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 In via Andrea Costa, a pochi passi da casa mia, c'è 
una lapide che ricorda il punto in cui sorgeva la palazzina con l'infermeria clandestina 
dei partigiani: qui vennero portati i feriti della battaglia di Porta Lame, quattordici 
gappisti che, in seguito a una delazione, furono scoperti dai fascisti e fucilati. 
Proseguendo verso la periferia, si arriva all'angolo con il cimitero monumentale 
della Certosa: sulla sinistra, inizia via Irma Bandiera, che termina al Meloncello, 
dove passa "il portico più lungo d'Europa", seicentosessantasei 
archi su colonne per quasi quattro chilometri, a congiungere il centro storico 
con il santuario di San Luca, sulla cima di un colle, dove da secoli è 
custodita l'immagine sacra della Madonna protettrice dei bolognesi. Il dipinto 
venne trasferito per la prima volta in città nel 1302, nella speranza che 
riportasse la pace in una delle tante dispute sanguinose tra potenti famiglie 
rivali. Da allora, la processione si sarebbe tenuta ogni anno. Finché, 
nel XVII secolo, impossibilitata a tornare sul colle per un furioso temporale, 
la Vergine Maria venne lasciata chiusa nella basilica di San Petronio. L'indomani, 
l'avrebbero ritrovata al suo posto nel santuario, perfettamente asciutta: i fedeli 
ne dedussero che erano stati gli alberi a proteggerla dalla pioggia, piegandosi 
ad arco lungo il cammino... Così, decisero di costruirle il lungo porticato, 
e la tradizione vuole che nel giorno del trasferimento a Bologna debba sempre 
piovere, cosa che in effetti accade, con rare eccezioni. 
Quel 14 agosto 1944 la Madonna chiuse gli occhi, anche se nessuno se ne accorse, 
per non vedere il corpo martoriato di Irma Bandiera che i fascisti gettarono sotto 
la finestra di casa sua, al Meloncello, dopo sette giorni e sette notti di tormenti 
e mutilazioni. Neanche l'agonia di suo figlio era durata tanto, neppure a Gesù 
avevano inflitto tanti supplizi. Anche qui c'è una lapide: "Il tuo 
ideale seppe vincere le torture e la morte..." 
Il tuo ideale, Irma. C'è forse ancora qualcuno che se lo ricorda, 
che sappia cosa fosse l'ideale per cui hai resistito a tanto scempio senza dire 
una parola, in questa Bologna che dimentica in fretta, questa Bologna sempre più 
ricca e sempre meno sensibile, dove a parlare di "ideali" ti fanno sentire 
vecchio e superato, residuo del passato ormai da "rottamare"... Qualcuno 
sì, ma così raro. Qualcuno che anche oggi ha rinnovato un fiore 
fresco sotto il rettangolo di marmo ingrigito dagli anni, slavato dalla pioggia, 
senza un portico a proteggere la memoria. 
  
  Con il rossetto 
e un ideale 
Ho davanti a me una strana fotografia. Strana per la sua assoluta normalità. 
Forse perché le immagini dei partigiani più diffuse li raffigurano 
in gruppo con le armi e le improbabili divise rabberciate, le une e le altre recuperate 
e riadattate, su sfondi di montagne o cascinali, oppure sono foto tessera anni 
quaranta, volti quasi sempre seri, raramente sorridenti, comunque "in posa" 
per finire su un documento d'identità. Nella fotografia che ho davanti, 
Irma è appoggiata a un muretto con giardino alle spalle, un cagnolino ai 
suoi piedi, il vestito a fiori probabilmente variopinti, le scarpe bianche dai 
tacchi alti, la collana di perle intorno al collo: sorride discreta, schiudendo 
le labbra rese scure dal rossetto, i capelli impeccabilmente pettinati, e tutto 
in lei esprime ciò che era, cioè una "ragazza di buona famiglia", 
come si diceva allora, della piccola borghesia bolognese, una giovane donna a 
cui la vita poteva riservare agiatezza, tranquillità, se mai avesse fatto 
come la maggioranza dei suoi concittadini e dei suoi connazionali: le sarebbe 
bastato restare a guardare, come fa verso l'obiettivo, o meglio ancora non vedere 
e non sentire, senza scosse, senza coinvolgimenti... Senza un "ideale". 
Se Mussolini non avesse trascinato l'Italia in guerra, sarebbe probabilmente morto 
di vecchiaia come Francisco Franco, a meno che qualche giovane anarchico non fosse 
riuscito dove altri fallirono... Anche a Bologna qualcuno sparò un colpo 
di pistola contro il Duce in visita ufficiale. Era il 3 ottobre 1926, e i fascisti 
linciarono un ragazzo di quindici anni, Anteo Zamboni, senza che si sia mai potuto 
stabilire se fosse stato davvero lui a premere il grilletto. Comunque, la pallottola 
mancò il bersaglio, e il Sommo Pontefice dichiarò pubblicamente: 
"Questo è un nuovo segno che Mussolini gode della protezione di Dio". 
Certo non tutti gli italiani erano d'accordo con la Provvidenza sancita dal papa, 
ma quelli disposti a combattere per rovesciare il regime sarebbero sempre rimasti 
un'infima minoranza, e soltanto il disastro del conflitto mondiale avrebbe trascinato 
con sé la dittatura, facendo sbocciare come per incanto un numero incredibile 
di antifascisti dell'ultima ora. 
  
  Come in Argentina, 
Cile, Guatemala 
Nel 1944 il fascismo non era più quello dei tardi anni Venti, quando 
infliggeva agli avversari politici intollerabili soprusi e violenze, a base soprattutto 
di manganellate e olio di ricino, ma ricorreva all'omicidio sporadicamente, dopo 
l'inizio di guerra civile che aveva preceduto la presa del potere. Vedendo sgretolarsi 
tutti i vagheggiamenti di vittorie e trionfi, con le città flagellate dai 
bombardamenti a tappeto e la popolazione stremata e sempre più ostile, 
il fascismo si abbandonò alle stesse efferatezze che avrebbero in seguito 
contraddistinto i regimi di ideologia affine in Cile, Argentina, Guatemala, e 
tanti altri paesi latinoamericani, non a caso infestati da migliaia di gerarchi 
nazisti rifugiatisi laggiù dopo la sconfitta.  
Con l'entrata in guerra, saltarono tutti i precari equilibri, e le successive 
disfatte trasformarono i baldi giovanotti di ieri in belve sanguinarie, capaci 
di abominevoli bassezze nei confronti di prigionieri inermi. Una parte di loro 
si era forgiata alla pratica del massacro di civili indifesi nelle campagne d'Africa, 
con l'impiego dei gas sui villaggi e la macabra consuetudine di farsi immortalare 
sorreggendo teste mozzate di ribelli, e poi in Spagna, dove, malgrado qualche 
batosta ricevuta, alla fine l'efficienza di tre poderose macchine da guerra - 
di Franco, di Mussolini, e soprattutto di Hitler - aveva avuto la meglio su un 
popolo in armi per giunta lacerato dalle lotte intestine tra stalinisti e rivoluzionari. 
Da quelle imprese erano usciti vittoriosi, ma nel 1944 avvertivano ormai l'avvicinarsi 
della fine. E si sentivano traditi dagli italiani, dai "milioni di baionette" 
prima sbaragliati sul campo e poi inclini al "disfattismo" o addirittura 
alla ribellione... Il loro fu un cammino simile ma inverso rispetto a quello dei 
militari fascisti argentini, così efficienti e disciplinati quando si trattò 
di far scomparire nel nulla trentamila persone inermi, dopo spaventosi supplizi, 
per poi correre a braccia alzate incontro ai soldati inglesi nelle Falkland, facendo 
una figura così miserabile che da allora non vale neppure più la 
pena chiamarle Malvinas, quelle isole del disonore... 
Dall'Africa e dalla Spagna, ma anche dalla Jugoslavia, i fascisti italiani erano 
tornati credendosi pari o persino superiori ai "giovani leoni teutonici". 
Adesso, nel 1944, reagivano con la ferocia dei frustrati al proprio fallimento 
politico e morale.  
Quello che fecero a Irma Bandiera per sette giorni e sette notti non fu certo, 
purtroppo, un caso isolato. Tutt'altro. 
  
   Con muto 
silenzio 
In famiglia la chiamavano Mimma. Quando nacque, nel 1915, il padre veniva arruolato 
per la Grande Guerra, che di "grande" ebbe soltanto il massacro di contadini 
dall'una e dall'altra parte della trincea. La madre, disperata per la partenza 
forzata del marito, si consolava dicendole: "Meno male che sei femmina, almeno 
tu non andrai in guerra...". E invece, quella guerra avrebbe lasciato tornare 
l'uomo di casa, mentre la successiva si sarebbe presa proprio Mimma. 
Durante il ventennio fascista, Irma Bandiera cresceva al riparo dalla violenza, 
protetta dall'appartenenza a una famiglia benestante che, pur coltivando ideali 
democratici, non si esponeva manifestandoli apertamente. L'hanno descritta come 
una ragazza allegra, generosa, dal carattere calmo e riflessivo, mai un colpo 
di testa, mai un gesto avventato. Qualcuno l'ha definita "una signorina sofisticata". 
Quando l'Italia entrò in guerra Irma aveva venticinque anni. Poteva unirsi 
agli sfollati scegliendo una dimora in campagna sufficientemente agiata e confortevole, 
non le mancavano i mezzi e le conoscenze per risparmiarsi la paura dei bombardamenti 
e la penuria della vita quotidiana in città. Invece, cominciò a 
frequentare gli ambienti antifascisti bolognesi all'insaputa dei genitori, e quando 
fece il grande passo, diventando militante dei GAP, staffetta partigiana e poi 
combattente della 7ª Brigata, andava e tornava da casa per partecipare ad 
azioni rischiose senza che loro sospettassero nulla. 
La catturarono il 7 agosto del 1944. Tornava da una consegna di armi alla base 
di Castelmaggiore, e portava con sé documenti cifrati. Per i carnefici 
aveva una doppia colpa: si rifiutava di rivelare i nomi dei compagni ed era donna. 
Si alternarono su di lei in tanti, ognuno inventando nuovi tormenti e sevizie 
innominabili, ma la Mimma non parlava. La baldanza si tramutò in livore 
e frustrazione: avevano fatto parlare tanti uomini, spesso grandi e grossi, robusti 
come tori, cocciuti come muli, e quella lì... una donnina esile, apparentemente 
gracile, niente. Non apriva bocca. E li fissava con quei suoi grandi occhi che 
risaltavano sul viso magro e la fronte ampia... Li guardava con un muto disprezzo, 
tutto il disprezzo del mondo concentrato in quegli occhi. Così, la accecarono. 
Era ancora viva quando il 14 agosto gli aguzzini la scaraventarono sul marciapiede, 
al Meloncello, sotto la finestra dei genitori. Uno disse: "Ma ne vale la 
pena? Dacci qualche nome, e potrai entrare in casa, farti curare... Dietro questa 
finestra ci sono tua madre e tuo padre".  
Mimma non rispose. La finirono con una raffica di mitra, e se ne andarono imprecando. 
  
  Uno strano 
sentimento 
Nell'Istituto della Resistenza ho letto la testimonianza di un compagno di 
Irma Bandiera che faceva parte del suo gruppo, un partigiano chiamato Cestino. 
Appresa la notizia della cattura, si pose il problema se abbandonare i rifugi 
da lei conosciuti. È sempre stato così, in qualsiasi lotta di resistenza 
a dittature in qualsiasi parte del mondo. Tutt'al più, dal combattente 
caduto ci si aspetta qualche ora di silenzio, per dare il tempo agli altri di 
fuggire, ma poi, non si può pretendere da nessuno che sopporti le torture 
fino alla morte. Cestino disse: "La conosco, la Mimma, lei non parlerà". 
E rimasero dov'erano. 
Ho provato uno strano sentimento, abbastanza simile alla rabbia, ma diverso. Una 
sorta di delusione nei confronti dell'amicizia, che doveva unirli quanto e più 
degli stessi ideali. Che diritto avevano di pretenderlo? Come si può pensare 
che un essere umano resista per sette giorni e sette notti a tanto orrore? Mimma 
lo ha fatto. Non ha parlato. Nessun altro venne catturato. 
Ma se avesse ceduto allo strazio del corpo e alle abominevoli umiliazioni inflitte 
al suo spirito, se Mimma avesse parlato... sarebbe forse meno limpida la sua figura, 
meno giusto il bisogno di conservarne la memoria? 
Nessuno aveva il diritto di pretenderlo, e neppure di aspettarselo. 
 
  
Pino Cacucci 
  
 
 
"Ribelli!" 
di Pino Cacucci 
 Feltrinelli, 184 pagine L. 28.000.  
"L'utopia è 
come l'orizzonte: irraggiungibile... Ma allora a che serve l'utopia? Proprio a 
questo: per continuare a camminare..." 
Cosa sarebbe stato il cammino dell'essere umano senza l'utopia, cioè senza 
la spinta a sfidare l'ignoto, a inseguire un ideale, a sognare un mondo meno ingiusto 
e più solidale? 
Riaffermando il vero significato del termine - che non è sinomino di "irrealizzabile" 
ma sta per "qualcosa che non si è ancora realizzato" - l'autore 
spazia in diverse epoche e luoghi, dall'Europa all'America Latina, narrando le 
esistenze di uomini e donne ribelli che hanno sacrificato tutto, la vita stessa, 
all'ideale utopico. Accanto alle gesta di Tupac Amaru o del condottiero maya "Serpente 
Nero", riviviamo le imprese leggendarie di "Quico" Sabaté, 
l'anarchico che "bombardava " Francisco Franco con un mortaio lancia-proclami 
di sua invenzione, o della primula rossa della resistenza Silvio Corbari, che 
beffava i nazifascisti per sgretolarne l'immagine di invincibilità, così 
come Alexandre Marius Jacob, vero ispiratore del celebre Arsenio Lupin, gabbava 
la polizia parigina e ripuliva l'alta borghesia del "maltolto" per indurre 
i reietti a rialzare la testa, o "Tania la Guerrigliera" che combatté 
con il Che in Bolivia dopo avere assunto identità insospettabili vivendo 
per anni nel ventre stesso del mostro, oppure proponendo immagini inedite di un 
Pancho Villa amico di John Reed... Fino a raccontarci come l'utopia possa risolversi 
anche in autodistruzione quando questa è l'unica via di fuga da un sistema 
stritolante, ed è il caso di Jim Morrison, il poeta prima che il musicista, 
accomunato agli altri protagonisti del libro da una forma di ribellione istintiva 
contro ogni ordine costituito... 
"L'uomo senza l'utopia" ha detto Fabrizio De André "sarebbe 
uno strano miscuglio di istinto e tecnica, praticamente un cinghiale laureato 
in matematica". 
 
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 Pino Cacucci 
(1955) ha pubblicato Outland 
Rock (1988) e Punti di fuga (1988, Feltrinelli 2000); Puerto Escondido 
(1990) da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film omonimo; Tina (1991) 
biografia di Tina Modotti; San Isidro Futbol (1991, Feltrinelli 1996) da 
cui il film "Viva San Isidro"; La polvere del Messico (1992, 
Feltrinelli 1996); Forfora (1993, riproposto con nuovi racconti in Forfora 
e altre sventure, Feltrinelli 1997); In ogni caso nessun rimorso (1994, 
Feltrinelli 2001), Camminando, Incontri di un viandante (Feltrinelli 1996); 
Demasiado corazón (1999). 
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