Rivista Anarchica Online


dibattito anti-globalizzazione/2

Una scelta da compiere
di Alessandro Bresolin

Il movimento anarchico è di fronte a un bivio: rappresentare la parodia di se stesso sposando le scelte violente oppure sforzarsi di lavorare con le altre forze che compongono il "popolo di Seattle".

Trarre delle conclusioni dall'esperienza delle contestazioni contro il Global Forum tenutosi a Napoli è desolante, e riapre l'eterna questione della violenza in politica. Il summit ufficiale riguardava l'e-government, cioè l'applicazione delle nuove tecnologie su scala planetaria nei pubblici servizi, nella vita democratica, nei sistemi di controllo. In sostanza una grande cena d'affari in cui i dirigenti delle grandi aziende come la Microsoft hanno spiegato al "mondo istituzionale" come dovranno spendere i soldi pubblici nei prossimi anni: nei loro prodotti. Un tema agghiacciante, se si pensa alle implicazioni che avranno questi bisogni indotti nelle nostre vite.
In Campania la rete che formava il movimento No Global comprendeva trecento gruppi, tra associazioni, centri sociali, sindacati, collettivi di disoccupati, pacifisti, ecologisti, etc. Le iniziative contro la globalizzazione erano cominciate con un corteo di carri allegorici martedì sera, una street parade di apertura svoltasi pacificamente da Piazza del Gesù a Piazza Municipio, tra reggae e techno e i balli di diverse migliaia di individui di ogni età. In una città blindata da seimila agenti e diversi elicotteri, l'unico momento di tensione si è avuto davanti alla questura, per il sopraggiungere a tutta velocità di alcune macchine della polizia che avevano appena arrestato un camorrista. Nel corso delle giornate seguenti si sono svolte diverse azioni pacifiche, come un pic-nic davanti al McDonald's del Vomero con pecore e cibi biologici, ed altre violente, fuori dai cortei, come lo scontro tra un gruppo di anarchici e alcuni poliziotti, conclusosi con il ferimento di un agente colpito all'orecchio da un petardo. Ma il massimo della mobilitazione era prevista per sabato 17 marzo.
Nel giorno di chiusura del summit, era stata organizzata una manifestazione internazionale, partita alle 10 del mattino dalla Stazione di Piazza Garibaldi, composta da almeno trentamila persone provenienti da mezz'Europa e con treni speciali da Milano e Palermo. Una folla colorata di lavoratori, disoccupati, scolaresche e insegnanti, immigrati e militanti, sfila senza momenti di particolare tensione fino alle 11.45, quando gruppi di autonomi e anarchici all'altezza di via Mezzocannone cominciano a lanciare sanpietrini sui poliziotti. È la prima carica, avvisaglia di quanto accadrà, e nel fuggi fuggi una ragazza caduta a terra viene manganellata.

 

Gioco delle parti

A mezzogiorno il corteo arriva a Piazza Municipio, e la polizia comincia a chiudere ogni via di uscita. Gli organizzatori volevano raggiungere con una delegazione i luoghi dei lavori del summit, a piazza Plebiscito, un'intenzione nota da giorni alla polizia. Ma la chiusura nei confronti di queste richieste è stata categorica: niente delegazione dai grandi. Quando questa irresponsabile decisione è diventata certezza, si è scatenato il parapiglia. Alla mezza, gruppi di autonomi e anarchici sfidano il blocco degli agenti con pietre, spranghe, segnali stradali, per sfondare il cordone d'accesso alla "zona rossa". Polizia e carabinieri rispondono violentemente, scatenando il finimondo in mezzo alla folla secondo il loro stile ben noto. Cariche che non finivano più, aggressioni a gente che scappava, mentre le forze dell'ordine si mettevano addirittura a rilanciare i sampietrini sui manifestanti! Il bilancio finale, come hanno riportato le cronache, è stato di un centinaio di ragazzi feriti e altrettanti agenti, con gente che veniva schedata a caso, magari solo perché accompagnava i propri amici in ospedale. A testimoniare la brutalità delle cariche, le denuncie delle madri di alcuni minorenni per le violenze subite.
La manifestazione è finita in modo così tragico per il triste gioco delle parti tra poliziotti da stadio contro frange di autonomi e anarchici, italiani ed esteri. Lo stesso questore di Napoli riconoscerà che i violenti non erano nelle file della rete campana aderente al No Global, ma in gruppi provenienti dal nord Italia e da altri paesi come Francia e Grecia. Nel pomeriggio di sabato, alla conferenza stampa al terzo piano della facoltà di Architettura occupata, i portavoce del No Global accusano: "A noi può essere giustificato perdere il controllo di gruppi di estremisti, alla polizia invece questo non doveva succedere."
Vero, altrettanto vero è che molto era stato predisposto nella notte, perché durante la manifestazione dalle aiuole di Corso Umberto sono stati dissotterrati sanpietrini, davanti alla Credem sono comparse mazzole, picozze appuntite con seghe circolari... Con la Polizia nella logica della tolleranza zero d'altronde, è facile cadere nel loro gioco, e alla fine saranno loro i veri vincitori in tutto questo, quelli che hanno dimostrato che senza il loro intervento "le cose potevano andare anche peggio".

 

Meglio una risata

Non bisogna giustificare la violenza del movimento con la violenza della polizia, ma capire perché la scelta violenta di poche centinaia di persone sia riuscita ad imporsi su trentamila individui. Se gruppi di violenti hanno la meglio su decine di migliaia di individui, significa o che va bene così a tutti, o che sono stati ostaggio dei violenti, ed entrambe le ipotesi sono brutti sintomi. Gli scontri sono accaduti per una concausa, per il clima di esasperazione cui si era arrivati in quel muro contro muro, ma anche per la scarsa coscienza politica della maggior parte dei manifestanti, giunti a Napoli per "far casino".
L'esperienza del No Global ha mostrato il fallimento della linea di chi voleva la "presa del palazzo" costi quel che costi, e che non si è certo tirato indietro nella guerriglia. Molto meglio sarebbe stato seppellire l'arroganza dei potenti con una risata e la solidarietà chiassosa dei napoletani, che rispetto al resto d'Italia conservano delle caratteristiche "di popolo". Invece, in una città che già vive sulla propria pelle la dolorosa esperienza del doppio controllo, poliziesco e camorristico, più di altre aggredita dalla violenza quotidiana, si è voluto dare questo triste spettacolo. Forse questo è quello che mi ha indignato di più, vedere presunti anarchici a volto coperto calati come marziani in una splendida mattinata di sole.

 

Una reazione politica nuova

Una volta di più si è dimostrato che la violenza e il nichilismo non portano da nessuna parte, e che se si vuole cambiare qualcosa sul serio e non per finta, bisogna arrivare in piazza con mamme e bambini, non con spranghe e picconi. Sta di fatto che la società italiana è ormai travolta dalla violenza, quotidiana, di stato, o indotta e banalizzata da ogni mass-media, e forse menare le mani fa fico. Ma è l'ignoranza che genera violenza, cantavano i Sud Sound System. La questione è se lottiamo per allargare gli spazi di libertà nella società o se lottiamo per vederli sempre più militarizzati, prestandoci alla criminalizzazione.
Pochi giorni prima dall'altra parte del mondo, gli indios hanno marciato a Città del Messico acclamati da una folla festante che si riconosceva in loro. Tra i manifestanti tutti si dicevano zapatisti, ma questi hanno lasciato le armi a casa, prima di partire. Se fosse stato altrimenti, probabilmente sarebbe capitato peggio di ciò che è capitato a Napoli, e le rivendicazioni indigene avrebbero smesso di avere un senso politico. Ma forse gli indios hanno più rispetto e serietà, anche nell'uso della violenza. Cosa accadrà a Genova dal 20 al 22 luglio, prossima tappa di quello che appare sempre più come il circo itinerante del capitalismo mondiale, dove i vertici dell'EZLN hanno già annunciato la volontà di esserci?
La critica alla globalizzazione ha scatenato una reazione politica nuova, che sta unendo diversi spezzoni della società, del mondo sindacale, intellettuale e della sinistra autogestionaria. Quella del No Global non è l'unica esperienza che si sta muovendo in questo senso, diciamo solo che è una tra le innumerevoli, e di tutte la società ha bisogno. In questo contesto il movimento anarchico può scegliere se rappresentare la parodia di se stesso, oppure dare il suo contributo sforzandosi di lavorare con il magma di comitati, associazioni, quartieri, etc., per ridefinire pratiche di azione politica. C'è da dire che a Napoli, purtroppo o per fortuna, erano presenti soprattutto insurrezionalisti felici di spettacolarizzarsi.
I ragazzi napoletani sono quelli che hanno pagato di più, i disoccupati organizzati che erano partiti con l'intenzione di capire e di spiegare le loro posizioni, di confrontarsi, a cui non è stata data un'occasione per costruire discutendo, per elaborare proposte e modelli, rifiutando schematismi militareschi. Un tentativo così complesso non può essere esente da contraddizioni, anzi queste possono essere un punto di forza, se riflettono sviluppo e maturazione teorica. In gioco c'è la necessità di ridefinire il senso di un movimento politico di base e autogestionario in termini moderni. Forse che la violenza lo è? Il rischio è che il tutto nasca già vecchio.

Alessandro Bresolin