Rivista Anarchica Online


dibattito anti-globalizzazione/1

Che ne faremo dell'anarchismo?
di Rebecca DeWitt

Partendo dall'esperienza di Seattle (fine 1999), ecco un'analisi del ruolo degli anarchici all'interno di un movimento che sta prendendo un nuovo slancio politico.

A Seattle sono rimasta quasi tutta la settimana per la strada, assistendo allo svolgersi degli eventi. Solo ogni tanto cercavo un riparo dal clima orrendo di questa città in una chiesa o in un auditorio, dove potevo ascoltare illustri esperti che parlavano dei diversi aspetti del WTO (World Trade Organisation - Organizzazione Mondiale del Commercio). Qualunque fosse il tema trattato, era impossibile trovare una sintonia tra quanto accadeva nelle strade e queste conferenze preparate con tanta cura. Una di queste prometteva una critica femminista al WTO, ma l'unico concetto espresso dagli oratori e dalle oratrici era che il WTO poteva contribuire ad aumentare l'occupazione femminile nella produzione globale. Quel giorno, poche ore prima, c'era stato un corteo di donne che si era fermato a un incrocio e, nel giro di cinque minuti, i poliziotti si erano messi le maschere antigas. Questo in nome del dialogo.
In una delle conferenze ho fatto amicizia con un'indonesiana che, come me, era delusa dalle divisioni. Ce ne siamo andate e, a piedi sotto la pioggia battente, abbiamo raggiunto il centro, capitando nel bel mezzo di un'altra manifestazione. Da lontano si vedeva un corteo di ambientalisti che cercava di sottrarsi ai gas lacrimogeni mentre, proprio davanti a noi, i poliziotti con i manganelli e le pallottole di gomma inseguivano lungo i marciapiedi i membri del sindacato dei pubblici dipendenti che indossavano certe gualdrappe viola. Bastava attraversare la strada per essere rincorsi dalle forze dell'ordine. Quelli del sindacato, ben coordinati dai telefonini e dai walkie-talkie, riuscivano a sottrarsi alla caccia passando dal di dietro e fermandosi proprio alle spalle di una fila di poliziotti ignari. Uno dei sindacati canadesi che stava in piedi accanto a me scuoteva la testa e diceva di non riuscire a credere che questo succedeva proprio negli Stati Uniti. L'indonesiana, veterana di tante manifestazioni violente nel suo paese, mi ha chiesto dove poteva comprare dei jeans Levi's da portare ai suoi amici. In quel mentre non avevo dubbi che i conferenzieri stessero ancora discutendo tranquillamente le proposte di riforma del WTO. In quanto anarchica, mi sentivo di dover dare un senso a quello che stava succedendo, di capire dove stavamo andando e a che cosa puntiamo, allora come adesso.

 

Contro il capitalismo globale

I mass media hanno detto che gli anarchici erano padroni delle strade di Seattle, ma io non ne sono tanto sicura. Avevo sperato di vedere più attività anarchica, non fosse altro perché il tutto era pensato come un attacco al capitalismo globale. Di anarchici ce n'erano molti a Seattle, anche se sui giornali e alla televisione si parlava soprattutto di un gruppo che veniva dall'Oregon. Altri gruppi che rispecchiano le idee anarchiche, come quelli della Direct Action Network, avevano parole d'ordine sulla fine delle gerarchie e per una nuova società senza oppressione. A parte questi incontri occasionali, non ho visto nessun'altra attività che si possa definire specificatamente anarchica: gli anarchici non erano presenti in tutti i comitati, non avevano organizzato un incontro per illustrare una critica autonoma al WTO e, anzi, per quanto ne so, una critica anarchica non è mai stata presentata.
Anarchismo e WTO rappresentano due mondi perfettamente contrapposti e il primo ha tutto da guadagnare da questo confronto. L'Organizzazione Mondiale per il Commercio rappresenta praticamente l'epitome della struttura di potere autoritaria contro cui combattere. La gente è venuta a Seattle perché sapeva quanto fosse sbagliato permettere che un gruppo di funzionari facesse in segreto scelte politiche rovinose per tutti tranne che per loro stessi. Il WTO, che è un organismo non eletto, cerca di acquistare un potere superiore a quello di qualsiasi governo nazionale. In altri termini esso ha sollevato un problema politico capace di galvanizzare un pubblico che si credeva addormentato. Per gli anarchici non può esserci un ideale migliore di quello che mette al centro delle critiche il capitalismo globale. Eppure, mentre la riunione del WTO ha mobilitato decine di migliaia di persone, la massima espressione della presenza anarchica è stata qualche vetrina spaccata. Dopo Seattle l'attività anarchica si è fatta più organizzata e più attenta a tutti gli aspetti, ricorrendo alle strutture dei gruppi di affinità e dei consigli (Milstein 2000), e anche sulla stampa più letta, per esempio sul New York Times, c'è stato un atteggiamento meno ostile. Oserei dire che l'anarchia è di moda: un breve articolo di Fred Woodworth, il direttore di The Match, che illustrava le caratteristiche del movimento anarchico, è uscito addirittura sul numero di ottobre di Playboy!
Certo, la lotta contro il WTO, come quella successiva contro il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e la Banca Mondiale, ha ridato vigore all'anarchismo, ma fino a che punto? Dopo Seattle, nonostante le ultime manifestazioni, il movimento ha davanti a sé ancora tre trabocchetti: un vacuo moralismo, una prassi orfana di teoria e un involontario regalo di energie fresche alle politiche riformiste. Gli anarchici devono saper evitare queste trappole ed elaborare strumenti teorici che siano di sostegno al movimento politico.

 

Anarchismo come vacuo moralismo

L'anarchismo è sentire l'ingiustizia che c'è nel mondo, è fiducia nelle capacità degli esseri umani di travalicare le strutture sociali che provocano questa ingiustizia, è impegno a fare qualcosa per questo fine. In un certo senso è un prodotto della nostra società: finché esisterà l'ingiustizia ci saranno anarchici. L'anarchismo è anche il rifiuto di qualsiasi gerarchia politica, sociale ed economica. È contro lo stato perché esso rappresenta una burocrazia di specialisti staccati dal popolo; è contro il capitalismo perché è un sistema economico oppressivo. Queste idee sopravvivono anche se non c'è un movimento politico che le sostiene.
Possiamo proiettare l'anarchismo come un ideale, ma non dobbiamo dimenticarci che ogni ideale corre sempre il rischio di diventare tanto elevato da perdere ogni rapporto con i problemi reali e con le lotte sociali.
Uno dei più grossi ostacoli che si trovano davanti gli anarchici riguarda l'opinione prevalente secondo la quale l'anarchismo sarebbe fallito come movimento politico e che quindi si tratterebbe di un'idea utopistica e irrealizzabile. Il buffo è che sono gli anarchici che spesso perpetuano questa convinzione, non riuscendo a pensare l'anarchismo al di là di un vacuo moralismo. Il modo in cui lo concepiamo incide direttamente sul nostro agire.
La maggior parte dei libri sulla storia dell'anarchia si concludono bruscamente alla fine degli anni trenta, dopo la guerra civile spagnola. Il volume di George Woodcock termina con il 1939, perché l'autore è convinto che il movimento non abbia più rappresentato alcunché di credibile dopo quella data. Forse non era riuscito a prevedere o non aveva tenuto conto delle attività mai cessate da parte di militanti di base nei movimenti antifascista, femminista, contro la guerra, antinucleare, ecologista, ma le aveva sempre considerate nient'altro che fatti occasionali e isolati. Se gli anarchici hanno registrato qualche successo politico, è solo in casi che riflettono condizioni storiche superate e non sono di primaria importanza politica. Woodcock, inoltre, distingue l'anarchismo come movimento politico dall'idea di anarchismo. Quest'ultimo, secondo lui, è presente tra noi da molto tempo prima di qualsiasi movimento anarchico e non cesserà mai di ripresentarsi. Per questo la forza dell'anarchia sta nelle idee e non nel suo rilievo politico, perché la storia ci ha regalato più sconfitte che successi. L'idea anarchica, secondo Woodcock, è quella di una sempiterna resistenza alla tendenza di ogni società verso un centralismo e un'omologazione sempre più forti. Questa resistenza diventa come un imperativo etico che noi seguiamo ponendoci contro le strutture di potere.
Se l'anarchismo riesce sempre a sopravvivere come idea, possiamo benissimo essere anarchici senza tenere conto delle vittorie o delle sconfitte. Se resta un'idea, però, l'imperativo etico ha la tendenza a travalicare l'anarchismo. Se questo deve essere considerato solo un'idea e non un movimento politico praticabile, è possibile utilizzare la forza delle idee anarchiche solo come una specie di bussola per orientarsi. Riusciamo a proiettare l'anarchismo come ideale, ma non dobbiamo dimenticare che un ideale rischia di diventare talmente etereo da perdere ogni relazione con i problemi concreti e con le lotte sociali. Troppo sovente "non si scende vivi dalla croce" (Cortazar 1984). Il vero interrogativo allora è questo: vogliamo o no che l'anarchia sia più di un'idea e che diventi un movimento politico? Vogliamo che la frase "abbattere il capitalismo e lo stato" significhi qualcosa di più della momentanea esaltazione di una manifestazione?
Come e perché l'anarchismo rappresenti un'alternativa è qualcosa che dobbiamo saper spiegare, per agire poi di conseguenza. Le azioni dichiaratamente anarchiche di Seattle sono atti di distruzione della proprietà. Spaccare le vetrine dei grandi magazzini può dare una certa emozione ma è anche un esempio di come una politica anarchica possa trasformarsi in vacuo moralismo. Le botteghe a gestione familiare sono state di proposito risparmiate, ma questo ha semplicemente portato a una vaga distinzione tra attività commerciali buone e attività commerciali cattive. Queste categorie non offrono gran ché per l'educazione della gente nei confronti del capitalismo in generale. Prendersela con la Nike come una delle principali responsabili dei mali del capitalismo è necessario, ma per quali ragioni sia così non lo si spiega con qualche vetrina rotta.

L'anarchismo in azione

Il decentramento è al centro dell'anarchismo ed è il modo più diffuso di metterlo in pratica, anche se questo fa perdere peso politico. L'anarchismo, nella maggior parte dei casi, diventa prassi grazie a gruppi che hanno una struttura di leadership decentrata. Questa struttura è un elemento della teoria anarchica ma spesso la si considera, confondendo i livelli, una diretta costituente del movimento politico, solo perché è presente un'attività decentrata.
La Rete di Azione Diretta (Direct Action Network - DAN), cui va il merito delle proteste più aggressive che hanno provocato il blocco della riunione del WTO per quasi l'intera giornata dello scorso 30 novembre, ha al suo interno molti anarchici. Sul sito web della rete si legge: "Immaginatevi di sostituire l'attuale ordine sociale con uno giusto, libero ed ecologico, basato sull'aiuto reciproco e sulla cooperazione volontaria. UN NUOVO MONDO È POSSIBILE e noi siamo parte di un movimento globale che sta sorgendo per renderlo tale". La maggior parte delle attività della DAN è considerata anarchica proprio in ragione del fatto che si tratta di azioni decentrate. Il ragionamento che si fa è questo: per creare una società non gerarchica, gli anarchici, per raggiungere i propri obiettivi, devono ricorrere a tattiche non gerarchiche. Non c'era una leadership di tipo tradizionale e si formavano invece gruppi di affinità che operavano le proprie scelte sulla base del consenso.
Le attività della DAN hanno prodotto risultati positivi ben oltre le aspettative di chiunque. Il 30 novembre, prima che la polizia si rendesse conto di quanto stava succedendo, i quattro incroci intorno all'albergo che ospitava i delegati del WTO sono stati occupati da esponenti della rete e alcuni manifestanti si sono incatenati proprio davanti all'ingresso dell'albergo. All'ora in cui i venti o trentamila partecipanti al grande corteo dei sindacati sfilavano nel centro della città, la polizia aveva cominciato a lanciare i lacrimogeni e la confusione era generale, ma i militanti della DAN riuscivano a mantenere il blocco agli incroci per un bel po' di tempo. Era stata proprio questa prima azione della rete a chiudere il centro di Seattle per una giornata e la polizia aveva in sostanza perso il controllo della situazione. Ogni volta che venivano dispersi i manifestanti si raggruppavano nuovamente e alla fine della settimana le azioni di protesta erano ancora molto decise. Il WTO è stato costretto ad annullare definitivamente la riunione, non riuscendo a programmare un nuovo giro di colloqui. È stata questa la vittoria più grossa per tutti.

 

La discussione continua

La cosa buffa è che la DAN non si definisce anarchica, nonostante i metodi adottati, mentre il Black Bloc, (il gruppo dichiaratamente anarchico che si ritiene responsabile dei danneggiamenti) procedeva in formazione militare e i comandi impartiti ai vari plotoni erano accompagnati dal sibilo del fischietto. Allora, dov'erano i veri anarchici? La discussione continua, ma bisogna stare soprattutto attenti a evitare interpretazioni semplicistiche delle idee anarchiche. La convinzione che il decentramento o la rottura delle vetrine della Nike come bersaglio surrogato dello stato faccia avanzare una politica anarchica è ingenua nella migliore delle ipotesi e nella peggiore dice che abbiamo già fatto quanto era da fare. Evidentemente, se i mezzi coincidono con il fine, allora tutto è già bello e concluso. Non voglio certo denigrare le buone intenzioni dei manifestanti che cercavano di tradurre in prassi le idee anarchiche, ma è fondamentale mettere in luce ciò che è mancato: appunto quello che sta tra i mezzi e il fine.
A parte lo sdegno morale, al momento gli anarchici non hanno in mano nient'altro che la possibilità di manifestare. Protestiamo contro le ingiustizie, ci agitiamo per questa o quella questione. Farlo in modo decentrato non è sufficiente. Passeremo da una protesta all'altra fino a stancarci e a esserne distolti da altri impegni. Possiamo anche cadere in preda della delusione davanti all'esito certo non rivoluzionario di tante lotte. Ecco alcuni dei risultati di Seattle: Ralf Nader che partecipa alle presidenziali americane, i sindacati che puntano su Al Gore per vedere soddisfatte le loro rivendicazioni, mentre la questione all'ordine del giorno è la riduzione del debito dei paesi del Sud del mondo. Per giunta, il dibattito sull'anarchia è stato orientato da gruppi non anarchici. A causa di qualche vetrina spaccata, siamo stati costretti a discutere del ruolo della violenza per il fatto che altri gruppi accusavano gli anarchici di vandalismo e di saccheggi. Ma non è questa la direzione verso la quale vogliamo incanalare le nostre energie. Riusciremo a evitare di fare da truppe di fanteria a vantaggio di organizzazioni più forti, portando la discussione sul terreno che vogliamo noi? Noi anarchici dobbiamo sviluppare una teoria di una società libera, nell'intento di essere di guida a noi stessi nel percorso dai mezzi al fine, altrimenti non saremo in grado di fare quel passo decisivo dall'idea al movimento politico e finiremo col batterci per cose in cui non crediamo o che non saremo in grado di sostenere.

 

Seattle: riforma o rivoluzione

È necessario mettere in evidenza il prevalente carattere riformista delle proteste, se vogliamo definire un criterio da seguire quando ci si batte o si pensa che genere di movimento politico vogliamo costruire. Siccome non era mai stata presentata un'analisi anarchica, a Seattle sono passate le proposte riformiste.
Dato che il WTO rappresenta gli interessi del capitalismo globale, qualsiasi atto di resistenza va pensato a livello di un cambiamento del sistema che abbia una diffusa incidenza sul piano internazionale.
In uno dei tanti cortei di protesta mi è capitato di sentire una donna che urlava ai manifestanti di pagare per quello che facevano o di tornarsene a casa. Quella donna urlante aveva ragione: dobbiamo pagare per la libertà di parola. Ci sono gruppi, come Global Exchange, che vogliono che le grandi catene di distribuzione del caffè, come la Starbuck, paghino di più i contadini che coltivano il caffè in Centro America e minacciano il boicottaggio dei consumatori se non lo faranno. Questi attivisti accettano una prospettiva consumistica, lasciano intendere che sia possibile controllare il capitalismo con il capitalismo, lasciano al singolo l'onere del cambiamento, quali che siano le circostanze.
Cercando alternative non ho trovato nient'altro che proposte che dipendono dalla buona volontà dello stato o che presumono che il WTO esisterà per sempre. Consideriamo questa presa di posizione di Public Citizen: "Adesso il nostro compito è di lottare per un sistema di commercio globale che sia democraticamente responsabile e che miri a soddisfare i bisogni della gente e non solo quelli delle grandi multinazionali" (dichiarazione di Lori Wallach di Public Citizen). Si dà acriticamente per scontato che un sistema di commercio globale, purché sia democratico, possa soddisfare i bisogni della gente. Il che presuppone l'accettazione di una democrazia così com'è oggi: una struttura centralistica e burocratica, lontana dalla volontà popolare. La maggioranza della gente, quando pensa alla democrazia, ha in mente un organismo professionale come quello statale che, in pratica, opera da intermediario per la libertà. Quando rivendichiamo la democrazia in forme che non siano dichiaratamente contro lo stato, richiediamo la stessa cosa che serve al WTO per portare avanti le sue politiche commerciali, perché il controllo politico non è mai affidato in prima istanza al popolo. La possibilità di incidere sul sistema è così seriamente compromessa e rende impossibile un cambiamento rivoluzionario.
In contrasto con la superficialità dei metodi riformisti appena illustrati, gli anarchici partono da un rifiuto delle riforme, nella convinzione che la nostra società debba essere divelta dalle radici e ripiantata avendo in mente una società ideale. Dato che il WTO rappresenta gli interessi del capitalismo globale, qualsiasi atto di resistenza va pensato a livello di un cambiamento del sistema che abbia una diffusa incidenza sul piano internazionale. Per gli anarchici, un cambiamento politico reale è impossibile se manca una visione utopica. Un movimento politico che raggiunge risultati effimeri riformando parti isolate del sistema non è un movimento rivoluzionario. Questi risultati possono sopravvivere per mezzo secolo o più, ma spesso aprono la strada a un'oppressione ancora peggiore di quella precedente. Il rifiuto delle riforme da parte dell'anarchismo offre la possibilità di trascendere dal ciclo perpetuo di riforme senza rivoluzione.

 

Una teoria politica per la rivoluzione

Gli anarchici sono bravissimi a mettere in luce quello che non funziona nella nostra società e dei diversi metodi politici, ma sarà necessario offrire qualcosa di più delle critiche all'attivismo altrui. Dovremo entrare nel dibattito, essere presenti alle discussioni la prossima volta e offrire una tribuna alla critica anarchica (dopo Seattle qualche tentativo in questo senso è stato fatto). La cosa più importante da considerare è che, a meno che l'anarchismo non prenda un'altra direzione, i nostri limiti renderanno molto difficoltoso il sostegno delle scelte anarchiche in un nuovo movimento. Gli anarchici spesso si limitano a ricorrere ad atti simbolici, come la rottura delle vetrine, che portano a un vacuo moralismo, o limitano le potenzialità dell'anarchia a certe pratiche come quella del decentramento. Se vogliamo osservare le cose più da vicino, gran parte dell'attivismo a Seattle ruotava intorno all'attivismo basato sui consumatori e all'accettazione dello status quo, a cui gli anarchici hanno profuso tante energie. Evitare queste trappole significa cominciare a farsi carico di un compito gigantesco, quello di capire in che mondo viviamo e di proiettarvi una visione per il futuro.
Vuol dire anche che dobbiamo avere una teoria politica che s'ispiri ai nostri ideali, ma che affondi anche le sue basi nell'esperienza del mondo in cui siamo. Se sta davvero emergendo un nuovo movimento politico anticapitalista, agli anarchici si offre una possibilità straordinaria per spiegare legittimamente che cosa significhi una "società giusta, libera, ecologica e basata sull'aiuto reciproco e la cooperazione volontaria". Il modo in cui è fatto questo mondo, quelli che sono i nostri principi, la nostra capacità di sviluppare il nostro pensiero: tutto questo determinerà una teoria politica. L'attivismo ci offre l'occasione di vedere per un po' il nostro pensiero tradotto in azione, ma può anche restringere la prospettiva su aspetti pragmatici limitati. La teoria politica ci permette di operare al meglio partendo dagli ideali anarchici e dalla forza di un movimento popolare. Questo, però, dipende dalla nostra capacità di spiegare razionalmente i nostri ideali e il mondo di oggi.

 

Straordinaria coalizione

Diceva George Orwell: "Il linguaggio politico (e questo vale, con le debite differenze, per tutti i partiti politici, dai conservatori agli anarchici) è fatto apposta per fare sembrare vere le bugie e rispettabile l'assassinio, come per dare un'apparenza di solidità all'aria mossa dal vento". Anche quando la menzogna e l'assassinio non sono all'ordine del giorno, certe volte nemmeno noi riusciamo a evitare di "dare un'apparenza di solidità all'aria mossa dal vento". Penso che questo sia vero soprattutto riguardo al lavoro teorico. Certe parole d'ordine come "abbasso il capitalismo" o "abbattere lo stato" possono apparire vuote se non sappiamo che tipo di capitalismo vogliamo distruggere e quali sono i meccanismi che fanno funzionare lo stato come fonte del potere. Gli anarchici, poi, parlano di libertà sociale e di cooperazione, ma per dare senso a termini come questi dobbiamo saperli inserire in un contesto politico e teorico reale. E questi sono solo alcuni esempi dei compiti che ci aspettano per dare un senso alle nostre convinzioni e metterle in relazione con la società reale.
La straordinaria coalizione internazionale che ha riunito a Seattle sindacati, ambientalisti, agricoltori, studenti e intellettuali è un primo passo incoraggiante per la nascita di un nuovo movimento. In quanto anarchici, noi dobbiamo impegnarci all'interno di questo movimento emergente con la coscienza di quello che possiamo offrirgli e del ruolo che possiamo svolgervi. Woodcock si smentisce da solo quando sostiene: "Riconoscere l'esistenza e la forza preponderante del movimento che va nel senso dell'accentramento che ancora attanaglia il mondo, non vuole dire accettarlo. Se i valori dell'uomo sono destinati a sopravvivere è necessario opporre un contro-ideale all'obiettivo totalitario di un mondo omologato". Trasformare l'ideale anarchico in un contro-ideale è molto diverso dal fare languire l'anarchia considerandola un imperativo etico ammirabile ma proibitivo o una pratica semplicistica: è un'idea ed è un movimento politico. Affermare questo contro-ideale significa sottrarsi alla stretta dei limiti dell'anarchismo e proiettare una visione di una società libera in cui possiamo credere e per la quale possiamo operare.

Rebecca DeWitt
(traduzione di Guido Lagomarsino dal numero 29 della rivista statunitense
Social Anarchism)