prime interamente controllata dalla 
                  Enron che, nel 1999, raggiunse le seimila transazioni giornaliere, 
                  per un valore di circa due miliardi e mezzo di dollari.
 Alla testa di questo colossale giro di denaro c'era Kenneth 
                  Lay, ma, soprattutto, Joffrey Skilling, il quale capì in fretta 
                  che mai si sarebbero potuti raggiungere i risultati sperati 
                  senza l'appoggio, direi meglio, la complicità dei politici e 
                  di quei politici in particolare che, per interessi concreti, 
                  erano schierati dalla parte della "liberalizzazione dell'economia 
                  senza lacci e lacciuoli": i repubblicani, insomma, ma non soltanto 
                  loro. Certo, si partiva da una certezza incontrovertibile costituita 
                  dall'amicizia personale di Lay con la famiglia Bush, ma questo 
                  non bastava. Dal 1992 Skilling mette in atto un piano organico 
                  di elargizioni  in gran parte perfettamente legali  
                  di cui godono prevalentemente i repubblicani che contano. Dei 
                  Bush abbiamo già detto, che ricevono, dal 1993 sino alle ultime 
                  elezioni presidenziali, ben due milioni di dollari; ci sono 
                  poi le sovvenzioni al partito, mentre il senatore Phil Gramm, 
                  il vice presidente Dick Cheney, il vice segretario al tesoro 
                  Mark Weinberger, il sottosegretario all'economia Kathleen Cooper 
                  e tanti altri politici di rilievo ricevono somme diverse in 
                  soldi o in azioni, senza considerare un folto stuolo di giornalisti 
                  televisivi e della carta stampata, che vengono chiamati a magnificare 
                  le sorti della Enron con seminari e conferenze. Per di più Dick 
                  Cheney sedeva nel consiglio di amministrazione dell'azienda 
                  texana: quanto dire che l'azienda privata Enron aveva il governo 
                  federale nel salotto buono del grattacielo di Houston. Chiedo 
                  scusa delle omissioni, ma la lista dei politici, degli operatori 
                  finanziari, degli opinionisti o di semplici galoppini è talmente 
                  lunga che, da sola, occuperebbe lo spazio di questo articolo.
  
  Banche e revisori dei conti 
 Ma vi sono due ulteriori aspetti della vicenda Enron che vanno 
                  sottolineati, perché ambedue concorrenti al colossale crack. 
                  Il primo riguarda il ruolo delle banche. La dimensione del disastro 
                  sarebbe stata probabilmente assai più contenuta se l'erogazione 
                  del credito fosse stata correlata alla concreta struttura produttiva 
                  e commerciale e alla corretta valutazione dei bilanci di gestione 
                  dell'azienda piuttosto che alla sua dimensione azionaria. Mi 
                  spiego. Le banche, in America come nella maggior parte dei paesi 
                  industrializzati, fungono contemporaneamente da erogatori del 
                  credito e da intermediatori finanziari. Questo che cosa significa? 
                  Significa che l'andamento delle azioni in borsa (condizionato 
                  da fattori psicologici, da manovre speculative o anche soltanto 
                  da aspettative fideistiche) influenza direttamente le decisioni 
                  che un istituto di credito compie nel decidere se e in quale 
                  misura concedere fiducia all'azienda che chiede di essere finanziata. 
                  Può così verificarsi  come si è in effetti verificato 
                  nel caso della Enron  che, per difendere i propri crediti, 
                  per aumentare le speranze di rientro delle esposizioni, le banche 
                  creditrici sostengano oltre il lecito il corso azionario dell'azienda 
                  debitrice. Le banche non potevano non sapere che, dal 2000, 
                  i dirigenti della Enron andavano liberandosi delle azioni dell'azienda, 
                  realizzando colossali guadagni a spese dei propri dipendenti 
                  (ai quali era impedito di commercializzare le azioni) e dei 
                  piccoli risparmiatori. Lay realizza 40 milioni di dollari, Lau 
                  Pai suo collega 65, Skilling 15 e via dicendo. Per di più, si 
                  era volatilizzato il fondo pensioni dei dipendenti, i quali 
                  rimangono senza lavoro e senza futuro. Sul mercato finanziario, 
                  nel giro di pochi mesi, un'azione della Enron precipita da 93 
                  dollari a 27 centesimi di dollari.
 Il secondo aspetto della vicenda Enron che volevamo sottolineare 
                  è il ruolo dei revisori dei conti che, nel caso specifico, era 
                  affidato alla Arthur Andersen, per importanza la seconda compagnia 
                  del settore in America, che candidamente confessa di non avere 
                  avuto sentore di nulla sino agli ultimi mesi del 2001, quando, 
                  per tentare di occultare le sue inadempienze, distrusse migliaia 
                  di documenti contabili della società revisionata. Voi direte: 
                  tutto questo a titolo gratuito? Neppure per idea. I dirigenti 
                  della compagnia di revisori erano anche loro chiamati a svolgere 
                  consulenze assai ben remunerate e quando qualcuno all'interno 
                  della Andersen o della Enron stessa, non compromesso, tentava 
                  di vederci un poco più chiaro, veniva scoraggiato con pressioni 
                  che arrivavano all'intimidazione. Non vi è così chi non veda, 
                  oltre all'aspetto inquietante della commistione dei ruoli, quanto 
                  sia incredibile il fatto che la Andersen, sino alla fine del 
                  2001, non abbia avuto alcun sentore dell'implosione imminente.
 Per concludere queste note, vorrei riprendere il concetto espresso 
                  nell'esordio: il caso Enron non è la patologia di un sistema 
                  sostanzialmente virtuoso, ma il naturale sviluppo di una prassi 
                  consueta, sia pure portato alle sue estreme conseguenze. Significativo, 
                  a tale proposito, è che le pratiche attuate dalla Enron erano 
                  tutte legali o al limite della legalità, se si eccettuano quelle 
                  di rilevanza penale (l'aggiotaggio, la frode nei riguardi dei 
                  dipendenti, l'utilizzo fraudolento del fondo pensioni). Legale 
                  è in America il finanziamento di partiti e di protagonisti della 
                  vita politica. Per intenderci, in Italia, se vigesse il modello 
                  americano, Tangentopoli non ci sarebbe mai stata e l'operato 
                  dei politici non sarebbe mai stato messo in discussione.
 Legale, per il sistema capitalistico non soltanto americano, 
                  è la costituzione di società collaterali (partnerships) sulle 
                  quali equilibrare gli scompensi di attività speculative azzardate 
                  o addirittura incoffessabili.
 Assolutamente normale è la schizofrenia delle banche, chiamate 
                  a gestire contemporaneamente il flusso del credito e, direttamente 
                  o indirettamente, ad influenzare l'andamento azionario dei propri 
                  clienti. Il caso Enron dimostra che le banche non hanno finanziato 
                  un'impresa, ma un gruppo dirigente che ha attivato un gigantesco 
                  giro di operazioni speculative, azzardate e fuori mercato, e 
                  un altrettanto gigantesco meccanismo di corruzione politica, 
                  in gran parte, lo ripetiamo, consentito dalla legislazione americana.
  
  Senza lacci né lacciuoli 
 E poi, ancora. È prassi consolidata, in America (ma 
                  la si vorrebbe instaurare anche da noi) che il privato imprenditore 
                  gestisca i fondi pensione, sia che lo faccia nei confronti dei 
                  propri dipendenti, sia che lo faccia come operatore finanziario. 
                  Così, poiché le fortune economiche sono alterne, in caso di 
                  collasso dell'impresa (fraudolentemente provocato o meno) il 
                  lavoratore è depredato delle risorse accantonate per garantirsi 
                  un minimo di futuro. Infine, il ruolo dei revisori. In un mondo affaristico che non 
                  esprime alcuna norma etica, nel quale il profitto e la competizione 
                  senza esclusione di colpi sono gli unici valori che contano, 
                  il ruolo dei revisori (come sanno tutti coloro che hanno svolto 
                  tale compito) non è soltanto quello di valutare la congruità 
                  dei documenti contabili, ma anche, e direi soprattutto, quello 
                  di sindacare il comportamento degli amministratori quando esprimono 
                  strategie non compatibili con la dimensione aziendale, alterando 
                  il corretto rapporto tra le voci di bilancio. Non entrano certamente 
                  nel merito delle strategie dell'impresa, ma sono chiamati a 
                  vigilare perché ogni nuova iniziativa risulti compatibile con 
                  le possibilità reali dell'azienda. Ciò implica una rigida separazione 
                  dei ruoli. La presenza in America di grandi Compagnie di revisori, 
                  inserite organicamente in un mercato in cui interagiscono interessi 
                  colossali, fa sì che queste strutture di sorveglianza subiscano 
                  la suggestione di essere parte attiva delle dinamiche del mercato 
                  e, più o meno direttamente, finiscano con l'essere coinvolte 
                  nelle dinamiche di crescita delle imprese sui cui bilanci dovrebbero 
                  sorvegliare. Il che è perfettamente naturale: tanto più grandi 
                  sono le dimensioni delle imprese controllate, tanto maggiore 
                  è il prestigio che acquista la Compagnia di revisione. La Arthur 
                  Andersen, l'altra grande imputata del caso Enron, non si limitava 
                  ad esercitare il controllo che le competeva, ma fungeva anche 
                  da consulente per la formulazione delle strategie operative, 
                  e per questa sua funzione veniva remunerata a parte. Un esempio 
                  emblematico di conflitto d'interesse.
 Adesso che il guaio è fatto e l'edificio del liberismo senza 
                  lacci e lacciuoli è scosso nel profondo della sua gaudente euforia, 
                  tutti si stracciano le vesti. Gli economisti illuminati cercano 
                  affannosamente vie d'uscita da una situazione che poche ne offre. 
                  Il Congresso lancia dardi di fuoco alla Casa Bianca. Gli opinionisti 
                  che contano sembra si accorgano solo adesso che la globalizzazione 
                  così come è intesa dal mondo degli affari contemporaneo è all'origine 
                  dei grandi scompensi che esistino al mondo, oltre che dei ciclici 
                  collassi che investono intere aree geografiche, ieri il Sud 
                  Est asiatico, oggi il Giappone e l'Argentina.
 Ma il sistema, secondo la nostra ottica, non è emendabile. L'inversione 
                  di rotta non può essere di qualche grado, bisogna voltare pagina, 
                  compiere svolte epocali difficili.
 Per queste ragioni, ci hanno profondamente rattristato gli elaborati 
                  conclusivi del raduno di Porto Alegre. La montagna antiglobal 
                  ha partorito il topolino di una risoluzione, se mi consentite, 
                  risibile. Un enunciato di propositi e di lotte per incitare 
                  i popoli a sorvegliare perché i loro governi siano buoni e virtuosi, 
                  decisi ma educati nei consessi internazionali, solleciti a garantire 
                  l'obiettività dell'informazione e via di questo passo. Tutto 
                  ciò dopo aver elencato in sedici paragrafi, con puntualità burocratica, 
                  tutti i mali del mondo in cui viviamo.
 Cose da far rivoltare nella tomba i liberal-democratici della 
                  Prima Internazionale di 130 anni fa.
  Antonio Cardella
 
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