Rivista Anarchica Online


anarchici

Ritratti in piedi
Dialoghi fra storia e letteratura

a cura di Massimo Ortalli

Anarchici a Pisa

Una città proletaria. Con questo bel titolo esce nel 1989 un romanzo dello scrittore Athos Bigongiali (A. Bigongiali, Una città proletaria, Palermo, Sellerio, 1989) completamente incentrato sulle caratteristiche anarchiche e libertarie profondamente connaturate alla città di Pisa. Ambientato nei primi decenni del secolo, quando fioriscono le lotte e le iniziative popolari intese a migliorare le condizioni di vita e di lavoro del proletariato pisano, forte e combattivo come non mai, il romanzo, mantenendosi abilmente sullo spartiacque fra narrazione e ricerca storica, ricostruisce con tratti suggestivi le vicende dei numerosi personaggi, donne, uomini, intere famiglie di compagni, che segnarono quel periodo con il loro impegno sociale. Nel raccontare le lotte alla Saint Gobain e nelle numerose fabbriche pisane, le battaglie contro l’influenza clericale e per la libertà di pensiero, le polemiche fra interventisti e antimilitaristi allo scoppio della Grande Guerra, l’autore descrive un mondo affascinante ed eterogeneo, costellato di protagonisti dai nomi improbabili. Pompeo, Pirro, Acratica, Nilo, Sguardo, Jessa, Selica, Catullo, Gusmano, Priscilla, Ricciotti, Germinal … nomi che esprimono lo spirito anticonformista, ribelle e schiettamente anticlericale del popolo pisano, che con proletaria fantasia manifesta la propria estraneità all’ordine costituito anche nel rifiuto di chiamare i figli con i nomi canonici di santi e beati.
Fra i tanti protagonisti di quel periodo così significativo della vita sociale della città toscana, intendo qui ricordare due personaggi ampiamente citati nel romanzo e le cui biografie, tanto simili quanto diverse, procedono per lunghi tratti sul percorso parallelo della lotta di classe e dell’affermazione dell’ideale anarchico. Una è l’operaia Jessa Fontana (1883-1961), che nella sua lunga e interessante esistenza non si è mai mossa dalla città natale, l’altro è Augusto Castrucci (1872-1952), che da semplice ferroviere è diventato uno dei più stimati esponenti sindacali del secolo trascorso. Della prima ben pochi hanno sentito parlare, del secondo ci si è interessati con l’attenzione che meritava solo negli ultimi anni. Entrambi hanno dato un contributo determinante a favore di quella classe lavoratrice alla quale tanto orgogliosamente, e consapevolmente, appartennero.
Nata a Pisa nel 1883, Jessa appartiene a una delle tante famiglie anarchiche della città in riva all’Arno. Il padre Ettore e la madre Priscilla Poggi sono due attivi militanti del movimento libertario come del resto gli altri figli, Severo, Vasco e Selica. A soli 14 anni Jessa è già in grado di dare il proprio contributo all’anarchismo, tanto che viene segnalata dalla questura per la partecipazione alle manifestazioni anticlericali e per la costante presenza nella Camera del lavoro. Il suo primo arresto, e conseguente condanna a due mesi di carcere per “istigazione a delinquere”, risale al 1901. Frequenta assiduamente gli ambienti sovversivi portandovi con determinazione il suo entusiasmo e il suo desiderio di lottare. In fabbrica è sempre fra gli elementi più battaglieri ed esempio costante per le sue compagne di lotta. Dopo alcuni anni di convivenza, di “libero amore” come orgogliosamente lo si chiamava, nel 1910 si unisce in matrimonio con l’anarchico Giuseppe Pieroni, e dalla loro unione nasceranno Elso e Unico, anch’essi poi attivi nel movimento anarchico. Frequenta gli ambienti de “L’Avvenire anarchico”, il combattivo settimanale pisano che per anni sarà un importante foglio di lotta, propaganda e riflessione teorica a livello nazionale. Si spegne a Pisa nel giugno del 1961.
Augusto Castrucci nasce a Pisa nel 1872. Segnalato come anarchico nel 1891, entra ben presto in ferrovia e aderisce alla Lega Ferrovieri nel 1897, il primo organismo sindacale di categoria. Stimato rappresentante fra i compagni di lavoro, nel corso dello sciopero generale dei ferrovieri è uno degli elementi più in vista della combattiva categoria, e come tale viene fatto oggetto di particolari attenzioni poliziesche. Dopo la fondazione del Sindacato Ferrovieri Italiani, dà vita nel 1908 al glorioso giornale “In marcia!” di cui diventa direttore e uno dei più assidui collaboratori. Negli anni convulsi segnati da frequenti lotte e agitazioni e dai diversi orientamenti all’interno del sindacato sull’adesione o meno alla CGdL, Castrucci dapprima propende per l’autonomia sindacale per poi avvicinarsi, dopo la “settimana rossa” all’Unione Sindacale Italiana, con la quale condivide il maggiore slancio rivoluzionario che la contraddistingue. La partecipazione al movimento sindacale non lo allontana dall’attività nel movimento specifico, e infatti lo troviamo presente al I congresso anarchico italiano tenutosi a Roma nel 1907 e al convegno nazionale di Pisa nel 1915 dove si “riafferma l’avversione irriducibile degli anarchici nei confronti di ogni conflitto”. Anche nel dopoguerra, durante il “biennio rosso”, Castrucci è fra gli elementi di punta fra i compagni di lavoro, non solo per le capacità organizzative ma anche per la stima e la fiducia che lo circondano. Continua a sostenere la necessità di mantenere il SFI autonomo dalla CGdL e questo naturalmente non gli attira le simpatie né dei socialisti riformisti né dei comunisti “rivoluzionari”. Dopo aver subito una violentissima aggressione fascista a Pisa nel 1922, si trasferisce a Milano e l’anno successivo viene esonerato dal servizio per rappresaglia. Mantiene comunque la direzione di “In marcia!” fino alla cessazionedelle pubblicazioni nel 1926. Durante il fascismo subisce denunce, fermi, arresti e confino, persecuzioni che continuano fino al 1944. Caduto il fascismo riprende il proprio posto nel Sindacato di categoria, diventandone poi Segretario generale onorario. Muore a Milano nel 1952, all’età di 80 anni, lasciando nei compagni il ricordo di una figura integerrima.

Massimo Ortalli

Bibliografia
Su Castrucci si vedano

A. Castrucci, Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani. Cenni storici dal 1877 al 1944, Milano, La Prora, 1945, ristampato nel 1988 da Edizioni Zero in Condotta di Milano; E. Ordigoni, (a cura di), 80 anni di storia dei macchinisti attraverso la rivista “in Marcia”, Firenze, Ancora In Marcia!, 1988; Aa.Vv., Il Sindacato ferrovieri italiani dalle origini al fascismo 1907-1925, a cura di M. Antonioli e G. Checcozzo, Milano, Unicopli, 1994; G. Sacchetti, Il Sindacato ferrovieri italiani dalla “settimana rossa” alla grande guerra, in Aa.Vv., Il Sindacato ferrovieri italiani dalle origini al fascismo, cit.; M. Antonioli, Il sindacalismo italiano. Dalle origini al fascismo, Pisa, BFS Edizioni, 1997; C. Ferrari, La vita del macchinista Augusto Castrucci, in G. Sacchetti, C. Ferrari, M.C. Cabassi, Ricordo di uomini e lotte del 900, Firenze, ancora in marcia!, 2000.

Su Pisa proletaria e anarchica
F. Bertolucci, Anarchismo e lotte sociali a Pisa 1871-1901, Pisa BFS Edizioni, 1988; A. Marianelli, Movimento operaio, forme di propaganda e cultura sovversiva a Pisa tra ’800 e ’90, Pisa, BFS Edizioni, 1990; F. Bertolucci (a cura di), La Camera del lavoro di Pisa 1896-1922. Atti e documenti, Pisa, Camera del Lavoro, 1990; Id., Gli anarchici pisani e la costituzione dell’Unione Comunista Anarchica Italiana, relazione inedita presentata al Convegno di Studi L’esperienza dell’Unione Anarchica Italiana dal Biennio rosso alle leggi eccezionali (1919-1926), Imola, 10 ottobre 1999 (da cui traggo le notizie biografiche su Jessa Fontana); Aa.Vv. Galilei e Bruno nell’immaginario dei movimenti popolari tra otto e novecento, a cura di F. Bertolucci, Pisa, BFS Edizioni, 2001.

I cavalieri erranti
di Athos Bigongiali

6. Il delegato di polizia che nel maggio del 1905 compilò i cenni particolari della schedatura del ferroviere Augusto Castrucci non immaginò certo di aver affidato ai riposti archivi dello Stato l’ elogio dell’anarchismo pisano.
Il Castrucci aveva all’epoca ventisette anni, moglie e cinque figli: Spartaco, Bruno e Germinal i maschi; né poteva mancare, tra le bambine, una Tosca.
Già nella descrizione fisionomica il delegato si diffondeva sugli accattivanti tratti dei baffi arricciati e la barba alla Nazareno, le spalle quadrate, l’andatura dinoccolata, lo sguardo ardito. Addentrandosi nella di lui personalità egli segnalava poi la ‘pronta e sveglia intelligenza’ e la felice frequentazione della scuola d’arte e mestieri, malgrado il mai abbastanza contestato ‘contegno sprezzante verso l’Autorità’.
L’‘influenza’ del Castrucci tra i compagni di partito e gli impiegati delle Ferrovie si ‘estendeva anche ad altre città del Regno’ fino a diventare ‘influentissima anima direttiva’ quando si trattava di sottolinearne il ruolo nei vari Comitati di agitazione e di resistenza: del resto era grazie all’arte oratoria e al ‘fascino che esercita sul personale’ che egli riusciva sempre ad ottenenerne la ‘completa astensione dal lavoro’.
Cosa ha voluto dirci, il delegato, con queste lusinghiere parole? È azzardato supporre che abbia voluto compiere un bel gesto, un cavalleresco present’arm alle qualità del nemico?
È probabile che egli non avesse di tali pretese, e dunque fosse del tutto inconsapevole della gaffe che stava consegnando agli archivi della storia. Dopotutto appena pochi anni prima un anarchico di altrettanto fiero e bell’aspetto aveva ucciso il Re d’Italia.
Eppure lo specchio dell’ignoto poliziotto riflette un ‘immagine non inconsueta. Non era forse Ruffo Sarti, che estrasse per primo il revolver nel non voluto duello con il brigadiere G. M., un giovane ‘ardito, colto e intelligente’? E Pompeo Scipione Barbieri un ‘conferenziere autodidatta’ ma tanto trascinante coi suoi ‘molti argomenti’ da richiedere ogni volta al Commissario di turno la spiccia interruzione del suo dire? E Gino Del Guasta non possedeva, con l’innata bontà prodiga di ‘vasta e buona fama nell’opinione pubblica’ il dono dell’alata parola? « Il movimento anarchico è politica » scriverà pochi anni più tardi Antonio Gramsci «solo perché nella società attuale tutto diventa politica. Il movimento anarchico è una tendenza dello spirito umano come tale (dei borghesi e dei proletari)...».
È il destino contro il quale, più o meno coscientemente lottavano i libertari pisani.
Nella incerta Pisa del primo Novecento la lotta dell’anarchismo per farsi politica e storia scandisce, nelle scomposte e irripetibili forme che le furono proprie, i primi veri passi della città verso un sentire collettivo.
Il complicato gioco degli specchi e del tempo – da cui hanno origine i miti e le leggende – offre alla nostra memoria storica la facoltà di ordinare logicamente la vicenda altrimenti davvero casuale di Augusto Castrucci e del suo ignoto elogiatore. Costui intingeva la penna inconsapevole in un inchiostro che gli dettava le parole; ed esse sono oggi la visibile traccia di un potente immaginario locale, di un sogno che umanamente la città sognò.
C’è del vero nella leggenda, ormai dimenticata, dei «cavalieri erranti».


Capitolo sesto
1. A.C.S./C.P.C. 2108 - Fontana Jessa. Di Ettore e Poggi Priscilla, nata a Pisa il 18 giugno 1883, abitante in via Livornese 183, operaia, nubile, anarchica.
Nell’opinione pubblica riscuote cattiva fama per le idee sovversive che professa. È di carattere docile. Ha una discreta educazione e pronta intelligenza... frequenta le persone del partito anarchico e specie l’anarchico Mazzoni Virgilio di questa città. È stata portabandiera della Camera del Lavoro di Pisa. Ha influenza nel partito ma è circoscritta dove risiede… È accanita propagandista tra le persone del partito e ottiene qualche profitto. Non è capace di tenere conferenze ma ha parlato diverse volte in pubblico... leggendo scritti di compagni di partito. Ha preso parte alla manifestazione del 25 agosto 1901 in occasione dell’ anniversario di Giordano Bruno e di tutti i comizi pubblici e privati tenutisi a Pisa dal marzo 1901 ad oggi... Risulta pericolosa.

«Compiango coloro che sono preposti a compilare le schedature di noi anarchici. Il mestiere che fanno opprime il loro umano istinto, e talvolta i loro stessi sensi. Così talvolta può succedere che costoro sappiano tutto di noi, senza sapere nulla. Può succedere che essi guardino senza vedere.
«Nel 1903, quando è stata scritta la mia scheda, io avevo vent’anni, e le stesse speranze e volontà che ho adesso – 1908. Dicono che frequentavo la casa di Virgilio Mazzoni: lo dicono come fosse una colpa, per malignare sulla nostra concezione del libero amore. E invece in quella casa io incontravo Pasquale Binazzi e sua moglie Zelmira, Pietro Gori e la Bice: lì ho imparato a comporre le frasi secondo un ordine logico, in modo che divenisse più chiaro lo scopo dello scritto e quindi più convincente. Ora sono io che posso preparare conferenze per altri. Ma il delegato che registrava le entrate e le uscite a casa Mazzoni “doveva” pensare che ce ne stessimo con le mani in mano, ad amoreggiare, o a fantasticare e inventare attentati, magari contro il nuovo Re o contro il direttore della Saint Gobain. Egli non si preoccupava del fatto che i miseri operai della Vetraria, dopo tre mesi di sciopero, avevano deciso con 272 sì e solo 3 no il proseguimento ad oltranza dello sciopero. Egli non pensava che “quello” era a quei tempi il nostro attentato preferito.
«Quel 1903 è stato tremendo. Da chi, come me, aveva passato il Natale e il Capodanno in carcere niente poteva essere paragonato, malgrado il freddo che di febbraio e marzo a Pisa gela i piedi, alle ritrovate camminate sui lungarni e nel tardo pomeriggio sul fosso a parlare coi navicellai. Quando ero più piccola quella prua dove le famiglie dormivano mi pareva un nido tanto era calda, poi crescendo ho preferito rinunciare agli inviti, anche di compagni: purtroppo non mancano nemmeno in un rione proletario i cattivi interpreti del libero amore.
«Quell’anno abbiamo fatto i conti con la politica: ho visto con i miei occhi quanto è degradante per il nostro fermo ideale accettarne le regole. Se avessimo avuto la convinzione, e la forza, di dichiarare lo sciopero generale, forse la Saint Gobain avrebbe ritirato le sue pretese galeotte. Noi abbiamo avuto paura per le paghe di altri poveri proletari; insomma non eravamo pronti.
«Noi ragazze – Selica ed io – passammo molte sere di quella estate sul fosso a parlare. Tutti i giorni qualcuno che conoscevamo finiva in prigione: come ci sembrava lontana l’anarchia e lontani la fratellanza e l’amore universali!
«Amina, la nostra cuginetta, ci faceva piangere con le sue canzoni: guardandola, lei così piccola e così innocente, mi sentivo oppressa da tutta l’ingiustizia del mondo e non riuscivo, come avrei dovuto, a “dare l’esempio” che ci raccomandava nostra madre. Quando pioveva, parlavamo in casa al buio, per risparmiare la candela ».

da Una città proletaria di Athos Bigongiali, Sellerio editori, Palermo 1989, pagg. 83-88.

Alleanza del lavoro e
sciopero “legalitario”
di Augusto Castrucci

Fu verso il 1921-1922 che ad uno ad uno cadevano i fortilizi operai, dopo che Cooperative, Camere del Lavoro, Sezioni del Sindacato Ferrovieri o comunque organismi proletari, venivano distrutti, incendiati dalle camicie nere, che per arginare tanta cieca e brutale furia omicida e devastatrice, sorse l’«Alleanza del Lavoro».
L’«Alleanza» era costituita dalla «Confederazione Generale del Lavoro» dalla «Unione Sindacale Italiana», e dal «Sindacato Ferrovieri», dalle «Federazioni dei Lavoratori del Mare e dei Porti» e dai partiti politici di avanguardia.
Un organismo, dunque, numericamente potente di qualche milione di organizzati...
Pensiamo oggi, come pensavamo allora, che sarebbe stato sufficiente che l’«Alleanza» esortasse, invitasse gli organizzati a munirsi ciascheduno di un forte e nodoso «randello» da contrapporsi all’omicida «manganello» perché tanti lutti e tanta rovina venissero risparmiati all’Italia proletaria e perché venisse fugato l’ambizioso sogno dell’avvento del regime fascista.
Ma questo non si volle e non si fece; si volle invece perseverare nel metodo e nell’azione «legalitaria». Non è compito di quest’opuscolo mettere in rilievo l’assurdo e l’inanità di questo metodo, ed attardarci a polemizzare su questo pietoso quanto tragico argomento!
Passiamo dunque ad altro, passiamo allo sciopero generale ordinato dall’«Alleanza del Lavoro», sciopero che passò poi alla storia col nome di Legalitario! e che ebbe luogo – come ebbe luogo... – il l° e 2 agosto del 1922.
Intanto, possiamo affermare che i dirigenti dell’«Alleanza» avevano diramato l’ordine di sciopero, in tutta Italia, basandosi su di un fatto che avrebbe dovuto avvenire, ma che in realtà non avvenne!
E questo fu il grave errore e la grande responsabilità che grava sui massimi organizzatori di detto organismo e che decise Mussolini di «serrare i tempi» per gettare il proletariato italiano nella più imbelle ed ignobile schiavitù morale, materiale, politica e sindacale!
Sicuro, sta di fatto che, secondo i dirigenti dell’«Alleanza» avrebbe dovuto accadere questo:
«Che i fascisti della Toscana, a mezzo di treni straordinari, si sarebbero riversati su Sarzana, per commemorare i loro morti caduti nei conflitti coi sovversivi il 1° agosto del 1921, e per compiere le loro spietate rappresaglie, si procedeva dunque ad una strage di sovversivi, in grande stile, un mare di sangue... Si diceva che capo ed esponente di queste milizie, in camicia nera, fosse il ben noto Amerigo Dumini».
Cosa avvenne, invece? Che i treni speciali non furono effettuati, che l’adunata a Sarzana non ebbe più luogo, che il mare di sangue non vi fu, che il sentimento d’orrore, di esecrazione, di appassionata protesta che avrebbe dovuto pervadere non solo i proletari sovversivi ma tutta la Nazione, in quel fatale, storico e sanguinoso 1° agosto... non ebbe più ragione di essere!
Perché questo avvenne? Perché fu sospesa, soppressa la sagra di Sarzana? Perché? Perché?!…
Oh! purtroppo, purtroppo; noi possiamo rispondere a tutti questi suggestivi «perché»!
Perché qualcuno dell’«Alleanza» scientemente tradì, o con condannabile leggerezza riferì a qualche gerarca fascista, l’ordine di sciopero – che per ovvie ragioni avrebbe dovuto restare segretissimo – diramato dall’ Alleanza, sciopero che avrebbe dovuto effettuarsi il 1° agosto, quale atto spontaneo e possente di condanna e di protesta del Popolo italiano, per la eccezionale «spedizione punitiva» compiuta su Sarzana, per il mare di sangue versato da proletari italiani!
I gerarchi fascisti, spontaneamente ed anche facilmente, compresero subito la grande importanza della... rivelazione diretta o casuale ricevuta e diedero subito l’ordine della soppressione dei treni speciali anzidetti; la sagra di Sarzana era rimandata...
Questo avvenne nel pomeriggio del 31 luglio e se anche l’Alleanza fosse venuta a conoscenza che la spedizione punitiva su Sarzana non avrebbe avuto più luogo, non avrebbe potuto, non poteva affatto diramare un ordine perché lo sciopero non venisse proclamato.
Così, pel tradimento, o per la inqualificabile leggerezza di qualcuno, avemmo l’inevitabile catastrofe, che si ripercosse poi sui fatali avvenimenti successivi.
Venuto l’ormai famoso 1° agosto, i ferrovieri, i lavoratori italiani, senza entusiasmo, senza fede né convinzione, né volontà, senza rendersi conto del «perché» abbandonavano il lavoro, pur tuttavia l’abbandonarono, ma per indurre specie il lavoratore italiano, a resistere, a sfidare tutto e tutti, nell’atto di ribellione che compie, occorre, è indispensabile che sia convinto, che sia conscio, che apprezzi ed intimamente approvi quanto gli si ordina di fare...
Tutto ciò mancava affatto in quel tristissimo giorno e quindi, specialmente nelle piccole città, dove non c’è il grande agglomerato operaio per la mancanza di grandi officine e stabilimenti e quindi difetta l’esempio e l’aiuto solidale delle grandi masse organizzate, fu facile esercitare un po’ di violenza... concentrata; fra poliziotti e fascisti per indurre, in special modo i ferrovieri, a riprendere il lavoro!

da Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani. Cenni storici dal 1877 al 1944 di Augusto Castrucci, Zero in condotta, Milano 1988, pagg. 59 - 61.