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  A 
proposito DEL PONTE DI MESSINA 
 
                
Ci possono essere mille e più motivi per essere contrari al progetto 
di un ponte sullo stretto di Messina, un ponte che collega la Sicilia alla Calabria 
e quindi all'italica penisola, ma gli articoli pubblicati sul numero di febbraio 
di "A" vanno ben oltre, specie il secondo, di Zelinda Carloni, sconfinando 
nella spiritualità, nella religiosità, nella sacralità oltre 
che nella superstizione, i miti antichi e in un puro e semplice misticismo. Per 
cui dalla più o meno giusta contestazione ad un ponte, o meglio un megaponte, 
gli autori giungono ad essere contro a tutti i ponti rifacendosi anche alle più 
antiche mitologie e a più vecchie e nuove banalità. E su questa 
strada non intendo seguirli, chiarendo comunque subito di non essere a favore 
di questo megaprogetto.  
Il ponte non ha ragione di esistere perché la Sicilia è un'isola, 
ci viene detto. Ma, obietto, la Sicilia non è l'isola d'Elba dove un ponte, 
per quanto mega sia, è praticamente impossibile farcelo arrivare; la Sicilia 
è invece relativamente vicina alla costa calabrese, e un ponte come nel 
progetto o nei vari progetti, può essere realizzabile. E questo fa la differenza. 
Anche Venezia è un'isola, anzi più isole o lembi di terra, separati 
fra loro da canali navigabili e collegati da ponti che consentono il vivere quotidiano 
di chi ci abita. 
E in ogni caso la Sicilia anche con un ponte che la collega al continente continuerebbe 
a restare un'isola. "In Sicilia si va in nave, attraverso il mare: è 
questa una condizione imprescindibile nella struttura sociale della popolazione. 
Si supera un elemento naturale, il mare, che fa la differenza e che interrompe 
la continuità culturale con il continente, che impedisce una omogeneità 
e qualifica la società locale. Superare questa interruzione di continuità 
tende ad annullare le differenze culturali che sono alla base della qualità 
sociale e culturale dei siciliani." Affermazioni perentorie queste da me 
riportate, ma a mio modesto parere prive di fondamento. In Sicilia ci si va in 
nave (oltre che per via aerea) unicamente perché non esiste un ponte, non 
esiste ancora un ponte. Ma il mare, o se vogliamo l'assenza del ponte, non interrompe 
affatto una continuità culturale con il continente. Le navi, i traghetti 
per e dalla Sicilia, non sono un "una tantum" ma qualcosa di continuo, 
e trasportano sia i treni che le automobili, le merci e le persone oltre che la 
cultura da e per la Sicilia. Per fortuna! 
Lungi da me il voler vedere annullate le differenze culturali dei siciliani (anche 
gli altri "popoli" dell'italica penisola hanno le loro, pur senza essere 
circondati dal mare), ma voglio ricordare che le "contaminazioni" sono 
sempre state di utilità all'elemento culturale locale impedendone la staticità 
e quindi rinnovandola in maniera lenta ma continua. E questo non vale solo per 
la Sicilia che nei secoli di "contaminazioni" ne ha avute non poche. 
I ponti, in tutti i tempi, sono sempre stati un elemento di incontro e di unione 
fra i popoli e la gente, oltre che di utilità nella vita di ogni giorno. 
Nella recente guerra della NATO contro la Federazione Jugoslava di Milosevic sono 
stati i ponti uno dei principali bersagli dei bombardamenti alleati e sono stati 
i ponti che la gente difendeva presidiandoli a costo della vita, per la loro importanza 
di unione e collegamento. E si chiama "Un ponte per Baghdad" un'associazione 
che si batte contro l'embargo all'Iraq; embargo che come risaputo colpisce soprattutto 
le gente, i bambini, più che il regime di Saddam Hussein. 
Sono inoltre felice che il canale che attraversa il paese dove sono nato e vissuto 
da bambino avesse e abbia diversi ponti che uniscono e facilitano la vita degli 
abitanti. Non certo come gli antichi romani che probabilmente godevano nel farsi 
un culo dovendo attraversare la città per raggiungere l'altra sponda del 
Tevere.  
E inoltre è risaputo che i ponti sono anche un punto di incontro per gli 
innamorati. 
C'è, qui al nord, una forza politica con un programma dove è esplicitato 
chiaramente (già nel nome) il voler "rompere i ponti" che uniscono 
il nord al sud; a volte (sarà una battuta!) questo confine è stato 
individuato nel fiume Po e quindi sono i suoi ponti che dovrebbero essere abbattuti. 
Ora che questa politica non è più pagante sono altre le popolazioni 
a cui si vogliono "tagliare i ponti" o che si vogliono "gettare 
a mare", sempre nel timore che le nostre culture vengano contaminate. 
Questo per dire come a volte partendo dalla più o meno giusta contestazione 
al progetto di un megaponte non si sa poi dove si vada a finire. 
Personalmente, più che essere contrario al progetto del ponte (e ciò 
per una chiarezza che ancora non ho del tutto), mi sento istintivamente contrario 
per il fortissimo danno ambientale che la megacostruzione per forza di cose comporterà, 
per gli enormi costi, anche umani, che inevitabilmente ci saranno, oltre ad altri 
motivi già citati negli articoli. Voglio comunque anche ricordare che l'inquinamento 
attuale nelle acque dello stretto di Messina è prodotto dalle navi e dai 
traghetti, nel loro continuo andirivieni da una sponda all'altra. 
Ma voglio anche approfittare di questa occasione per prendere le distanze da un 
certo ambientalismo sia istituzionale (Verdi) sia militante, anche libertario, 
che ormai fa a gara con la chiesa cattolica per sacralizzare tutto quanto è 
sacralizzabile (natura, ambiente, acque, alberi, animali, no le persone no! quelle 
possono crepare), limitandosi spesso a sostituire la madre terra al dio dei cristiani, 
creando nuovi dogmi e integralismi che vanno contro quel razionalismo della ragione 
di cui sempre dovremmo tenere conto. 
E tornando di battuta al progetto ponte. Io che spesso mi muovo in bicicletta 
volevo sapere se fra le caratteristiche principali del ponte sia stata prevista 
anche una pista ciclabile! 
Se così non fosse sarebbe un motivo in più per esserne contrario. 
Franco Pasello 
(Sesto San Giovanni - MI)  
  
                
 Replica/ 
PIUTTOSTO A NUOTO 
 
                
Mi va poco di dovermi "scagionare" da quelle che sono delle vere 
e proprie accuse, specialmente se rivolte ad un'anarchica di più che trentennale 
militanza, che Franco Pasello crede di dovermi rivolgere a proposito del mio articolo 
sul Ponte di Messina.  
Ma proprio per essere militante e anarchica non posso sottrarmi al compito. Ma 
sarò sintetica:  
1) il preteso sconfinamento nella "spiritualità, religiosità, 
superstizione e puro misticismo" (che farà sghignazzare chi mi conosce) 
ha semplicemente a che vedere con gli ambiti più ovvi nella trattazione 
dell'antropologia culturale, disciplina che credo sarebbe ora che entrasse maggiormente 
nelle valutazioni anche di ordine sociale e politico, cosa che tento di fare da 
anni, essendo convinta dell'importanza imprescindibile che il patrimonio antropologico 
riveste nella lettura delle cose degli uomini;  
2) il fatto di essere "contro tutti i ponti" è una indebita e 
infondata estensione di un'analisi che non voleva essere verdetto, ma motivo di 
riflessione;  
3) il fatto che non si capisca, perché non si è capito, il senso 
"dell'essere isola" della Sicilia rende inutile qualunque ulteriore 
precisazione, salvo a ricordare che, per esempio, l'Inghilterra del suo essere 
isola se n'è sempre fatta un vanto, e non mi pare che per questo sia rimasta 
priva di "contaminazioni" che ne abbiano favorito lo sviluppo culturale; 
 
4) non posso commentare la lirica esaltazione che Pasello fa dei ponti (ricordandogli 
però che oltre a essere punto d'incontro degli innamorati lo sono anche 
dei suicidi) perché non ho proprio niente di personale contro nessun ponte; 
 
5) non posso permettere a nessuno, neanche a Pasello, di dirmi che antepongo il 
valore delle cose a quello delle persone, e su questo non accetto discussione; 
 
6) anch'io mi muovo in bicicletta, sempre, ma in Sicilia preferisco andarci a 
nuoto, magari con calma. 
Zelinda Carloni 
(Roma) 
  
 Voto 
O NON VOTO? 
 
                
E' stato proposto di dare il diritto al voto, per quanto riguarda le elezioni 
amministrative, anche ai ragazzi di 16 anni, seguendo così l'esempio dei 
Francesi. 
Sarebbe un modo per cercare di coinvolgere i ragazzi che dimostrano, spesso, un 
totale disinteresse nei confronti della politica. Ma non solo. Qualcuno sostiene 
che sarebbe anche un modo per riempire quel vuoto adolescenziale che talvolta 
porta al consumo di droghe. Tra alcuni ragazzi si è notato un notevole 
entusiasmo. L'idea è ben accolta soprattutto da quei ragazzi che si ritengono 
più maturi di certi adulti. Non sono mancate però le polemiche, 
anche da parte degli stessi diretti interessati. Alcuni ragazzi, infatti, ammettono 
di aver paura di fare scelte sbagliate, in quanto non hanno ancora delle idee 
politiche ben chiare. D'altra parte, aggiungono, alla loro età hanno altro 
a cui pensare. 
Tutti quanti, più o meno, riconoscono la loro ignoranza nel mondo della 
politica, ma qualcuno, con molta buona volontà, pensa che un bel passo 
avanti si potrebbe fare iniziando a leggere insieme, a scuola, una pagina di giornale. 
Dovrebbe essere la scuola a dare gli strumenti per comprendere la società 
e le istituzioni. 
Dunque si discute. Si discute, ma senza andare in profondità. La questione 
fondamentale, pertanto, viene trascurata. Ovvero, cosa significa votare? Non ha 
senso. Allo stesso modo la pensa un numero sempre maggiore di persone. La crescita 
dell'astensionismo infatti è costante dalla fine degli anni '80. Nel 1996 
addirittura, si è arrivati a un 40% degli aventi diritto che non è 
andato a votare. Emerge, dunque, un'evidente sfiducia verso le istituzioni, ormai 
prive di credibilità. 
Di ragioni ce ne sono a sufficienza. Basta guardare all'esito di iniziative che 
sembrava dovessero determinare chissà quale svolta nella vita politica. 
Il referendum del 1993, nato con l'obbiettivo di abbattere la partitocrazia non 
ha fatto piazza pulita del sistema dei partiti, né generato quel sistema 
elettorale che prometteva. I cittadini, con queste consultazioni popolari, come 
vengono definiti i referendum, possono decidere cosa non vogliono, non cosa vogliono. 
In tal modo l'abolizione del Ministero dell'Agricoltura ha portato alla nascita 
del Ministero per la risorsa agricola; lo stop al finanziamento pubblico ai partiti 
ha portato alla creazione di un nuovo sistema simile al primo. 
Come disse Giuseppe Tommasi di Lampedusa nel Gattopardo, in riferimento alle classi 
dominanti del Meridione al tempo dell'unificazione ad opera dei Savoia, "l'obbiettivo 
è quello di cambiare tutto, affinché non cambiasse niente". 
Esattamente quello che fa la classe politica oggi. Molti cittadini alla fine l'hanno 
capito che è tutto inutile e, per questo, hanno deciso di non votare più. 
La popolazione è passata dunque dal voto "per il meglio" a una 
sconsolata scelta per il "meno peggio", e, infine, al rifiuto del sistema 
di dominio. Oltre a questa schiera di persone, ormai rassegnate, ce ne sono delle 
altre che rifiutano il concetto di voto a prescindere dalla sua efficacia. 
"La democrazia è il peggior tipo di governo, ma dopo tutti gli altri" 
disse Winston Churchill. Verissimo. Il sistema democratico non offre garanzie 
di libertà. Come dimostra la storia, molte dittature sono nate grazie a 
due principi sanciti anche nella nostra costituzione: il principio di sovranità 
e quello secondo cui spetta alla maggioranza indicare la strada da seguire. Anche 
Giorgio Gaber, in un'intervista del 8 febbraio 1999 al Corriere della Sera conferma 
questa sfiducia. "Il senso della democrazia si è annacquato ed è 
ormai perso in un mare di finzioni. Sul vocabolario la parola 'democrazia' deriva 
dal greco e significa 'potere al popolo'. Nel '45, quando il popolo ha acquistato 
il diritto al voto, è nata la democrazia rappresentativa nella quale tu 
deleghi un partito che sceglie una coalizione che sceglie un candidato che tu 
non sai chi sia e che tu deleghi a rappresentarti per 5 anni. E che se lo incontri 
ti dice 'Lei non sa chi sono io'" aggiunge ironicamente. 
Wendy McElroy, anarchica americana, disse: "nessuno ha il diritto di mettere 
un essere umano in condizione di potere politico, e, dunque di predominio su un 
altro uomo. Chiunque mette un uomo in una posizione di potere politico, dovrebbe 
condividere la responsabilità per ogni diritto violato da quell'uomo in 
seguito". Analogamente Fabrizio De André, nella canzone Nella mia 
ora di libertà, con riferimento alla votazione, conclude "... per 
quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti". 
Charles Bukowsky, scrittore statunitense tendenzialmente anarchico dimostrò 
la sua sfiducia nella democrazia dicendo che la "differenza tra la democrazia 
e la dittatura è che con la prima si vota e poi si prendono gli ordini, 
con la seconda si risparmia il tempo di andare a votare." Andando a votare 
crediamo di decidere il modo in cui vivere. Questo tra l'altro, contribuisce a 
tenere a bada le masse. Tutte le dittature, a un certo punto, sono cadute. C'è 
sempre stata una causa esterna, come ad esempio una guerra, o una causa interna, 
come una rivoluzione. Un sistema democratico, come quello attuale, ben orchestrato, 
c'è il rischio che duri in eterno, come ipotizza anche Aldous Huxley nel 
suo libro Il mondo nuovo.  
Può andare al potere la destra o la sinistra, ma sostanzialmente la società 
non cambia. Possono esserci piccoli cambiamenti, per fare contenta la popolazione, 
e, di conseguenza, per ottenere preziosi voti, ma tutti i politici, una volta 
che stanno al governo, sono uguali e perseguono gli stessi fini, ovvero, rimanere 
al potere. E, anche se avessero intenzione di cambiare veramente qualcosa, non 
riuscirebbero a fare nulla. Lo dimostra il fatto che in Germania, i Verdi, nonostante 
siano andati al governo, non sono riusciti a far chiudere le centrali nucleari 
sparse sul territorio nazionale. Come volevasi dimostrare: troppi interessi in 
gioco. La politica è falsa e corrotta. La realtà non è molto 
lontana da quella descritta da Nanni Moretti in Il portaborse. E, i cittadini, 
imbrogliati, continuano a votare. 
Che differenza fa, dunque, alla luce di queste conclusioni, incominciare a votare 
a 16 o a 18 anni? 
Jonas Di Gregorio 
(Nemi - Rm) 
  
 Ancora 
su LEDA RAFANELLI / 1 
Cari amici di A, 
ho conosciuto Leda Rafanelli nell'estate del 1966 assieme a Gianni Bosio e l'ho 
frequentata sino al 1969, rimanendo in corrispondenza con lei sino alla sua morte. 
E debbo dire di essere rimasto un po' perplesso di fronte all'andamento del dibattito 
tra Felice Accame e Maurizio Antonioli a proposito dei rapporti di lei con Benito 
Mussolini. 
Mi pare che esso sia stato viziato da una sopravvalutazione del valore dell'atto 
sessuale, una cosa assai lontana da Leda e che rischia di non fare capire più 
niente nei rapporti tra i due. Parlando di Leda, quello non può essere 
un elemento di giudizio neanche per valutare la profondità di un amicizia. 
 
Leda, piaccia o non piaccia, era musulmana. E, anche se interpretava liberamente 
Il Corano e si è fatta cremare, di questo si deve tenere conto. Ricordo 
che mi disse: "Con Giuseppe Monanni sono stata 23 anni. Ma noi musulmani 
abbiamo questo; che quando ci divorziamo da un uomo, per riavere lo stesso uomo, 
bisogna che si abbia di mezzo un altro matrimonio provvisorio. Comodo per noi, 
eh. Quando Monanni disertò e mi disse che stava via finché durava 
la guerra - e la guerra durò cinque anni - allora, siccome noi musulmane 
non si può restare sole, gli dissi: 'Andando via devi divorziare'
 
Mi disse: 'Sono sciocchezze, ma cosa importa?' 'Per te non importa, per me vale'. 
E allora sul Corano si pronuncia la parola "palach" e divorzi. Però 
per poter ritornare assieme si deve avere, nel tempo del distacco, un altro matrimonio. 
E io ho avuto un altro matrimonio. E' stato uno dei più meravigliosi che 
ho avuto, ed era il segretario del Negus Neghesti, un amore etiopico, quello che 
mi ha dato questo anello, Taamrat Emmanuel". 
Mussolini non poteva quindi essere considerato da Leda come un sia pur temporaneo 
compagno di vita, ma soltanto un amico e con me della sua amicizia con lui ha 
sempre parlato, non d'altro.. 
Diceva: "Io non posso vergognarmi della mia amicizia con Mussolini. Io l'ho 
conosciuto direttore dell'Avanti!, quando non era ancora interventista. Era quando 
venne a Milano con la corrente detta rivoluzionaria. Lui fece una conferenza su 
'La Comune' e quella conferenza mi piacque. E feci un articolo su di lui intitolato 
'Un socialista'. Questo articolo gli piacque e mi mandò a dire da un comune 
compagno che voleva conoscermi. E allora lo ricevetti in casa. E lì cominciò 
l'amicizia. E abbiamo avuto un'amicizia di due anni. Dapprincipio, siccome era 
molto romagnolo, parlava bene, n'ebbi simpatia. Ma poi capii. Monanni mi disse: 
'E' solo un ambizioso'. E Monanni aveva ragione. Però non ci ho avuto mai 
una grande
 e potevo, perché mi diceva d'essere amici, d'essere legati, 
ma non era una cosa che sentivo. Diceva che gli piacevano le cose musulmane, che 
voleva imparare l'arabo
 Sì, ma era una cosa
 non gli do nessuna 
importanza. Mi veniva in casa, mi ci stava tutto il giorno. Quando mi conobbe 
poi mi si attaccò. E siccome stava con me delle giornate intere, io una 
volta gli dissi: 'Mi dici una cosa? Ma non hai persone tue? Perché passare 
tutte l'ore in casa mia non ho piacere. Perché quando sei libero non vai 
[dai tuoi]'? Dice: 'Sono libero come l'aria. Non ho nessuno' Ecco perché 
l'accoglievo in casa, e ci stava delle giornate intere. E' stata un'esperienza 
che Monanni mi ha rimproverato. Dice: 'L'hai bruciato anche tu un grano di incenso 
alla sua ambizione'. Il giorno che Libero Tancredi gli disse che lui faceva il 
doppio gioco, io andai da lui e lui negò. Anzi, scrisse l'articolo in risposta 
a Tancredi sotto i miei occhi, che fu pubblicato su l'Avanti! e su Il Resto del 
Carlino. Poi dopo quattro giorni... Pensa che il giorno prima che pubblicasse 
che l'Italia doveva avere la neutralità condizionata, aveva pubblicato 
un articolo di Monanni: 'Noi siamo contro tutti gli avvenimenti guerreschi'. E 
poi ti fa quel bell'articolo. Allora io da allora non l'ho più voluto vedere". 
Richiesta da Gianni Bosio di un giudizio sulle capacità intellettuali di 
Mussolini, disse: "Senti, ambiziosissimo e ignorantissimo di mille cose. 
Poi uno che ha un'idea vera, sentita, non cambia subito valore delle cose. Una 
volta venne con un manifesto di Marinetti, uno di quei suoi manifesti fanfaroni. 
E lui subito l'aveva preso come moneta sonante. 'Amo il gesto libero dei libertari'; 
e poi dietro 'e la guerra liberatrice'. Una bella antitesi eh. Ma quando le cose 
poi gliele dicevo veniva sempre della mia opinione, perché non ne sapeva 
niente. Tant'è vero che quando ha fatto il cambiamento, Zibordi - quando 
Mussolini è andato a visitare la Acciaierie di Terni - ne ha parlato su 
la Giustizia come del 'villico che si inurba'. Andava a vedere come erano i magli 
dell'acciaieria di Terni
non sapeva nulla. Lui era molto ambizioso, molto 
ambizioso. Ma in confronto di altri uomini che ho conosciuto non era
da Gori, 
Molinari, Bartalini, Mantovani e anche dagli elementari nostri compagni, sai, 
c'era una bella differenza".  
Quanto al fatto che Leda abbia fatto in vita sua la "chiromante" - e 
posso testimoniare della grande professionalità con la quale mi lesse la 
mano e le carte, cogliendo aspetti determinanti della mia personalità, 
che peraltro mi si rivelarono solo in seguito - non mi sembra debba giustificarsi 
con il fatto che così ha mantenuto una famiglia. Leda anzitutto ai suoi 
poteri magici credeva, altrimenti per nessun motivo avrebbe fatto la chiromante. 
Ma poi quel suo stare a cavallo tra esotismo e occultismo da un lato e anarchismo 
e spirito libertario dall'altro, è a mio avviso tutt'altro che contraddittorio 
ed è anzi in linea con la cultura d'avanguardia europea dell'epoca, che 
costrinse persino Anatole France a notare, in un articolo su la Revue illustrée 
del 15 febbraio 1890 che "una certa conoscenza delle scienze occulte si rende 
necessaria per la comprensione di un gran numero di opere letterarie di questo 
periodo. La magia occupa largo spazio nell'immaginazione dei nostri poeti e romanzieri". 
Leda appartiene all'epoca in cui Annie Besant, una delle anime del socialismo 
inglese, si incontra (nel 1889) con Madame Helena Petrovna Blavatskij, fondatrice 
della Società Teosofica, e da questo incontro nasce il Movimento socialista 
per la teosofia e il nazionalismo indiano, dove occultismo, reincarnazione, spiritismo 
e impegno socialista sono compresenti e che avrà grande importanza nella 
storia dell'indipendenza dell'India.  
Certe "chiromanti" non saranno state forse modelli del pensiero anarchico, 
ma hanno fatto storia e prodotto fatti liberatori più di tanti anarchici 
che credono di essere "modellati" correttamente.  
                
Cesare Bermani 
(Orte - No) 
 Ancora 
su LEDA RAFANELLI / 2 
Gentile Sig. Accame,  
Le scrivo non come curatrice dell'Archivio Famiglia Berneri / Aurelio Chessa, 
ma più semplicemente come estimatrice di Leda Rafanelli. Ho letto attentamente 
il suo scritto, apparso su A, n. 269 del 1° febbraio c.a., non condividendo 
la maggior parte delle sue argomentazioni. 
La prima riguarda la motivazione principale per cui lei ha scritto l'articolo 
e mi sono fatta l'impressione (magari errata), che fosse interessante rimettere 
in discussione il rapporto di Leda con Mussolini. Credo, però che a distanza 
di ben 87 anni, non sia più il caso di disquisire se ci furono rapporti 
intimi fra i due, e domandarsi invece che interesse storico-politico può 
esserci da un simile evento, che riguarda solo e comunque la sfera privata dei 
personaggi in questione. Lo trovo un argomento trito e ritrito, intriso di un 
voyeurismo ormai sorpassato, che non rende certo merito allo spessore politico 
di questa figura di donna vissuta a cavallo dei due secoli e che tanto ha fatto 
e scritto per il movimento. 
Non mi trova d'accordo neppure col giudizio catastrofico (da lei non propriamente 
condiviso, mi pare), che ne fece Gino Cerrito, su L'antimilitarismo anarchico 
in Italia nel primo ventennio del secolo, Ed. RL, Pistoia, 1968, e soprattutto 
con quello espresso, sempre da Cerrito, a pag. 106 nel libro Dall'insurrezionalismo 
alla settimana rossa - per una storia dell'anarchismo in Italia [1881/1914], cp 
editrice, 1977, da cui ho estrapolato un suo pensiero significativo: " ...L'estetismo 
rivoluzionario venne portato a Milano da Leda Rafanelli e Giuseppe Monanni i quali 
fecero danni al Movimento anarchico italiano più di un Nicotera e di un 
Crispi." 
Questa interpretazione non viene condivisa completamente da Giorgio Sacchetti 
nel suo libro Presenze anarchiche nell'aretino dal XIX al XX secolo, ed. Samizdat, 
1999, a pag. 50. 
Vorrei quindi che si riuscisse a dare un giudizio più globale e più 
verosimile all'originale di Leda, come donna, femmina, anarchica, musulmana, pur 
nelle sue complesse contraddizioni (ma chi non ne ha?). A suo favore, credo importante 
ricordare, la sua grande sete di giustizia, l'antimilitarismo suo cavallo di battaglia, 
l'anticlericalismo, il suo interesse per la questione femminile, i problemi della 
scuola, il suo acceso anticolonialismo, la grande solidarietà per l'individuo 
(parola ampiamente inflazionata ed usata spesso solo teoricamente), ma soprattutto 
la lucidità e coerenza che l'ha vista anarchica fino all'ultimo giorno 
della sua lunga esistenza... 
La inviterei, con grande piacere, a venire in archivio (compatibile con i suoi 
impegni), a visionare il materiale di Leda (in deposito conservativo presso lo 
stesso, di proprietà della famiglia e da lei messo a disposizione), per 
chiunque sia interessato ad approfondire suoi scritti, la maggior parte dei quali 
inediti; le invio in allegato copia dell'inventario. 
Da quando mi sono trasferita a Reggio Emilia con l'archivio, molti studenti, ricercatori, 
studiosi si sono interessati a questa singolare figura, e mi auguro che lei possa 
essere uno di loro. 
La ringrazio anticipatamente per l'attenzione che dedicherà alla mia lettera, 
e nell'attesa di un suo riscontro, la saluto cordialmente. 
Fiamma Chessa 
(Reggio Emilia) 
 Brassens 
E DE ANDRE' 
"Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico" 
(Fabrizio De André) 
Una volta mi consideravo di sinistra anche se il mio pensiero andava oltre alla 
"sinistra di spettacolo politico" (tv e quotidiani); così mi 
appassionai a Fabrizio De André e quasi automaticamente al pensiero anarchico; 
così incominciai a cercare libri e scritti anarchici per poi trovare il 
numero telefonico di "A rivista anarchica" di cui mi fa ancora piacere 
sapere che coloro che diedero vita alla rivista (che è veramente un bel 
leggere) erano i compagni di Giuseppe Pinelli del "Ponte della Ghisolfa"! 
Perciò credo di poter dire: "Fu grazie a De André che scoprii 
di essere un anarchico" e voglio ancora dire: "Se anarchico vuol dire 
come la pensiamo noi, allora sono felice si esserlo"! 
Ronal Perono Querio 
(Ciconio - TO) 
  
   
  
  
                 
                  
                     
                      |  
                          I 
                          nostri fondi neri 
                            
                       | 
                     
                     
                       
                        
 
 Sottoscrizioni.  
Angela Sacco (Milano), 20.000; Fabrizia Golinelli (Carpi), 50.000; Aurora e Paolo 
(Milano) ricordando Pio Turroni nel 19° anniversario della morte (7.4.1982),1.000.000; 
Associazione culturale libertaria "A. Bortolotti", 6.121.000; Enrico 
Calandri (Roma), 350.000; Franco Melandri e Rosanna Ambrogetti (Forlì), 
50.000; Fabio (La Spezia), 5.000;Roberto (La Spezia), 5.000; Sauro Sorbini (Viterbo), 
50.000; Cariddi Di Domenico (Livorno), 50.000; Lionello Rudian (Torino), 69.000; 
Nicola Casciano (Novara), 50.000; Giancarlo Nocini (San Giovanni Val d'Arno), 
50.000; Monica Giorgi (Bellinzona - Svizzera), 122.000; Tiziano Viganò 
(Casatenovo), 20.000; Zelinda Carloni (Roma), 120.000  
 Totale lire 8.152.000.  
Abbonamenti sostenitori.  
Pietro Steffenoni (Lodi), 155.000; Gianluca Botteghi (Rimini), 150.000; Zelinda 
Carloni (Roma), 150.000; Giorgio Nanni (Lodi), 150.000; Enrico Pazienti (Roma), 
220.000; Gian Paolo Verdecchia (Firenze), 500.000; Enrico Calandri (Roma), 150.000; 
Renato Girometta (Vicobarone), 150.000; Marco Buraschi (Roma), 150.000; Alfredo 
Gagliardi ( Ferrara) 300.000 ( per 2 anni); Marco Galliari (Milano), 500.000. 
 Totale lire 2.575.000. 
 
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