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 Le recenti consultazioni che la Segreteria di Stato 
vaticana ha avviato con i dirigenti politici dei partiti italiani hanno naturalmente 
suscitato non solo l'interesse che meritavano ma anche il fiorire di numerosi 
commenti e interpretazioni. 
Fra le tante disquisizioni a ruota libera lette sui giornali, ci è sembrata 
particolarmente bizzarra, se non provocatoria, l'affermazione del professor Lucio 
Colletti, già comunista e oggi fervente berlusconiano, che, mentre si lamenta 
della grevità dell'intervento curiale, si lascia andare ad un melanconico 
rimpianto di quando ancora esisteva la Democrazia Cristiana. Secondo lui, infatti, 
la vecchia DC in quanto partito cattolico, in una situazione simile avrebbe saputo 
proporre una strategia autonoma rispetto alle mene vaticane, agendo da filtro 
e preservando così la dignità dello stato laico. Penso che di un 
"nostalgico dei bei tempi andati" quale si dimostra l'egregio professore 
non se ne sentisse proprio il bisogno, e in ogni caso, fra le tante opportunistiche 
dimenticanze che caratterizzano i "maestri a pensare" odierni, rientra 
evidentemente anche quella sulla DC e sugli irreversibili guasti che ha prodotto 
la sua politica, conservatrice quando non reazionaria, interclassista quando non 
padronale. O forse, stando al professor Colletti, dovremmo pure pentirci di quando 
e quanto abbiamo combattuto, tutti noi, per cancellare dalla scena politica del 
nostro paese la presenza democristiana, e dovremmo di conseguenza ignorare la 
sconsolata rassegnazione che ci colse allorché capimmo, svaniti i sogni 
della rivolta, che saremmo morti tutti democristiani? Davvero! se c'è qualcosa 
da rimpiangere, o meglio, da rivalutare della prima repubblica, non è certo 
la funzione svolta da quel partito confessionale che tentò di frenare, 
anche se non sempre con linearità, ogni passo in avanti tentato dalla società 
civile. Da ricordare, piuttosto, sono le non poche battaglie condotte contro lo 
strapotere clericale da una sinistra ancora in grado di rappresentare qualcosa 
che non fossero gli inconfessabili interessi di lobbies e di potentati 
economici; una sinistra che riusciva a seguire e al tempo stesso promuovere le 
istanze laiche e di progresso che si andavano esprimendo. 
Detto questo, il fatto che il cardinale Sodano abbia platealmente deciso di riaffermare 
il sacro romano diritto della chiesa a intromettersi nelle vicende politiche del 
paese, non deve, a mio parere, né sorprendere né scandalizzare. 
Il cardinale Sodano, da buon Segretario di stato, esercita le sue funzioni e persegue 
gli interessi dell'istituzione che presiede come meglio può: se è 
sicuro di potersi permettere di convocare nelle segrete stanze il fior fiore della 
politica nazionale semplicemente schioccando le dita, ebbene, lo faccia e son 
fatti suoi! Un po' meno fatti suoi, ma che dovrebbero invece riguardare tutti 
noi, è che quasi tutti i leaders politici si siano messi ordinatamente 
in fila in attesa di essere convocati dall'alto prelato, pronti a barattare un 
altro poco della loro sempre più residuale dignità in cambio di 
quella che pensano possa essere una bella intruppata di voti. 
  
  L'influenza del 
prete  
Abbiamo letto da più parti, quasi a esorcizzare la valenza di questa 
ulteriore mossa clericale, di come il richiamo all'ordine da parte delle gerarchie 
ecclesiastiche in un contesto ormai ampiamente secolarizzato e sempre meno disposto 
a cedere alle blandizie della spiritualità cristiana, sia destinato a cadere 
nel vuoto. Indubbiamente c'è molto di vero in tutto questo, e del resto 
basta osservare quanto edonistica e materialistica sia ormai questa società, 
più interessata a privilegiare il valore delle merci che non i valori senza 
la merce, per comprendere come il dettato religioso possa avere meno influenza 
e autorità rispetto a un recente passato. Eppure, credo che sia abbastanza 
riduttivo fermarsi a quelle che ritengo, sostanzialmente, delle apparenze, e credo 
che si debba invece cercare di capire come la parola del prete abbia tuttora una 
sua influenza, per nulla trascurabile, nel determinare molte delle scelte di vita 
di chi, per tradizione secolare, è aduso ad appoggiarsi ai ministri della 
chiesa.  
È indubbio che, se prendiamo in esame i profondissimi mutamenti sociali, 
culturali e spirituali che si sono prodotti, ad esempio, in regioni tradizionalmente 
bianche quali quelle del nord est, ci accorgeremo di quanto sia profondamente 
cambiato il loro panorama umano ed esistenziale. Il benessere ha sconfitto la 
miseria e, parallelamente, la rassegnazione atavica a una vita di stenti è 
stata orgogliosamente soppiantata da un pervasivo senso di potenza che sembra 
contagiare l'intera comunità dei milioni di piccoli imprenditori, in attività 
o in pectore, del nord italiano. Il povero casotto di campagna è 
stato abbandonato per trasformarsi nella villetta monofamigliare con dobermann 
di ordinanza; al piatto di polenta e fagioli si preferisce carpaccio e rucola; 
il viaggio di nozze non si ferma più a Venezia o a Firenze, ma approda 
esoticamente sulle spiagge dei Caraibi o delle Maldive, alla ricerca di una perenne 
e ingombrante abbronzatura. E anche le chiese, quelle cittadine come quelle di 
paese, sono sempre meno frequentate, e non solo nei giorni feriali ma anche durante 
la messa di mezzogiorno della domenica.  
Eppure, la realtà non è solo questa. 
Infatti i caratteri essenziali che più rappresentano l'anima profonda della 
maggioranza della popolazione sono rimasti fondamentalmente identici: vale a dire 
un misto di moderatismo ipocrita e pavido accompagnato a un sano forcaiolismo 
vandeano, una ignoranza culturale che rasenta l'inimmaginabile, incattivita oltretutto 
dalla presunzione di appartenere al migliore dei mondi possibili, l'attaccamento 
tenace e insopprimibile a una morale tanto strutturata quanto facile da aggirare, 
quale è quella derivante dalla tradizione cristiana del nostro paese: una 
morale buona per tutti gli usi e per nulla sfiorata dal rigore calvinista, capace 
di assumere in sé qualsiasi tipo di peccato purché al momento opportuno 
il peccatore sia disposto a riconoscere l'autorevolezza e l'insostituibilità 
della parola del parroco. Del parroco, del prevosto, del vescovo, del cardinale, 
ecc.  
  
  Allo scoperto 
Questo è il carattere profondo e immutabile, così almeno credo, 
di gran parte degli abitanti di questo paese, il segno inconfondibile di una società 
per secoli abituata a fare riferimento, più che all'autorità dello 
stato, a quella del prete e della parrocchia. E, a fronte di questa capacità 
di adattamento della gente alla parola del prete, c'è, speculare, l'adattamento 
del prete alle esigenze della gente. È vero che i continui richiami papali 
al rigore dei princìpi, anche quando questi appaiono controproducenti o 
anacronistici, vorrebbero riportare il gregge nel recinto dell'ortodossia più 
ferma e tradizionale, ma questo è il papa, un polacco cresciuto in ben 
altro contesto e reduce da ben altre lotte in difesa della supremazia della propria 
religione.  
Il prete italiano, abituato a controllare da duemila anni senza effettivi ostacoli 
le proprie pecorelle, non ha bisogno di essere particolarmente rigido, anzi può 
permettersi di essere flessibile e disponibile al compromesso, conscio che alla 
fine dei conti, se saprà adattarsi alla adattabilità degli italiani, 
otterrà sempre e comunque ciò che vuole. Se non si può fermare 
il mutamento, perché questo mutamento è ormai inarrestabile, almeno 
che lo si controlli per piegarlo, come conviene, alle proprie esigenze. 
Ecco dunque, a mio parere, il vero obiettivo delle consultazioni di Sodano e della 
chiesa. Ecco la mossa solo apparentemente azzardata (significativi i commenti 
sottotono di buona parte della curia) del cardinale che ha deciso di venire allo 
scoperto. Allo scoperto perché convinto di poterselo permettere, giocando 
addirittura sfrontatamente di anticipo laddove afferma, dall'alto della sua carica, 
che "è giusto che i cattolici conoscano i programmi politici dei partiti... 
perché a scatola chiusa nessuno accetta più regali". Appare 
chiaro dunque, nella sostanza, che non importa se l'interlocutore è un 
fedifrago divorziato e massone come Berlusconi, (quello che enfaticamente Lerner, 
sulle pagine del Corriere della Sera, definisce "uno dei protagonisti culturali 
della scristianizzazione della società italiana") o un ex ateo e neo 
convertito, per opportunismo e non certo per motivi spirituali, come Rutelli, 
l'abile coprotagonista, del resto, nella gestione della macchina giubilare.  
Non importa che i candidati alla premiership si dimostrino particolarmente credenti, 
osservanti e soprattutto coerenti: quello che davvero interessa è che entrambi 
siano duttili e docili e che rispetto ad alcuni temi che per la chiesa sono di 
primaria importanza garantiscano che gli interessi particolari d'Oltretevere vengano 
fatti coincidere con gli "interessi" del popolo italiano. In pratica, 
una cambiale in bianco su temi non proprio insignificanti quali "la difesa 
della vita contro l'aborto, la promozione della famiglia cristiana, l'educazione 
dei giovani con un sistema scolastico integrato, il controllo della scienza e 
della ricerca, il monopolio della solidarietà nazionale e internazionale". 
  
  Come un topo nel 
formaggio 
Una quindicina di anni orsono, in tempi non sospetti, la Commissione episcopale 
italiana affermò, fra lo stupore e l'incredulità di molti, che in 
Italia non c'era più bisogno di un partito dei cattolici. Fiutati 
in anticipo i tempi che avrebbero registrato il crollo miserando della vecchia 
DC sommersa nelle aule dei tribunali milanesi dagli scandali di tangentopoli, 
risultò come sempre lungimirante l'atteggiamento della chiesa che aveva 
intuito l'esaurimento del modello che aveva caratterizzato la politica italiana 
per 45 anni. Ma certo che non c'è più bisogno di un partito 
dei cattolici! Meglio, molto meglio tanti partiti dei cattolici, e non 
solo quelli che alla vecchia DC esplicitamente si richiamano, ma anche gli altri, 
affollati da ex democristiani e bigotti di tutte le risme, che nella loro diaspora 
si sono spalmati come appiccicosa marmellata su tutti i centri decisionali e politici 
del paese. Quello che era il moderatismo democristiano - il vecchio sano benpensantismo 
caratteristico di un pensiero pavido e prudente, crudele e feroce - ormai caratterizza 
tutto lo scenario politico, manifestandosi in un complesso e intricato gioco delle 
parti che vedrà sfumare i contrasti sulle questioni di fondo quando gli 
echi della campagna elettorale si saranno spenti. Qui si inserisce, come un topo 
nel formaggio, il senso dell'iniziativa di Sodano, ossia il progetto di condizionare 
entrambi gli schieramenti rispetto ai desiderata vaticani, nella consapevolezza 
che tutti gli interlocutori, nessuno escluso, sono e saranno pronti a dare piena 
soddisfazione alla curia. 
In questa luce appaiono allora davvero ben poco rilevanti le numerose reazioni, 
di segno positivo o negativo, che hanno riempito le pagine dei quotidiani per 
alcuni giorni. Lasciando da parte lo scontato richiamo alla separazione dei poteri 
fatto tempestivamente da Ciampi (che è servito solo a placare le polemiche 
e far dimenticare la oggettiva gravità del fatto), anche gli appelli alla 
laicità dello stato o le denuncie dell'indebita ingerenza vaticana sono 
sembrati più atti d'ufficio indirizzati ai rispettivi elettorati, che non 
la dissociazione concreta dalla logica che ha ispirato la mossa di Sodano.  
In conclusione, la pesante intromissione del Vaticano negli affari interni dello 
stato italiano va bene a tutti, purché non si esageri o non si passi il 
segno: del resto c'è questo benedetto concordato (benedetto, è proprio 
il caso di dirlo, e non è certo casuale che l'iniziativa di Sodano si sia 
esplicitata durante la celebrazione dei Patti lateranensi) che deve regolare i 
rapporti; e se nessuno si prende la briga di metterne in discussione l'esistenza, 
tutto il resto sono patacche. Questo la Chiesa lo sa, lo sa molto bene, e quindi 
si può permettere, dall'alto di tale certezza, di lasciar parlare chiunque 
ne abbia voglia.  
Tanto i fatti restano quelli. 
  
Massimo Ortalli 
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