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 Steven Pinker in Come funziona la mente (Mondadori, 
Milano 2000) sostiene che, in questa nostra epoca "scientifica", siamo 
ormai costretti a cercare la spiegazione del comportamento umano come "una 
complessa interazione" fra sei ordini di fattori: i geni, l'anatomia del 
cervello, il suo stato biochimico, l'educazione ricevuta in famiglia, il modo 
in cui si è stati trattati dalla società in cui si vive e gli stimoli 
ricevuti. Qualche caso di cronaca rende l'idea del modo con cui queste conoscenze 
si diffondono. 
Nel 1978 ci fu un tale a San Francisco che dopo essersi dimesso da un incarico 
pubblico chiese al sindaco di reintegrarlo. Ne ottenne un rifiuto e reagì 
ammazzando il sindaco più un altro dirigente. Al processo i suoi avvocati 
riuscirono a dimostrare che, prima del duplice delitto, costui si era ingozzato 
di dolciumi - dolciumi che avevano provocato un "disastro chimico" nel 
suo cervello e che gli costarono in fin dei conti pochissimo: sette anni di carcere. 
 
Più o meno nella medesima epoca, una dottoressa venne fermata da un agente 
della polizia stradale perché sospettata di guidare in stato di ubriachezza. 
Forse offesa per il sospetto, lo ammazzò senza pensarci due volte. La difesa 
riuscì a buttarla sugli ormoni e invocò la sindrome premestruale. 
Un successone. 
Nel 1989 due ragazzi ammazzarono a fucilate i genitori, mentre erano a letto a 
mangiare fragole con gelato. Al primo processo se la cavarono perché gli 
avvocati parlarono di legittima difesa. I due ragazzi avrebbero subìto 
abusi da parte del padre. Ma nel secondo processo, sette anni dopo, agli abusi 
non si credette e affibbiarono loro l'ergastolo.  
Nel 1992 un condannato a morte per assassinio e stupro chiese la commutazione 
della pena, perché, secondo lui, era stato spinto ai suoi delitti dalla 
pornografia dilagante. Pinker non dice come è andata a finire. 
Il 1993 è l'anno in cui venne annunciata la scoperta del gene dell'aggressività. 
Immediatamente, ad un processo per omicidio, gli avvocati difensori fecero ricorso 
all'argomento. "Non è stato lui, ma i suoi geni". 
Nel 1994, un afroamericano salì su un treno e all'improvviso si mise a 
sparare su tutti i bianchi che vedeva. Ne ammazzò sei, il suo avvocato 
invocò la "sindrome della rabbia nera" - una sorta di malattia 
che toccherebbe a chi vive in una società razzista - e il suo protetto, 
a conferma ulteriore della sua teoria, non se la cavò. 
Tutti "fatti di sangue", insomma. Quando si cerca la spiegazione di 
un comportamento, il caso portato ad esempio è quello in cui ci sia almeno 
un morto che non sia tale per vecchiaia o malattia. Per altri comportamenti - 
che pur sono comportamenti allo stesso diritto, come mettersi le dita nel naso, 
passare con il rosso o gettare una cicca di sigaretta accesa sul marciapiedi - 
ai geni non si fa ricorso, come non si fa ricorso allo stato del cervello e neppure 
si medicalizza checchessia. Sono comportamenti che non vengono ascritti a interazioni 
particolarmente complicate, accontentandosi, di solito, a tirare in ballo l'educazione 
ricevuta anche se, volessimo precisarne i confini, ci troveremmo in notevoli difficoltà. 
Le agenzie educative sono tante, spesso in concorrenza fra loro e, comunque, raramente 
coerenti: un manifesto pubblicitario, o una canzone al festival di Sanremo, può 
pesare di più di un sermone paterno o di un sermone paternalistico. Chi 
ha responsabilità - di genitore, di insegnante, di prete o di soubrette, 
di cantante o di candidato alla Presidenza del Consiglio, di chi racconta come 
sono andate le cose e di chi racconta come avrebbero potuto andare altrimenti, 
dovrebbe saperlo e ricordarlo.  
Tutta questa tensione esplicativa del delitto è subdola. Nella pratica 
deborda chiaramente nel compiacimento morboso, sia allorché si scende di 
giorno in giorno di orrore in orrore - focalizzando gradualmente sul microscopico, 
inutile alla spiegazione almeno quanto è inutile sapere di quark e di mesoni 
per chi con una stecca imprime movimento ad una palla sul panno verde di un biliardo 
-, sia allorché si interroga sfacciatamente protagonisti e comparse sulle 
varie presunzioni di sé e del proprio stato interiore. Il giornalista, 
o chi ne fa le veci, che chiede a vittime e carnefici "cosa sentono dentro 
in quel momento" andrebbe messo seduta stante in condizione di non nuocere 
ulteriormente. 
Nella teoria implicita che la governa, tutta questa tensione esplicativa risponde 
all'esigenza ideologica di un razionalismo consolatorio, ormai tanto dilatatosi 
da poter accogliere, con il sorriso sulle labbra, perfino la casualità 
più disperata. Tutto spiega, tutto ci va bene, siamo di bocca buona. Siamo 
pronti ad assolvere nel caso si finisca con l'individuare la causa "interna" 
e siamo pronti ad assolvere altrettanto rapidamente nel caso si finisca con l'individuare 
la causa "esterna". Siamo tanto ottimisti da non renderci neppure più 
conto che, una volta tolti di mezzo sia l'interno che l'esterno, la metafora è 
esaurita. 
Sul duplice assassinio di Novi Ligure, dal giorno dopo in avanti, si sono buttati 
voracemente i migliori e i più tempestivi interpreti. Giornali e televisione 
riciclano il paradigma ovunque e comunque. Quale libro appare in libreria andando 
subito a ruba ? Ovvio, Non siamo capaci di ascoltarli oppure L'età 
incerta (sottotitolo, "i nuovi adolescenti", frase pubblicitaria, 
"i genitori di fronte a una grande sfida", per chi non l'avesse ancora 
capito) degli psicoqualcosa di regime. Viene recensito il Macbeth di Shakespeare 
nella versione di Cobelli e alla conclusione ci si chiede: "Se il criminale 
è un giovane, all'improvviso un crimine è meno importante di chi 
lo compie?". Stanno per uscire quattro nuovi film: non ce n'è uno 
che non tratti della "famiglia in crisi". Accade che una signora venga 
accoltellata e il titolo è subito "caccia alla figlia". Non c'è 
evento per il quale, furbescamente - in termini di mercato -, non si escogiti 
un'analogia con il paradigma primigenio. E fra le offerte non può mancare 
la domanda su "cosa c'è nella mente dei nostri figli ?", come 
se - Pinker alla mano - qualcuno potesse dirsi certo di sapere "cosa c'è 
nella mente dei loro padri". 
                
  Felice 
Accame 
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