Trarre delle conclusioni dall'esperienza delle contestazioni
contro il Global Forum tenutosi a Napoli è desolante, e riapre l'eterna
questione della violenza in politica. Il summit ufficiale riguardava l'e-government,
cioè l'applicazione delle nuove tecnologie su scala planetaria nei pubblici
servizi, nella vita democratica, nei sistemi di controllo. In sostanza una grande
cena d'affari in cui i dirigenti delle grandi aziende come la Microsoft hanno
spiegato al "mondo istituzionale" come dovranno spendere i soldi pubblici
nei prossimi anni: nei loro prodotti. Un tema agghiacciante, se si pensa alle
implicazioni che avranno questi bisogni indotti nelle nostre vite.
In Campania la rete che formava il movimento No Global comprendeva trecento
gruppi, tra associazioni, centri sociali, sindacati, collettivi di disoccupati,
pacifisti, ecologisti, etc. Le iniziative contro la globalizzazione erano cominciate
con un corteo di carri allegorici martedì sera, una street parade
di apertura svoltasi pacificamente da Piazza del Gesù a Piazza Municipio,
tra reggae e techno e i balli di diverse migliaia di individui di ogni età.
In una città blindata da seimila agenti e diversi elicotteri, l'unico momento
di tensione si è avuto davanti alla questura, per il sopraggiungere a tutta
velocità di alcune macchine della polizia che avevano appena arrestato
un camorrista. Nel corso delle giornate seguenti si sono svolte diverse azioni
pacifiche, come un pic-nic davanti al McDonald's del Vomero con pecore e cibi
biologici, ed altre violente, fuori dai cortei, come lo scontro tra un gruppo
di anarchici e alcuni poliziotti, conclusosi con il ferimento di un agente colpito
all'orecchio da un petardo. Ma il massimo della mobilitazione era prevista per
sabato 17 marzo.
Nel giorno di chiusura del summit, era stata organizzata una manifestazione internazionale,
partita alle 10 del mattino dalla Stazione di Piazza Garibaldi, composta da almeno
trentamila persone provenienti da mezz'Europa e con treni speciali da Milano e
Palermo. Una folla colorata di lavoratori, disoccupati, scolaresche e insegnanti,
immigrati e militanti, sfila senza momenti di particolare tensione fino alle 11.45,
quando gruppi di autonomi e anarchici all'altezza di via Mezzocannone cominciano
a lanciare sanpietrini sui poliziotti. È la prima carica, avvisaglia di
quanto accadrà, e nel fuggi fuggi una ragazza caduta a terra viene manganellata.
Gioco delle parti
A mezzogiorno il corteo arriva a Piazza Municipio, e la polizia comincia a
chiudere ogni via di uscita. Gli organizzatori volevano raggiungere con una delegazione
i luoghi dei lavori del summit, a piazza Plebiscito, un'intenzione nota da giorni
alla polizia. Ma la chiusura nei confronti di queste richieste è stata
categorica: niente delegazione dai grandi. Quando questa irresponsabile
decisione è diventata certezza, si è scatenato il parapiglia. Alla
mezza, gruppi di autonomi e anarchici sfidano il blocco degli agenti con pietre,
spranghe, segnali stradali, per sfondare il cordone d'accesso alla "zona
rossa". Polizia e carabinieri rispondono violentemente, scatenando il finimondo
in mezzo alla folla secondo il loro stile ben noto. Cariche che non finivano più,
aggressioni a gente che scappava, mentre le forze dell'ordine si mettevano addirittura
a rilanciare i sampietrini sui manifestanti! Il bilancio finale, come hanno riportato
le cronache, è stato di un centinaio di ragazzi feriti e altrettanti agenti,
con gente che veniva schedata a caso, magari solo perché accompagnava i
propri amici in ospedale. A testimoniare la brutalità delle cariche, le
denuncie delle madri di alcuni minorenni per le violenze subite.
La manifestazione è finita in modo così tragico per il triste gioco
delle parti tra poliziotti da stadio contro frange di autonomi e anarchici, italiani
ed esteri. Lo stesso questore di Napoli riconoscerà che i violenti non
erano nelle file della rete campana aderente al No Global, ma in gruppi
provenienti dal nord Italia e da altri paesi come Francia e Grecia. Nel pomeriggio
di sabato, alla conferenza stampa al terzo piano della facoltà di Architettura
occupata, i portavoce del No Global accusano: "A noi può essere
giustificato perdere il controllo di gruppi di estremisti, alla polizia invece
questo non doveva succedere."
Vero, altrettanto vero è che molto era stato predisposto nella notte, perché
durante la manifestazione dalle aiuole di Corso Umberto sono stati dissotterrati
sanpietrini, davanti alla Credem sono comparse mazzole, picozze appuntite con
seghe circolari... Con la Polizia nella logica della tolleranza zero d'altronde,
è facile cadere nel loro gioco, e alla fine saranno loro i veri vincitori
in tutto questo, quelli che hanno dimostrato che senza il loro intervento "le
cose potevano andare anche peggio".
Meglio una risata
Non bisogna giustificare la violenza del movimento con la violenza della polizia,
ma capire perché la scelta violenta di poche centinaia di persone sia riuscita
ad imporsi su trentamila individui. Se gruppi di violenti hanno la meglio su decine
di migliaia di individui, significa o che va bene così a tutti, o che sono
stati ostaggio dei violenti, ed entrambe le ipotesi sono brutti sintomi. Gli scontri
sono accaduti per una concausa, per il clima di esasperazione cui si era arrivati
in quel muro contro muro, ma anche per la scarsa coscienza politica della maggior
parte dei manifestanti, giunti a Napoli per "far casino".
L'esperienza del No Global ha mostrato il fallimento della linea di chi
voleva la "presa del palazzo" costi quel che costi, e che non si è
certo tirato indietro nella guerriglia. Molto meglio sarebbe stato seppellire
l'arroganza dei potenti con una risata e la solidarietà chiassosa dei napoletani,
che rispetto al resto d'Italia conservano delle caratteristiche "di popolo".
Invece, in una città che già vive sulla propria pelle la dolorosa
esperienza del doppio controllo, poliziesco e camorristico, più di altre
aggredita dalla violenza quotidiana, si è voluto dare questo triste spettacolo.
Forse questo è quello che mi ha indignato di più, vedere presunti
anarchici a volto coperto calati come marziani in una splendida mattinata di sole.
Una reazione politica
nuova
Una volta di più si è dimostrato che la violenza e il nichilismo
non portano da nessuna parte, e che se si vuole cambiare qualcosa sul serio e
non per finta, bisogna arrivare in piazza con mamme e bambini, non con spranghe
e picconi. Sta di fatto che la società italiana è ormai travolta
dalla violenza, quotidiana, di stato, o indotta e banalizzata da ogni mass-media,
e forse menare le mani fa fico. Ma è l'ignoranza che genera violenza, cantavano
i Sud Sound System. La questione è se lottiamo per allargare gli spazi
di libertà nella società o se lottiamo per vederli sempre più
militarizzati, prestandoci alla criminalizzazione.
Pochi giorni prima dall'altra parte del mondo, gli indios hanno marciato a Città
del Messico acclamati da una folla festante che si riconosceva in loro. Tra i
manifestanti tutti si dicevano zapatisti, ma questi hanno lasciato le armi a casa,
prima di partire. Se fosse stato altrimenti, probabilmente sarebbe capitato peggio
di ciò che è capitato a Napoli, e le rivendicazioni indigene avrebbero
smesso di avere un senso politico. Ma forse gli indios hanno più rispetto
e serietà, anche nell'uso della violenza. Cosa accadrà a Genova
dal 20 al 22 luglio, prossima tappa di quello che appare sempre più come
il circo itinerante del capitalismo mondiale, dove i vertici dell'EZLN hanno già
annunciato la volontà di esserci?
La critica alla globalizzazione ha scatenato una reazione politica nuova, che
sta unendo diversi spezzoni della società, del mondo sindacale, intellettuale
e della sinistra autogestionaria. Quella del No Global non è l'unica
esperienza che si sta muovendo in questo senso, diciamo solo che è una
tra le innumerevoli, e di tutte la società ha bisogno. In questo contesto
il movimento anarchico può scegliere se rappresentare la parodia di se
stesso, oppure dare il suo contributo sforzandosi di lavorare con il magma di
comitati, associazioni, quartieri, etc., per ridefinire pratiche di azione politica.
C'è da dire che a Napoli, purtroppo o per fortuna, erano presenti soprattutto
insurrezionalisti felici di spettacolarizzarsi.
I ragazzi napoletani sono quelli che hanno pagato di più, i disoccupati
organizzati che erano partiti con l'intenzione di capire e di spiegare le loro
posizioni, di confrontarsi, a cui non è stata data un'occasione per costruire
discutendo, per elaborare proposte e modelli, rifiutando schematismi militareschi.
Un tentativo così complesso non può essere esente da contraddizioni,
anzi queste possono essere un punto di forza, se riflettono sviluppo e maturazione
teorica. In gioco c'è la necessità di ridefinire il senso di un
movimento politico di base e autogestionario in termini moderni. Forse che la
violenza lo è? Il rischio è che il tutto nasca già vecchio.
Alessandro Bresolin
|