Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


diario a cura di Felice Accame

Il galantuomo della par condicio

 

Dal Dizionario antiballistico (Milano 1953, pag. 80) di Pitigrilli apprendo che Joseph de Maistre diceva di non sapere "cos'è il cuore di un criminale", ma, in compenso, di conoscere bene "il cuore di un galantuomo". "Ed è orribile".
Eppure, l'idea che il Tempo sia Galantuomo è dura a morire.
Se, per esempio, un Alberoni deve portare qualcuno a modello del genio idealista disinteressato cita Cristoforo Colombo. Che era un geografo pasticcione, imbroglione e sanguinario maniaco religioso. Sbarcò ad Haiti il 6 dicembre del 1492, pensò di trovarsi in Giappone e, "dopo aver esplorato per cinquanta giorni le coste di Cuba", come racconta lo storico della scienza Federico di Trocchio (in Il genio incompreso, Milano 1997, pp. 12-18), "costrinse l'equipaggio a giurare, davanti a un notaio, che si trattava della Cina". Era persuaso che il profeta Isaia parlasse di lui, cercava oro per mettere in piedi una nuova crociata per la riconquista della Terrasanta e firmava con un crittogramma che significava "Colui che porta a Cristo". Cinquecento anni sono passati, ma i sociologi alla Alberoni e gli astuti organizzatori di "Colombiadi" alla storia guardano con sommo disprezzo. Il Tempo, allora, almeno per il momento, non è stato Galantuomo.
E neppure per le vittime della Chiesa Cattolica. Gli Ugonotti, per esempio. Si chiamavano Ugonotti per un giochino linguistico: "Eidgenosse" – in francese, "huguenots" –, in tedesco stava per "confederati" e il partito antisavoiardo ginevrino era guidato da Hugues Besançon. Ma il termine finì presto per designare tutti i protestanti. I quali, in terra di Francia, dal 1679 al 1685, furono perseguitati dal criminale regale Luigi XIV in nome e per conto del cattolicesimo. Fu un crescendo hitleriano: prima impedendo loro di lavorare, poi rubandogli le proprietà, poi stuprando donne e bambini, incendiando le case, torturandoli e massacrandoli. Ai fortunati fu offerta una conversione e in duecentomila riuscirono a fuggire. Di anni ne sono passati, ma il Papa continua a godere della sua Autorità. Gli si prostrano ai piedi, comanda, pontifica. Anche qui, il Tempo fino ad ora si è ben guardato dall'essere Galantuomo.
Tuttavia, come dicevo, c'è ancora qualcuno che smercia seraficamente questa paccottiglia ideologica. Un caso emblematico di come funzioni l'argomentazione ci è offerto da Piero Ostellino (La nuova bussola del ceto medio, in "Corriere della Sera", 27 marzo 2001).
Siamo nell'epoca della mitologica "pari condizione" imposta per legge alla competizione elettorale e i giornali che si definiscono tramite l'altrettanto mitologica "informazione" devono dare un colpo alla botte e, al contempo, un altro colpo al cerchio. Così l'equanime Ostellino attribuisce tre caratteri a ciascuna delle parti in causa: la "sinistra" sarebbe "egualitaria per ragioni politiche, statalista per tradizione storica, interventista in economia secondo convinzioni ideologiche"; mentre la "destra" sarebbe "meritocratica per ragioni politiche, individualista per tradizione storica, liberista in economia secondo convinzioni ideologiche". I piatti della bilancia sarebbero dunque perfettamente equivalenti – tanto che anche "gli stupidi sono distribuiti proporzionalmente in modo eguale fra chi vota centrodestra e chi centrosinistra".
In proposito ci sono almeno due osservazioni da fare. La prima concerne l'attribuzione dei caratteri. Credo che non sia difficile riscontrare casi di egualitarismo e meritocraticismo, di statalismo e di individualismo, di interventismo o di liberismo in economia in entrambi i poli degli schieramenti sedicenti di "destra" o di "sinistra". Lo stakanovismo, per esempio, è applicazione di criteri meritocratici - eppure è ascritto alla storia della "sinistra". Oppure: l'autogestione delle fabbriche ha fatto parte di vari programmi politici ascritti alla storia della "destra".
La seconda osservazione concerne le cause di questi caratteri. Ostellino le tripartisce in "ragioni politiche", "tradizione storica" e "convinzioni ideologiche", come se ciascuna potesse davvero costituire – per un partito o per uno schieramento – un vettore indipendente per assumere questo o quell'altro connotato. Come se tra le scelte politiche e quelle ideologiche potesse esserci uno iato colmabile solo a piacere ed in particolari condizioni, e come se una "tradizione storica" si formasse e si perpetuasse per conto proprio, in grazia di una logica che con politica e ideologia non avesse nulla a che fare. Joseph de Maistre si rivolta nella tomba. Si tratta non soltanto di un quadro ottimistico e nobilitante dello scontro in atto, ma anche di una penosa mistificazione che cerca di nascondere le autocontraddizioni di chi compete nonché l'assenza di valori espliciti contrapposti.
Alla conclusione, pertanto, Ostellino non può che sciorinare la certezza che entrambi gli schieramenti "meritano uguale rispetto", lasciandosi aperta la porta sul prossimo futuro grazie ad un minimo investimento nella mistica del senno di poi. Perché dopo tutto, in quel paese di opportunisti che per lui e per quelli come lui è "la politica", "solo il tempo è galantuomo". Come se i potenti che lo governano non si succedessero l'un l'altro nel mantenimento delle proprie prerogative.

Felice Accame