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Sono restato un po' deluso, non vi sembri strano, dalla 
pronuncia con cui il Consiglio di Stato ha rimandato al mittente l'ingegnoso distinguo 
escogitato dal presidente Amato per permettere il rientro in patria degli eredi 
di casa Savoia senza sottoporre il paese alla complessa procedura di una revisione 
costituzionale. Sì, d'accordo, era un po' una buffonata, a un livello appena 
superiore a quello di un gioco di parole, ma, a parte il fatto che la dimensione 
della buffonata non è inadeguata allo status culturale e civile 
degli interessati, quell'ingegnoso éscamotage, se accettato, avrebbe 
avuto il non disprezzabile vantaggio di chiudere una volta per tutte una situazione 
fastidiosa e imbarazzante. In fondo, è fin troppo ovvio che la tredicesima 
disposizione transitoria della Costituzione, quella che vieta, tra l'altro, "l'ingresso 
e il soggiorno nel territorio nazionale" agli "ex re 
 alle loro 
consorti e ai loro discendenti maschi" proprio non sta in piedi.  
Si può benissimo convenire, e io ne convengo per primo, che quella dinastia 
ha prodotto, nelle sue ultime manifestazioni, più danni al paese di quanti 
ne abbiano arrecati i barbari e i Barberini congiunti, ma questo non è 
un buon motivo perché si facciano scontare a figli e a nipoti, per poco 
meritevoli che possano essere, le colpe dei padri e dei nonni. Per cui, tanto 
valeva farla finita una volta per tutte, senza dar modo a tante degne persone 
di rendersi ridicole con proposte ben intenzionate, ma assurde, come quella di 
condizionare il rientro degli esuli a un giuramento di fedeltà alla repubblica 
o a un'espressa rinuncia a qualsiasi aspirazione al trono.  
Di giuramenti di fedeltà alla repubblica o a altro personalmente non sento 
alcun bisogno, né penso che lo sentano - fra gli altri - i lettori di "A", 
che si sentirebbero, suppongo, non meno imbarazzati di me se richiesti di prestarne 
uno. Anzi, sarebbe ora, visto che ci siamo, di affrontare il discorso dell'abolizione 
di quello richiesto agli impiegati statali. Se poi uno proprio desidera, per motivi 
suoi, diventare re, non si vede perché precludergli a norma di legge questa 
aspirazione, un po' demenziale, ma innocua. La democrazia, lo sappiamo, ha i suoi 
costi e comunque a me fa più paura Berlusconi che vuol diventare presidente 
del consiglio. 
 
  
  Un 
re è sempre un re 
Lasciamo pure perdere. Ma, a proposito di buffonate, avrete letto anche voi, 
suppongo, che Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto di Savoia, Principe di Venezia 
- dev'essere questa, se non m'inganno, la sua titolatura esatta - è stato 
invitato a partecipare, beato lui, al Carnevale di Rio. Non dai brasiliani, si 
intende, che hanno altro cui pensare, ma dal Comune di Cento, in provincia di 
Ferrara, il cui carro mascherato, per motivi che francamente mi sfuggono, ha acquisito 
da tempo il diritto di sfilare alla celebre manifestazione carioca. Il programma 
prevedeva la comparsa nel più celebre sambodromo del mondo (perché, 
che tristezza, oltre alle griglierie e alle ludoteche esistono anche i sambodromi) 
di un Emanuele Filiberto avvolto nella bandiera tricolore al suono delle note 
di "Volare" e di "Funicolì Funicolà". 
L'indecoroso spettacolo ha avuto, a quanto pare, regolare svolgimento senza che 
i cittadini di Rio ne siano restati turbati più che tanto. A essere turbati, 
suppongo, saranno stati gli spiriti degli antenati sabaudi e - più di loro 
- quelli degli esponenti della gloriosa tradizione repubblicana e anarchica del 
Ferrarese, le cui ossa si saranno a lungo rivoltate nella tomba. Ma non importa. 
Al di là di ogni valutazione di gusto e di dignità, quello che conta 
è che anche quel bravo giovane (il Principe, dico) abbia cominciato a guadagnarsi 
da vivere. E non trafficando in armi o smerciando vini pregiati, per citare soltanto 
due attività cui si sono dedicati, in tempi recenti, i suoi augusti congiunti, 
ma lanciandosi nel gran mondo dello Spettacolo e delle Comunicazioni di Massa. 
È quello l'ambiente che da decenni, ormai, si addice ai suoi pari, il mondo 
sgomitando nel quale essi possono diventare, come si dice, una risorsa per il 
paese. 
Non intendo, gli dei me ne scampino, mancar di rispetto a nessuno. Il carnevale 
è una cosa seria, ma quello di Rio, me ne duole per gli abitanti di quella 
grande città, ormai non ha più niente di carnevalesco, nel senso 
che non è certo un'occasione di divertimento popolare, esattamente come 
il Festival di Sanremo non serve più per presentare delle canzoni o il 
campionato di calcio non ha più nulla a che fare da tempo con il gioco 
del pallone. Si tratta di normalissimi "eventi mediatici" in cui i partecipanti 
esibiscono se stessi come icone cui gli spettatori sono variamente sollecitati 
a dare valore. Ora, è ovvio che tra i partecipanti a simili eventi, i Reali 
e gli ex Reali (fa lo stesso) siano sommamente pregiati. Un re, poffarbacco, è 
sempre un re, anche se momentaneamente senza trono e senza corona. La Storia, 
nel suo inesorabile evolversi, ha concesso a costoro una visibilità affatto 
ingiustificata, che, in un modo o nell'altro, la cultura contemporanea sente il 
bisogno di motivare. C'è, attorno a loro, una specie di vuoto culturale, 
che esige di essere ragionevolmente colmato, mediante l'assegnazione di un ruolo 
pubblico qualsiasi. E quello dello zanni, del buffone, dell'intrattenitore di 
varietà, in fondo, funziona come qualsiasi altro. Anzi, di più, 
perché si tratta di un genere di rapido consumo e di intrattenitori visibili, 
di volti sempre nuovi e sempre diversi da proporre, la società dello spettacolo 
ha un insaziabile bisogno. 
  
  Come 
Stephanie 
Il Principe di Venezia, naturalmente, è agli esordi, e finora non ha 
fatto un gran che. Qualche altro sforzo, comunque, gli si potrebbe richiedere. 
Si procuri, per esempio, una fidanzata dello stesso ambiente, anzi, meglio, due, 
una delle quali - possibilmente - lo tradisca in pubblico con un prestigiatore, 
un campione di sci nautico o qualche altra celebrità televisiva. Poi si 
faccia sorprendere da fotografi e giornalisti nella dolce compagnia di qualcun'altra 
(meglio se legata di tenera amicizia, a sua volta, con un cantante rock o un presentatore 
di telequiz) e spieghi a tutti che si tratta solo di una buona amica. Se riuscisse 
a farci entrare anche una bella causa per riconoscimento di paternità, 
poi sarebbe il top. Non si faccia scrupolo pensando all'eventuale sconcerto dei 
vecchi monarchici o all'angoscia dei superstiti Collari dell'Annunziata. Quelli 
non contano. Pensi a quello che ha fatto, per la causa monarchica e quella della 
dinastia, la sua collega Stefania di Monaco, che non è arretrata di fronte 
alla necessità di concepire per opera di infide guardie del corpo e che 
adesso, sembra, si appresta a vivere una storia con un domatore di elefanti. Sgradevole, 
certo, ma cosa sarebbe la dinastia dei Grimaldi senza di lei? E, d'altronde, chi 
si occuperebbe del principe Carlo, oggi, senza tutta quella storia di corna con 
lady Diana, lady Camilla e chissà chi altro? 
Certo, si tratta di sacrifici onerosi, ma, sul piano pubblicitario, e non solo 
quello, hanno il loro bel ritorno. Se solo Sua Altezza, si desse una mossa, ben 
presto lo supplicherebbero tutti in ginocchio di rientrare nel paese. E allora, 
perché no? Come si diceva una volta, avanti Savoia. 
  Carlo 
Oliva 
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