Rivista Anarchica Online


memoria storica / 1

Il silenzio di Mimma
di Pino Cacucci

Un'anticipazione da "Ribelli!", il nuovo libro di Cacucci in uscita il 20 di aprile nelle librerie per i tipi di Feltrinelli.
La storia di Irma Bandiera, partigiana "di buona famiglia", che non volle volgere altrove lo sguardo.
Né aprire la bocca.

 

In via Andrea Costa, a pochi passi da casa mia, c'è una lapide che ricorda il punto in cui sorgeva la palazzina con l'infermeria clandestina dei partigiani: qui vennero portati i feriti della battaglia di Porta Lame, quattordici gappisti che, in seguito a una delazione, furono scoperti dai fascisti e fucilati. Proseguendo verso la periferia, si arriva all'angolo con il cimitero monumentale della Certosa: sulla sinistra, inizia via Irma Bandiera, che termina al Meloncello, dove passa "il portico più lungo d'Europa", seicentosessantasei archi su colonne per quasi quattro chilometri, a congiungere il centro storico con il santuario di San Luca, sulla cima di un colle, dove da secoli è custodita l'immagine sacra della Madonna protettrice dei bolognesi. Il dipinto venne trasferito per la prima volta in città nel 1302, nella speranza che riportasse la pace in una delle tante dispute sanguinose tra potenti famiglie rivali. Da allora, la processione si sarebbe tenuta ogni anno. Finché, nel XVII secolo, impossibilitata a tornare sul colle per un furioso temporale, la Vergine Maria venne lasciata chiusa nella basilica di San Petronio. L'indomani, l'avrebbero ritrovata al suo posto nel santuario, perfettamente asciutta: i fedeli ne dedussero che erano stati gli alberi a proteggerla dalla pioggia, piegandosi ad arco lungo il cammino... Così, decisero di costruirle il lungo porticato, e la tradizione vuole che nel giorno del trasferimento a Bologna debba sempre piovere, cosa che in effetti accade, con rare eccezioni.
Quel 14 agosto 1944 la Madonna chiuse gli occhi, anche se nessuno se ne accorse, per non vedere il corpo martoriato di Irma Bandiera che i fascisti gettarono sotto la finestra di casa sua, al Meloncello, dopo sette giorni e sette notti di tormenti e mutilazioni. Neanche l'agonia di suo figlio era durata tanto, neppure a Gesù avevano inflitto tanti supplizi. Anche qui c'è una lapide: "Il tuo ideale seppe vincere le torture e la morte..."
Il tuo ideale, Irma. C'è forse ancora qualcuno che se lo ricorda, che sappia cosa fosse l'ideale per cui hai resistito a tanto scempio senza dire una parola, in questa Bologna che dimentica in fretta, questa Bologna sempre più ricca e sempre meno sensibile, dove a parlare di "ideali" ti fanno sentire vecchio e superato, residuo del passato ormai da "rottamare"... Qualcuno sì, ma così raro. Qualcuno che anche oggi ha rinnovato un fiore fresco sotto il rettangolo di marmo ingrigito dagli anni, slavato dalla pioggia, senza un portico a proteggere la memoria.

 

Con il rossetto e un ideale

Ho davanti a me una strana fotografia. Strana per la sua assoluta normalità. Forse perché le immagini dei partigiani più diffuse li raffigurano in gruppo con le armi e le improbabili divise rabberciate, le une e le altre recuperate e riadattate, su sfondi di montagne o cascinali, oppure sono foto tessera anni quaranta, volti quasi sempre seri, raramente sorridenti, comunque "in posa" per finire su un documento d'identità. Nella fotografia che ho davanti, Irma è appoggiata a un muretto con giardino alle spalle, un cagnolino ai suoi piedi, il vestito a fiori probabilmente variopinti, le scarpe bianche dai tacchi alti, la collana di perle intorno al collo: sorride discreta, schiudendo le labbra rese scure dal rossetto, i capelli impeccabilmente pettinati, e tutto in lei esprime ciò che era, cioè una "ragazza di buona famiglia", come si diceva allora, della piccola borghesia bolognese, una giovane donna a cui la vita poteva riservare agiatezza, tranquillità, se mai avesse fatto come la maggioranza dei suoi concittadini e dei suoi connazionali: le sarebbe bastato restare a guardare, come fa verso l'obiettivo, o meglio ancora non vedere e non sentire, senza scosse, senza coinvolgimenti... Senza un "ideale".
Se Mussolini non avesse trascinato l'Italia in guerra, sarebbe probabilmente morto di vecchiaia come Francisco Franco, a meno che qualche giovane anarchico non fosse riuscito dove altri fallirono... Anche a Bologna qualcuno sparò un colpo di pistola contro il Duce in visita ufficiale. Era il 3 ottobre 1926, e i fascisti linciarono un ragazzo di quindici anni, Anteo Zamboni, senza che si sia mai potuto stabilire se fosse stato davvero lui a premere il grilletto. Comunque, la pallottola mancò il bersaglio, e il Sommo Pontefice dichiarò pubblicamente: "Questo è un nuovo segno che Mussolini gode della protezione di Dio". Certo non tutti gli italiani erano d'accordo con la Provvidenza sancita dal papa, ma quelli disposti a combattere per rovesciare il regime sarebbero sempre rimasti un'infima minoranza, e soltanto il disastro del conflitto mondiale avrebbe trascinato con sé la dittatura, facendo sbocciare come per incanto un numero incredibile di antifascisti dell'ultima ora.

 

Come in Argentina, Cile, Guatemala

Nel 1944 il fascismo non era più quello dei tardi anni Venti, quando infliggeva agli avversari politici intollerabili soprusi e violenze, a base soprattutto di manganellate e olio di ricino, ma ricorreva all'omicidio sporadicamente, dopo l'inizio di guerra civile che aveva preceduto la presa del potere. Vedendo sgretolarsi tutti i vagheggiamenti di vittorie e trionfi, con le città flagellate dai bombardamenti a tappeto e la popolazione stremata e sempre più ostile, il fascismo si abbandonò alle stesse efferatezze che avrebbero in seguito contraddistinto i regimi di ideologia affine in Cile, Argentina, Guatemala, e tanti altri paesi latinoamericani, non a caso infestati da migliaia di gerarchi nazisti rifugiatisi laggiù dopo la sconfitta.
Con l'entrata in guerra, saltarono tutti i precari equilibri, e le successive disfatte trasformarono i baldi giovanotti di ieri in belve sanguinarie, capaci di abominevoli bassezze nei confronti di prigionieri inermi. Una parte di loro si era forgiata alla pratica del massacro di civili indifesi nelle campagne d'Africa, con l'impiego dei gas sui villaggi e la macabra consuetudine di farsi immortalare sorreggendo teste mozzate di ribelli, e poi in Spagna, dove, malgrado qualche batosta ricevuta, alla fine l'efficienza di tre poderose macchine da guerra - di Franco, di Mussolini, e soprattutto di Hitler - aveva avuto la meglio su un popolo in armi per giunta lacerato dalle lotte intestine tra stalinisti e rivoluzionari. Da quelle imprese erano usciti vittoriosi, ma nel 1944 avvertivano ormai l'avvicinarsi della fine. E si sentivano traditi dagli italiani, dai "milioni di baionette" prima sbaragliati sul campo e poi inclini al "disfattismo" o addirittura alla ribellione... Il loro fu un cammino simile ma inverso rispetto a quello dei militari fascisti argentini, così efficienti e disciplinati quando si trattò di far scomparire nel nulla trentamila persone inermi, dopo spaventosi supplizi, per poi correre a braccia alzate incontro ai soldati inglesi nelle Falkland, facendo una figura così miserabile che da allora non vale neppure più la pena chiamarle Malvinas, quelle isole del disonore...
Dall'Africa e dalla Spagna, ma anche dalla Jugoslavia, i fascisti italiani erano tornati credendosi pari o persino superiori ai "giovani leoni teutonici". Adesso, nel 1944, reagivano con la ferocia dei frustrati al proprio fallimento politico e morale.
Quello che fecero a Irma Bandiera per sette giorni e sette notti non fu certo, purtroppo, un caso isolato. Tutt'altro.

 

Con muto silenzio

In famiglia la chiamavano Mimma. Quando nacque, nel 1915, il padre veniva arruolato per la Grande Guerra, che di "grande" ebbe soltanto il massacro di contadini dall'una e dall'altra parte della trincea. La madre, disperata per la partenza forzata del marito, si consolava dicendole: "Meno male che sei femmina, almeno tu non andrai in guerra...". E invece, quella guerra avrebbe lasciato tornare l'uomo di casa, mentre la successiva si sarebbe presa proprio Mimma.
Durante il ventennio fascista, Irma Bandiera cresceva al riparo dalla violenza, protetta dall'appartenenza a una famiglia benestante che, pur coltivando ideali democratici, non si esponeva manifestandoli apertamente. L'hanno descritta come una ragazza allegra, generosa, dal carattere calmo e riflessivo, mai un colpo di testa, mai un gesto avventato. Qualcuno l'ha definita "una signorina sofisticata". Quando l'Italia entrò in guerra Irma aveva venticinque anni. Poteva unirsi agli sfollati scegliendo una dimora in campagna sufficientemente agiata e confortevole, non le mancavano i mezzi e le conoscenze per risparmiarsi la paura dei bombardamenti e la penuria della vita quotidiana in città. Invece, cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti bolognesi all'insaputa dei genitori, e quando fece il grande passo, diventando militante dei GAP, staffetta partigiana e poi combattente della 7ª Brigata, andava e tornava da casa per partecipare ad azioni rischiose senza che loro sospettassero nulla.
La catturarono il 7 agosto del 1944. Tornava da una consegna di armi alla base di Castelmaggiore, e portava con sé documenti cifrati. Per i carnefici aveva una doppia colpa: si rifiutava di rivelare i nomi dei compagni ed era donna. Si alternarono su di lei in tanti, ognuno inventando nuovi tormenti e sevizie innominabili, ma la Mimma non parlava. La baldanza si tramutò in livore e frustrazione: avevano fatto parlare tanti uomini, spesso grandi e grossi, robusti come tori, cocciuti come muli, e quella lì... una donnina esile, apparentemente gracile, niente. Non apriva bocca. E li fissava con quei suoi grandi occhi che risaltavano sul viso magro e la fronte ampia... Li guardava con un muto disprezzo, tutto il disprezzo del mondo concentrato in quegli occhi. Così, la accecarono.
Era ancora viva quando il 14 agosto gli aguzzini la scaraventarono sul marciapiede, al Meloncello, sotto la finestra dei genitori. Uno disse: "Ma ne vale la pena? Dacci qualche nome, e potrai entrare in casa, farti curare... Dietro questa finestra ci sono tua madre e tuo padre".
Mimma non rispose. La finirono con una raffica di mitra, e se ne andarono imprecando.

 

Uno strano sentimento

Nell'Istituto della Resistenza ho letto la testimonianza di un compagno di Irma Bandiera che faceva parte del suo gruppo, un partigiano chiamato Cestino. Appresa la notizia della cattura, si pose il problema se abbandonare i rifugi da lei conosciuti. È sempre stato così, in qualsiasi lotta di resistenza a dittature in qualsiasi parte del mondo. Tutt'al più, dal combattente caduto ci si aspetta qualche ora di silenzio, per dare il tempo agli altri di fuggire, ma poi, non si può pretendere da nessuno che sopporti le torture fino alla morte. Cestino disse: "La conosco, la Mimma, lei non parlerà". E rimasero dov'erano.
Ho provato uno strano sentimento, abbastanza simile alla rabbia, ma diverso. Una sorta di delusione nei confronti dell'amicizia, che doveva unirli quanto e più degli stessi ideali. Che diritto avevano di pretenderlo? Come si può pensare che un essere umano resista per sette giorni e sette notti a tanto orrore? Mimma lo ha fatto. Non ha parlato. Nessun altro venne catturato.
Ma se avesse ceduto allo strazio del corpo e alle abominevoli umiliazioni inflitte al suo spirito, se Mimma avesse parlato... sarebbe forse meno limpida la sua figura, meno giusto il bisogno di conservarne la memoria?
Nessuno aveva il diritto di pretenderlo, e neppure di aspettarselo.

Pino Cacucci

 

"Ribelli!" di Pino Cacucci
Feltrinelli, 184 pagine L. 28.000.

"L'utopia è come l'orizzonte: irraggiungibile... Ma allora a che serve l'utopia? Proprio a questo: per continuare a camminare..."
Cosa sarebbe stato il cammino dell'essere umano senza l'utopia, cioè senza la spinta a sfidare l'ignoto, a inseguire un ideale, a sognare un mondo meno ingiusto e più solidale?
Riaffermando il vero significato del termine - che non è sinomino di "irrealizzabile" ma sta per "qualcosa che non si è ancora realizzato" - l'autore spazia in diverse epoche e luoghi, dall'Europa all'America Latina, narrando le esistenze di uomini e donne ribelli che hanno sacrificato tutto, la vita stessa, all'ideale utopico. Accanto alle gesta di Tupac Amaru o del condottiero maya "Serpente Nero", riviviamo le imprese leggendarie di "Quico" Sabaté, l'anarchico che "bombardava " Francisco Franco con un mortaio lancia-proclami di sua invenzione, o della primula rossa della resistenza Silvio Corbari, che beffava i nazifascisti per sgretolarne l'immagine di invincibilità, così come Alexandre Marius Jacob, vero ispiratore del celebre Arsenio Lupin, gabbava la polizia parigina e ripuliva l'alta borghesia del "maltolto" per indurre i reietti a rialzare la testa, o "Tania la Guerrigliera" che combatté con il Che in Bolivia dopo avere assunto identità insospettabili vivendo per anni nel ventre stesso del mostro, oppure proponendo immagini inedite di un Pancho Villa amico di John Reed... Fino a raccontarci come l'utopia possa risolversi anche in autodistruzione quando questa è l'unica via di fuga da un sistema stritolante, ed è il caso di Jim Morrison, il poeta prima che il musicista, accomunato agli altri protagonisti del libro da una forma di ribellione istintiva contro ogni ordine costituito...
"L'uomo senza l'utopia" ha detto Fabrizio De André "sarebbe uno strano miscuglio di istinto e tecnica, praticamente un cinghiale laureato in matematica".

 

Pino Cacucci

(1955) ha pubblicato Outland Rock (1988) e Punti di fuga (1988, Feltrinelli 2000); Puerto Escondido (1990) da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film omonimo; Tina (1991) biografia di Tina Modotti; San Isidro Futbol (1991, Feltrinelli 1996) da cui il film "Viva San Isidro"; La polvere del Messico (1992, Feltrinelli 1996); Forfora (1993, riproposto con nuovi racconti in Forfora e altre sventure, Feltrinelli 1997); In ogni caso nessun rimorso (1994, Feltrinelli 2001), Camminando, Incontri di un viandante (Feltrinelli 1996); Demasiado corazón (1999).